Arturo
Boffi
M
13/07/1905, Mortara (PV), Italia
1960
Nato a Mortara (Pavia) il 13 luglio 1905, di Angelo (preside di ginnasio, pensionato nel 1929) e Fabiola Zangarelli (morta nel 1917).
Due fratelli.
Sposato con Elisa Leoncini (di Sisto e Flora Lugano, Torino, 24 ottobre 1907) il 1° luglio 1934, a Fabbrica Curone (Alessandria).
Muore prima del marzo 1960.
- Studi e attività accademiche e di insegnamento
1929 Laureato in giurisprudenza a Pavia.
1951 Assistente volontario alla cattedra di Medicina Legale, Facoltà di Medicina, Università di Torino. Nei primi anni Cinquanta tiene conferenze agli ufficiali delle Legioni dei Carabinieri di Torino, su argomento di polizia giudiziaria militare.
- Carriera
Fino al 1936 In un memoriale presentato nell’agosto 1946 per essere riammesso nei ranghi della Giustizia Militare, Arturo Boffi ricostruisce, insieme alla biografia, la sua breve carriera di avvocato fino al 1936, segnalandola condizionata dalla sua attività politica.
“Educato dall’esempio e [dal]le parole del Padre ad un fattivo amor di patria”, riconosce di essere stato, da ragazzo, “facilmente preda dell’abile propaganda” del nascente movimento fascista. Fatale l’anno di prima liceo frequentato a Milano, in virtù di una borsa di studio: a 15 anni si iscrive all’Avanguardia studentesca. Ne deriva che il 1920/21 è un pessimo anno scolastico, tant’è che il padre lo fa rientrare a Novi Ligure, dove la sua famiglia si era stabilita dopo vari spostamenti nella provincia di Alessandria (in quel periodo Angelo Boffi, preside di Ginnasio, cambia sede abbastanza spesso, sia pure entro un raggio limitato). Ma soprattutto questa iscrizione adolescenziale gli fa guadagnare in seguito i riconoscimenti di squadrista e il distintivo della marcia su Roma nel 1923 (a cui, egli giura, non partecipò davvero). In seguito al delitto Matteotti – prosegue Arturo Boffi –, nel 1924 assume posizioni critiche, venendo classificato come “fascista dissidente”. Quando il regime si stabilizza, rientra nei ranghi e, proprio nel momento in cui muove i primi passi nella sua carriera di avvocato, nel 1932-33 è nominato segretario del Fascio di Novi Ligure, incarico che ricopre senza ricavarne alcun beneficio, con sollecitudine verso i concittadini e con massima correttezza. È questa correttezza, “dentro e fuori dal partito” che lo mette in urto con il federale di Novi, il quale fa in modo sia destituito (dopo averne respinto le dimissioni) e inquisito per la sua condotta. Boffi, che nei loro scontri il federale apostrofa tra l’altro con l’epiteto “bolscevico”, si sarebbe trovato dunque da allora sotto sorveglianza di polizia e indicato come “indesiderabile elemento”. Dapprima il tempo richiesto dagli impegni politici, poi la persecuzione: questi i motivi per cui la sua carriera di avvocato non decolla; anzi, sposato nel 1934, finisce per trovarsi in difficoltà economiche tali da spingerlo ad arruolarsi volontario per l’Africa Orientale Italiana (1937).
Nel suo memoriale Boffi non ricorda il suo ruolo di fondatore del Gruppo Alpini di Novi Ligure, di cui fu il primo capo, in carica fino alla sua partenza per l’Etiopia, né che nel 1935-36 insegnò a Novi Ligure sia al liceo-ginnasio che all’avviamento professionale.
1937-1941 Giunge ad Addis Abeba come tenente del battaglione alpini Uork Amba. Dal 1 agosto 1938 è assegnato al Tribunale di guerra di Addis Abeba, dove rimane fino al 1941 (con un breve intervallo, pochi mesi del 1940 passati a organizzare il nuovo Tribunale di guerra dello Scacchiere Ovest-Somaliland). Nel 1939 supera il concorso per entrare nella magistratura militare che si svolge sempre ad Addis Abeba.
Comincia con il ruolo di giudice relatore. Il suo superiore, il generale Bernardo Olivieri, scrive nel rapporto di valutazione sul primo anno di servizio (rivisto nel 1946) che Boffi è molto inesperto, ma volonteroso, “in progressivo miglioramento”. “Pur avendo partecipato attivamente nel partito fascista, durante il periodo del quale si tratta [agosto 1938-luglio 1939], non diede mai manifestazioni, alieno da faziosità, non si occupò di altro che del suo ufficio, dello studio e della famiglia, essendo stato colà raggiunto dalla moglie”. Il nuovo superiore il generale Francesco Guasco (sotto il quale, dal settembre 1940, svolge funzioni di sostituto avvocato militare), lo valuta in termini lusinghieri (sempre in un rapporto rivisto nel 1946):
fu trovato da me al Tribunale Militare di Addis Abeba quando, nel luglio 1939, venni trasferito in A.O.I. e nominato R. Avvocato militare presso quel Tribunale. […] Seppi subito che si trovava colà da circa un anno e che aveva abbandonato l’esercizio della professione forense in Novi Ligure ed aveva chiesto l’investitura delle funzioni giudiziarie per sfuggire alle persecuzioni del fascismo locale, nel quale aveva militato nei primi tempi con discreta autorevolezza, ma dal quale era stato in seguito defenestrato per i suoi orientamenti liberali e le sue resistenze alle direttive vessatorie del regime. […]
L’attività svolta dal tenente Boffi alle mie dipendenze è stata rimarchevole per serietà, competenza e rendimento, in tutto adeguata alle esigenze della funzione e alle gravi contingenze nelle quali il nostro servizio in A.O.I. era venuto a trovarsi.
