Mario
Berutti
M
15/04/1896, Torino (TO), Italia
18/05/1982
Nato a Torino il 15 aprile 1896 da Angelo e Ester Ternavasio. Il matrimonio dei genitori (21 febbraio 1895) è elencato nella rubrica “Stato civile” della “Stampa” del 25 febbraio 1895.
Ester Ternavasio Berutti risulta essere stata anche una scrittrice.
Ha almeno un fratello, Gabriele, nato a Torino il 2 luglio 1902 (ma si parla di lui come di un “pinerolese”), “morto per la Causa del fascismo” a Trieste il 4 ottobre 1921 durante un assalto alla Camera del lavoro. Per alcuni anni a Torino gli fu intestata l’attuale via Felice Cordero di Pamparato, tracciata in seguito a una trasformazione urbanistica avviata a fine anni Venti.
Il 26 dicembre 1935 nozze con Alice Perrelet, cittadina svizzera.
Due figli: Gabriele Riccardo (15 gennaio 1939); Mario Francesco (2 agosto 1940).
Muore il 18 maggio 1982 (necrologio datato 19).
- Studi
1919 Laurea in giurisprudenza, Università di Torino (immatricolato nel 1914; annotazione: iscritto al Corso d’Integrazione Militare).
Parla e scrive correttamente in francese; la conoscenza dell’inglese è attestata da un diploma.
- Carriera
1921 Entra in magistratura ordinaria, a Torino, dopo aver vinto il concorso da uditore giudiziario; in aprile è promosso giudice, come tale assegnato alla pretura di Adria
1921-1923 È giudice presso il tribunale di Vercelli
1923-1925 In seguito alla soppressione del tribunale di Vercelli passa ad Asti, con funzioni di sostituto procuratore. È qui che nel suo fascicolo personale cominciano ad accumularsi rilievi: alcuni lo accusano di un carattere troppo spigoloso e di eloquio troppo brusco; le allusioni diventano politiche, comincia ad avere fama di afascista, se non proprio di antifascista. Il suo trasferimento ad altra sede, nel 1925, viene ricondotto a “urti” con alcuni esponenti del Fascio locale.
1925-1929 Dopo pochi mesi trascorsi a Brescia, nel 1926 Berutti passa alla sede di Novara (sempre come sostituto procuratore). Qui avviene l’episodio che segna la sua carriera: alla fine del 1926 viene accusato dall’avvocato Guido Gray, fratello del noto gerarca Ezio Maria, di essere antifascista, massone e di avere cattivi rapporti con il foro di Novara, oltre che di un corollario di scorrettezze (compresa una condotta privata non cristallina). L’inchiesta, che si chiude nell’aprile 1927, lo scagiona del tutto, di fatto derubricando a calunnie le accuse di Gray, che si sarebbe infuriato perché Berutti aveva istruito il processo che egli aveva dovuto subire. Al termine delle indagini, che prevedono l’ascolto di un buon numero di testimoni, risulta che Berutti è un “fervente patriota e ammiratore del fascismo”, che non è “mai stato iniziato alla massoneria e non aveva mai frequentato alcuna loggia massonica”, che è “stimato dai colleghi e dal foro”. Tra i titoli di merito di Berutti annotati dagli inquirenti ci sono il fratello “ucciso per la Causa fascista” e il discorso che egli tenne nella sala d’udienze del Tribunale di Novara all’indomani dell’attentato contro Mussolini del 31 ottobre 1926 (il testo fu pubblicato sulla “Gazzetta di Novara” del 6 novembre 1926). L’inchiesta conferma la condotta sempre corretta del magistrato, ma ammette la fondatezza di alcuni dei “rilievi minori” mossi a Berutti, ovvero il carattere spigoloso, poco accomodante e troppo indipendente.
1929-1937 È trasferito a Torino, sempre con funzioni di sostituto procuratore. La sua nomina è preceduta da uno scambio di lettere tra il procuratore di Torino Delfino Majola (1870-dopo il 1940) e il ministero: Majola chiede che il trasferimento di Berutti sia revocato, teme infatti che il suo carattere sia elemento di “disunione” all’interno del suo ufficio; inoltre, benché scagionato, il sostituto procuratore si porta dietro troppe accuse di antifascismo, che metterebbero a repentaglio la reputazione del tribunale di Torino. Berutti prende comunque servizio a Torino e negli anni seguenti avrà sempre rapporti lusinghieri.
Nel 1932, pur essendogli stato raccomandato, non si iscrive al Partito nazionale fascista.