Nel suo memoriale del 1946, Arturo Boffi scriverà che si trovava in una posizione singolare: i suoi documenti lo classificavano “squadrista-Marcia su Roma”, ma per tutti i colleghi era un “notorio antifascista”.
Il 31 marzo 1941 è fatto prigioniero.
1941-1946 Passa cinque anni in prigionia in Kenya. Nel suo memoriale del 1946 afferma di aver chiesto ripetutamente, dopo l’8 settembre 1943, di essere inviato in Italia per partecipare alla lotta di Liberazione. Le sue domande, fatte anche per iscritto, furono però sempre respinte. Gli viene riconosciuta la qualifica di “cooperatore”.
Rientra in Italia nel marzo 1946, ritrova la moglie a Volpedo (Alessandria). Cerca di riprendere l’attività di avvocato, e comincia le pratiche per essere riammesso nei ranghi della giustizia militare.
1948 Da marzo entra in servizio al Tribunale militare di Torino, con il grado di capitano e il ruolo di sostituto procuratore. Un rapporto di valutazione del 1951 lo indica come ottimo elemento.
1955 Viene trasferito al Tribunale militare di Bologna al termine di una inchiesta sollecitata nei primi mesi dell’anno dalla stessa Procura militare di Torino, retta allora da Enrico Macis. Secondo i rapporti “è elemento per lo meno sospetto” di essere comunista. L’accusa riguarda anche la moglie, Elisa Leoncini, maestra elementare e insegnante di pianoforte:
Entrambi i coniugi non hanno nascosto le loro propensioni per il partito comunista italiano ed hanno buon gioco per esercitare propaganda a favore di questo tra la popolazione della frazione Bruggi [del Comune di Fabbrica Curone, dove hanno una casa di famiglia che usano per villeggiare d’estate], in quanto composta da elementi di scarsa cultura ed in misere condizioni economiche. Buona parte degli abitanti di Bruggi nel periodo della raccolta e monda dei risi si portano nella Lomellina, nel Novarese e nel Vercellese per lavori stagionali.
Nei documenti dell’inchiesta, risultano tutte le cariche ufficiali di Boffi durante il ventennio (squadrista, marcia su Roma, federale, e nel 1923 sarebbe stato anche nei ranghi della MVSN di Tortona, dove stava allora la famiglia), non i suoi dissapori e le sue rotture con il fascio locale. Questa conversione da “fervente fascista” va dunque spiegata:
Si vuole che il mutamento delle opinioni politiche sia stato in lui determinato dalla moglie, che, prima della liberazione, gli avrebbe creato, con abile propaganda, un ambiente favorevole per sottrarlo ad eventuali azioni di rappresaglia dei partigiani, dato il suo passato fascista.
Anche la madre di Elisa Leoncini, Flora Lugano, sarebbe stata fascista durante il ventennio, passata poi al partito comunista dopo la liberazione. E un fratello, Vittorio Leoncini (Torino, 24 gennaio 1904), chimico farmacista, per un anno è stato segretazione della sezione del Pci di Volpedo.
A Torino, il Dott. BOFFI – che è indubbiamente elemento molto scaltro – non lascia trasparire i suoi sentimenti politici, per quanto sia stato notato, qualche volta, mentre leggeva il giornale “L’UNITÀ”. Il suo comportamento è ambiguo e, poiché non partecipa mai alle manifestazioni indette dal partito comunista, riesce a nascondere all’opinione pubblica i suoi sentimenti.
Al termine dell’inchiesta, la Procura militare di Torino lo classifica come “indesiderabile”. Probabilmente Boffi viene a sapere di questi rilievi, perché è lui stesso a chiedere in queste circostanze – perfezionando la ripetizione di quanto accaduto una ventina di anni prima – di essere destinato alla Procura militare della Somalia, allora sotto amministrazione italiana.
Tuttavia, le pratiche non si prospettano semplici, perciò la Procura militare di Torino chiede che l’allontanamento di Boffi non sia subordinato all’assegnazione in Somalia: propone che sia mandato subito a Bari. Alla fine, come già indicato, il trasferimento è al Tribunale militare di Bologna.
Il procuratore generale militare Arrigo Mirabella chiude la questione così:
Poiché a Torino esplicano attività di magistrato anche ufficiali della Giustizia Militare non di carriera e, quindi, non compresi nell’organico, questa Procura Generale Militare si astiene, per il momento, dal proporre la sostituzione del BOFFI in quella sede.
1955-1960 Una lettera indirizzata da Elisa Leoncini al magistrato militare Ugo Foscolo, relativa a questioni di pensione di reversibilità permette di datare la morte di Boffi ai primi mesi del 1960.
- Fonti e bibliografia:
Archivio Centrale dello Stato, Procura generale militare, 2 S, fasc. 10
Una scheda biografica sul sito del Gruppo alpino di Novi Ligure: http://gruppoalpininoviligure.altervista.org/alterpages/files/Boffi_Arturo_1.pdf
Elisa Leoncini, Vite di giusti, per la memoria spese: storia di una famiglia comunista, a cura di Pietro Porta, Marica Rescia, prefazione di Bruno Cartosio, Excogita, Milano 2002 (seconda ed. 2004)
- Revisione della scheda a cura di Giovanni Focardi.