Collabora con il periodico fascista “La rivoluzione”, con “pregevoli e interessanti articoli di carattere culturale giuridico”. Pubblica anche sulla rivista “Diritto e pratica commerciale. Rivista economico giuridica”.
1937-1938 Nell’ottobre 1937 lascia Torino per prendere servizio come procuratore nelle “isole italiane dell’Egeo”. La nomina dovrebbe essere per quattro anni, invece viene rimpatriato dopo soli tredici mesi. Il 7 ottobre 1938, il governatore delle isole italiane dell’Egeo De Vecchi scrive così al ministro di Grazia e Giustizia Arrigo Solmi:
“Caro Solmi, ho rivolto da tempo medita[ta]mente la mia attenzione particolare al contegno ed alle opere del Procuratore del Re Mario Berutti che tu mi hai mandato in Egeo ora è più di un anno. Egli non è adatto alle sue delicatissime funzioni in questo possedimento.
In passato quando egli non era in Egeo gli sono state fatte osservazioni per la sua scarsa mentalità fascista e per la non meno scarsa sensibilità alle esigenze della vita del nostro tempo. Posso assicurarti nel modo più formale che quelle osservazioni erano ben fondate. Costui, pure essendo tesserato, non è fascista”.
Come già le accuse degli anni Venti, anche quelle di De Vecchi sono accompagnate da rilievi sulla condotta privata:
“Il Berutti ha scarsa voglia di lavorare, si dà buon tempo assai spesso, non tiene quel contegno austero che le sue funzioni evidentemente gli imporrebbero. Ti prego di volerlo richiamare mettendo al suo posto chi meglio credi ma che sia persona seria e fidata per il Regime”.
Argomenti e tono delle accuse si ripetono nella relazione ufficiale che De Vecchi inoltra al ministero dopo il rimpatrio di Berutti; qui il governatore aggiunge un’altra prova a carico:
“Di scarsa sensibilità fascista e scarsa sensibilità alle esigenze della vita del nostro tempo ha idee politiche che ne consigliano l’oculata vigilanza da parte dei superiori e che trovano anche rispondenza in famiglia presso la moglie di nazionalità svizzera e priva di sentimenti di italianità”.
In un memoriale del 1948, inoltrato al Ministero per chiedere la ricostruzione della sua carriera (vedi oltre), Berutti scrive che l’ultima goccia, nel suo scontro con De Vecchi, fu la pubblicazione dell’articolo In tema di ordinamento giudiziario per l’Egeo, dove egli criticava “l’ordinamento giudiziario” imposto alla colonia: “Tale articolo fu, non a torto, considerato dal De Vecchi come un attacco contro la politica fascista da lui inaugurata nel Possedimento in contrasto con i sistemi di amministrazione liberale adottati dal suo predecessore Mario Lago”. Circostanza che fa eco alle parole con cui De Vecchi cominciava la sua lettera a Solmi nel 1938, ma non collima con le date di pubblicazione dell’articolo (primi mesi del 1939, vedi bibliografia): forse Berutti aveva dovuto sottoporglielo in anteprima.
1939-1943 Nel 1939 è di nuovo in servizio presso la procura di Torino. Malgrado l’iniziale diffidenza di Majola, i rapporti di servizio sono sempre molto lusinghieri; in quello del 1940 è annotato tra le altre cose: “Di molta capacità sia giuridica che letteraria. Parla e scrive correttamente il francese. Ha un diploma di conoscenza dell’inglese”.
Nel giugno del 1940 è richiamato sotto le armi e prende servizio come sostituto procuratore militare presso il Tribunale militare di Torino (grado di tenente colonnello). Si distingue in varie cause delicate (si ricordano un processo per diserzione con passaggio al nemico, una causa contro un colonnello medico, una contro un generale della riserva) e viene trattenuto il più a lungo possibile mentre la magistratura ordinaria lo reclama di nuovo tra le proprie fila. Nel gennaio 1942 il procuratore militare Oreste Trotta risponde che, dei cinque magistrati in servizio presso il Tribunale militare di Torino di cui si richiede il congedo e il rientro nella magistratura civile, “l’unico veramente insostituibile è il Berutti”.
È congedato nell’agosto 1942.
Nel gennaio 1943 è promosso “per merito” consigliere di Corte d’Appello (dopo essere stato valutato idoneo alla promozione, ma con punteggi bassi, nei concorsi del 1939 e del 1940, vedi oltre). Valuta la possibilità di chiedere un cambiamento di sede, perché a Torino non c’è spazio per rendere effettivo il suo avanzamento di carriera. Per questo nel suo ruolo di servizio ci sono tracce di trasferimenti a Brindisi (e in seguito a Modica), che però restano solo sulla carta. Infatti nel marzo 1943 è richiamato sotto le armi, per riprendere il suo posto di sostituto procuratore militare presso il Tribunale militare di Torino.
1943-1945 L’8 settembre 1943 è ancora in servizio in questa sede, con funzione di vice procuratore militare, alle dipendenze del procuratore militare Bernardo Olivieri. In un memoriale presentato alla Procura generale militare nel giugno 1944 (poco dopo la liberazione di Roma), Berutti scrive:
“Nei primi giorni dell’occupazione mi sottrassi alla cattura nascondendomi con altri colleghi nella campagna di Torino. Successivamente, cessato il pericolo della cattura, rientrai in città, e, in assenza del capo dell’ufficio costituii clandestinamente nella mia abitazione privata (i locali del Tribunale Militare erano stati occupati e saccheggiati dalle truppe tedesche che avevano poi trasformati i locali stessi in caserma) una specie di ‘ufficio stralcio’ ritenendo doveroso provvedere d’urgenza alla scarcerazione di oltre un migliaio di detenuti civili e militari (in attesa di giudizio o ricorrenti al Tribunale Supremo). Coadiuvato da alcuni colleghi potei accertare la posizione giuridica di quasi tutti i detenuti e provvedere in poche settimane alla loro scarcerazione emettendo gli ordini relativi che furono eseguiti dalle competenti direzioni delle Carceri giudiziarie all’insaputa delle autorità tedesche (vennero scarcerati tra gli altri molti detenuti politici)”.
Da metà novembre è sollecitato a riprendere servizio presso il Tribunale militare di Torino, rifiutando sempre. A fine anno gli viene intimato dalle autorità della RSI di non rimandare oltre e di assumere le funzioni di sostituto “con diffida d’arresto e denuncia per diserzione qualora non mi fossi presentato” e minaccia di rappresaglie alla famiglia. Il 6 gennaio 1944 lascia Torino per presentarsi a Roma, “presso il Capo della Giustizia Militare sperando di ottenere la revoca del richiamo”. Ottiene almeno di poter rimanere a Roma “in attesa di disposizioni”. Tra gennaio e febbraio gli sono offerte altre sedi di servizio, tra cui Firenze. Alle resistenze di Berutti (che rifiuta sistematicamente), si aggiungono quelle delle autorità. (Da qui in poi le notizie che Berutti presenta alla Procura generale militare il 25 giugno 1944 sono integrate con quelle prodotte dagli uffici.)
Il 3 marzo 1944 il generale Enrico Adami Rossi scrive allo Stato Maggiore dell’Esercito: “prego esaminare la possibilità di soprassedere” all’assegnazione di Berutti a Firenze. Il 1° febbraio 1944, infatti, il federale di Torino, Giuseppe Solaro, gli aveva trasmesso la seguente nota: “Avv. Mario Berutti – procuratore del tribunale Militare di Firenze – risulta da informazioni un accanito antifascista che nei 45 giorni badogliani ha scritto un articolo velenoso sulla stampa”.
L’articolo a cui si riferiva Solaro era in realtà una “lettera al direttore” pubblicata il 5 settembre 1943 dalla “Gazzetta del Popolo” di Torino sotto il titolo La magistratura e il crollato regime. Berutti aveva scritto al giornale dopo aver letto sulla prima pagina del numero del 2 settembre precedente l’articolo I mandarini, firmato Flamel (ovvero Dino Segre, più noto con l’altro suo pseudonimo: Pitigrilli). Il tema di Flamel era l’indipendenza (o meno) della magistratura durante il ventennio: “Fuori i nomi. Fuori i nomi dei mandarini che chiusero le istruttorie con un non luogo a procedere, per paura di rappresaglie, o per ordine superiore, o per la minaccia di un ingrato trasferimento o della qualifica di scarsa fede fascista”. Intanto faceva i nomi di chi aveva saputo non piegarsi: “per non parlare che dei torinesi, prima di tutti Bozzi, che rifiutò, fin che gli fu possibile, la tessera, sapendo a che cosa andava incontro; Berutti, che davanti a un imputato in divisa di milite, dichiarò: non riconosco quella divisa”, e l’elenco continua con Peretti-Griva, “che si ribellò alle leggi razziali” e poi “Agosti, Manfredini, che fu l’ultimo a prendere la tessera, i due Galante-Garrone, Biffi-Gentile, Motta, Cornaro, Fulco, Cottafavi, Vaccarino, Malinverni, Ricci, Mario Fontana, Andriano, Vecchione e il conte Balladore e Zanotti”.
Nella sua lettera, Berutti rettificava il modo in cui Flamel aveva rievocato le sue “disavventure” novaresi degli anni Venti, e difendeva la magistratura (almeno quella torinese) nel suo complesso: se ci sono stati cedimenti esteriori,
“è certo però che l’anima dei magistrati è rimasta profondamente e fieramente avversa alla invadenza fascista, e che non pochi tra essi hanno sopportato con dignitoso silenzio i giudizi sfavorevoli dei superiori, i trasferimenti d’ufficio, le mancate o ritardate promozioni, ed anche, come nel caso del giudice Neri, la rimozione dal grado, per non aver saputo adeguare la propria condotta ai costumi del tempo”.
Il 14 marzo 1944 le autorità torinesi spiccano un mandato di cattura contro Berutti, che risulta irreperibile. Dalla Procura militare generale di Roma, il procuratore generale Ovidio Ciancarini informa (22 marzo) che Berutti si trovava a Roma per ragioni di servizio. In effetti ormai era entrato in clandestinità: “desiderando presentarmi il più presto possibile alle autorità militare legittime rimasi nascosto in Roma sotto falso nome e con documenti personali apocrifi sino al 4 giugno”.
Intanto, a Torino viene istruito il processo in contumacia dal Tribunale provinciale straordinario, che si conclude con la sentenza emessa il 3 agosto 1944 (l’udienza si era tenuta il 15 luglio): il colonnello Giuseppe Massa (presidente), l’avvocato Filippo Morghen (giudice estensore) e il maggiore Cesare Neri (giudice) – cancelliere Guido Giua – firmano la condanna a 30 anni con interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Berutti ne verrà a conoscenza solo dalla stampa, a guerra finita: ne dà notizia all’indomani della liberazione di Torino il “Popolo nuovo” (3-4 maggio 1945).
Chiarita la sua posizione con il memoriale del 25 giugno 1944, Berutti riprende servizio il 15 settembre seguente con assegnazione provvisoria presso la Procura militare generale (ruolo: sostituto procuratore generale; grado: tenente colonnello).
1945-1947 Alla fine dell’agosto 1945 è trasferito al Tribunale militare di Torino, con il grado di maggiore generale. Il procuratore generale Borsari, che ha molto apprezzato la collaborazione di Berutti a Roma, gli affida la riorganizzazione della procura militare torinese; il rapporto tra i due è molto stretto, come attestano in primo luogo le relazioni di Borsari, che giudica eccellente il lavoro di Berutti:
“Dopo la liberazione dell’Alta Italia molto a malincuore mi separai dal Berutti, per destinarlo alla direzione della importante Procura Militare di Torino. Dovendo il Tribunale militare di Torino riprendere il suo funzionamento legale sotto la guida di un Magistrato non solo esperto ed energico, ma in nessun modo compromesso con le antecedenti vicende politiche, la scelta non poteva cadere su un elemento più idoneo”.
Ci sono anche tracce di qualche confidenza in una lettera tra i due che si conserva nel fascicolo personale (il 15 settembre 1945 Berutti, giunto a Torino da poche settimane, prima di passare agli argomenti di lavoro dà rapide informazioni personali, relative ai figli piccoli e alla sistemazione della famiglia).
Tra le questioni che segue c’è quella delle accuse di collaborazionismo e delazione mosse al collega Enrico Santacroce (vedi scheda biografica Santacroce, Enrico).
In seguito alle promozioni avvenute nel corso del 1947 nel proprio personale, la Giustizia Militare ha di nuovo disponibili magistrati per reggere il Tribunale militare d Torino: Berutti è congedato il 1° gennaio 1948, sostituito da Enrico Macis.
1948-1950 Rientrato nei ruoli della magistratura ordinaria, Berutti chiede la ricostruzione della carriera sostenendo, in un lungo memoriale, di essere stato ostacolato nell’avanzamento. La sua reputazione di antifascista aveva condizionato le valutazioni ai concorsi per consigliere di Corte d’Appello del 1939 e del 1940, dove era stato sì giudicato idoneo alla promozione, ma con punteggio talmente basso da precludergliela di fatto. Negli anni seguenti non si presentò nemmeno più, e la promozione del 1943 gli fu accordata “per meriti”. Giunto in ruolo con quattro anni di ritardo, ora doveva aspettare di maturare l’anzianità necessaria per i successivi avanzamenti.
A sostegno delle sue richieste, Berutti allegava documenti di servizio e dichiarazioni di Borsari, Domenico Riccardo Peretti Griva, Luigi Provera (allora presidente di sezione di Corte di Cassazione) e Sisto Andriano, suo superiore alla procura di Torino (in data 19 marzo 1948 Andriano elogia Berutti per come, appena rientrato nel suo ufficio, ha sostenuto la pubblica accusa nella sessione seconda straordinaria della Corte d’Assise, durata un mese).
Per mesi (almeno fino al giugno 1948) Berutti presenta memoriali e documenti per sostenere la sua richiesta di revisione di carriera, ma l’istanza viene respinta “non risultando indubitabilmente provato un nesso di causalità tra precedenti politici e il risultato dei concorsi per la promozione a consigliere di appello cui il Dr. Berutti aveva partecipato”.
Nel 1950 Berutti pubblica una trasfigurazione di tutte queste sue traversie sotto il titolo Un magistrato indipendente e altri racconti di vita e costumi giudiziari contemporanei. L’espediente letterario è quello tradizionale del diario che un alter ego, “Mario Ferrari”, affida alle cure dell’autore, insieme a “lettere, giornali e documenti vari che egli aveva accuratamente conservati”: insomma tutta la documentazione che Berutti aveva messo insieme per le istanze al ministero.
Le carriere di Berutti e “Ferrari” coincidono in buona sostanza, con alcuni ovvi scostamenti (sedi, cronologia). Mancano l’anno a Rodi e i periodi di servizio nella magistratura militare, ma ci sono le vicende del settembre 1943 e il darsi “alla macchia” nel gennaio 1944. Invece di scendere a Roma, tuttavia, “Ferrari” “diventò un uomo d’azione”, partecipando alla Resistenza armata. Dopo la Liberazione, l’alter ego di Berutti conosce la delusione di ritrovarsi circondato da tutti i vecchi colleghi già fascisti; non lo convince nemmeno il passaggio alla repubblica: “La cacciata della monarchia non lo entusiasmò, e gli lasciò anzi molti dubbi sulla opportunità politica del grave provvedimento”. È per un breve periodo pubblico ministero in una Corte d’Assise straordinaria, e rivendica di aver ottenuto “esemplari condanne di «collaboratori» criminali”. In questo periodo si guadagna la definitiva ostilità dei colleghi pubblicando l’articolo In tema di collaborazione. La disillusione definitiva arriva con la mancata promozione, ottenuta invece dal “sostituto che aveva fatto la marcia su Roma” e dal “giudice che era stato squadrista”. Il libro si chiude così con le dimissioni di “Ferrari” dalla magistratura; i colleghi compromessi e premiati rispondono a chi chiede informazioni su di lui: “Credo che sia stato epurato”.
1950-1952 A differenza di “Ferrari”, Berutti resta in magistratura e si impegna anche pubblicamente su alcuni temi delicati: indipendenza della magistratura, rapporti tra Stato e Chiesa, divorzio, incostituzionalità dei processi nei tribunali militari di civili che incitano a respingere le cartoline precetto. Il suo fascicolo si ingrossa di ritagli perché la stampa riprende parti delle sue relazioni a conferenze pubbliche. Ma c’è anche chi va ad ascoltarlo apposta. Si hanno così alcune note prese nel giugno del 1950, quando Berutti, su invito del “Centro valdostano libro popolare”, interviene sul tema “Annullamenti matrimoniali e incostituzionalità di un progetto di legge”: l’informatore biasima tono e contenuto del discorso, in particolare per l’ostilità ai Patti lateranensi, e conclude “Sembra che non sia tollerabile l’attività comiziante dei Magistrati”. Oppure quelle del marzo 1951, quando a Brescia, per “iniziativa di un gruppo di avvocati, appartenenti ai partiti di estrema sinistra o simpatizzanti” si tiene “un dibattito giuridico, svoltosi, però, solo tra loro, circa l’incostituzionalità dei provvedimenti del Tribunale Militare contro coloro che incitano i militari alla disobbedienza ed a respingere la cartolina preavviso”; presente alla riunione anche il “dott. Mario Berutti, i cui figli sono due attivisti comunisti”. Secondo l’estensore della nota, in questo periodo Berutti ricopre anche il ruolo di presidente del Tribunale civile di Brescia.
La Questura e la Procura militare di Torino tengono d’occhio l’attività della sezione torinese dell’Associazione giuristi democratici, di cui Berutti fa parte insieme a molti dei colleghi che già Flamel elencava nel settembre 1943 (ne diventa poi presidente nel 1952). Di Berutti si registrano le conferenze “Incostituzionalità del progetto di legge per la riforma dell’art. 72 del C.P.C.” (4 giugno 1950) e “La giustizia ed i Magistrati nel ventennio fascista” (aprile 1951), quest’ultima all’interno del ciclo “I giovedì del lavoratore” che si tiene presso la Camera del lavoro. Anche l’Associazione giuristi democratici si occupa dell’incostituzionalità di processare civili nei tribunali militari in tempo di pace.
La Questura di Torino incrocia le informazioni sull’attività dell’Associazione con quelle che riguardano la Federazione torinese del Partito comunista, e l’estensore di un rapporto non ha dubbi sul fatto che “l’Associazione debba considerarsi un’emanazione del partito comunista”.
Berutti deve rispondere ai rilievi dei superiori, e fornire “chiarimenti scritti” anche nel giugno 1952, in merito alle tesi sostenute “in tema di ordinamento giudiziario al Convegno dei Giuristi Democratici del 2 giugno c.a. in Roma”, riprese in un resoconto pubblicato su “Paese” del 3 giugno 1952.
I superiori lo richiamano regolarmente al doveroso riserbo richiesto dal suo ruolo di magistrato: non faccia comizi insomma.
Continua la sua attività di scrittore. Nel 1951 esce Giustizia (racconti sgradevoli) che si apre con la dedica “alla memoria dell’amico Carlo Alberto Ferrero, Consigliere di Corte d’Appello, giustiziato da militari tedeschi, per delazione di fratelli italiani, il 19 dicembre 1944 in Chiusa Pesio”.
Nel 1951 e nel 1952 si cimenta anche con brevi testi teatrali, sempre legati ai temi che affronta come magistrato (il divorzio in questo caso).
1953-1956 Il 1953 si apre con un’altra vicenda legata a suoi interventi pubblici: deve chiedere una rettifica all’“Unità” che ha riportato in modo impreciso un suo parere sul diritto di sciopero (se lo sciopero politico fosse ammissibile quanto quello economico).
Entra in aspettativa per candidarsi alle elezioni politiche con Alleanza Democratica Nazionale (nata da un gruppo di dissidenti liberali, contrari al premio di maggioranza previsto dalla nuova legge elettorale, la cosiddetta “legge truffa”).
Chiede di poter partecipare alla “Conferenza internazionale dei giuristi per la difesa delle libertà democratiche” che doveva tenersi a Vienna i primi giorni del 1954, ma il ministero gli rifiuta il permesso.
Nell’estate del 1956 il ministro della Giustizia Aldo Moro viene a conoscenza del libro di Berutti, La giustizia (1951), e ne chiede conto alla procura di Torino. L’attenzione su un libro uscito cinque anni prima è legata allo scandalo appena suscitato dal libro scritto dal giudice di Cassino Dante Troisi (Diario di un giudice, Einaudi, Torino 1955): nel corso della seduta della Camera del 12 luglio 1956, infatti, l’onorevole e avvocato Titta Madia (MSI) attacca i magistrati “che scrivono troppo” e “incontrollatamente”, e prima di arrivare a Troisi, cita Peretti Griva e Berutti.
Berutti risponde al ministero sottolineando in primo luogo che il volume fu stampato in poche centinaia di copie e circolò in cerchie ristrette; espone poi considerazioni sul sistema dei concorsi e delle carriere, allegando un suo articolo più recente (Carriera e indipendenza dei magistrati, vedi bibliografia). Il suo superiore fa presente al ministro che il libro fu scritto in seguito all’amarezza di un concorso andato male. Dal ministero ci si limita ad ammonire: smetterla con queste “inopportune pubblicazioni”.
1957-1966 Nel 1957, dopo ulteriori difficoltà nei concorsi (1953, 1954, 1955), è promosso “per merito distinto” magistrato di Corte di Cassazione, assegnato alla funzione di consigliere di Corte di Cassazione.
Nel 1964 è eletto presidente dell’Associazione nazionale magistrati.
Nel marzo 1966 è costretto a dare le dimissioni dalla sua carica di presidente dell’Anm in seguito a polemiche legate al celebre caso della “Zanzara”, il giornale scolastico del liceo Parini di Milano: due studenti e una studentessa (nonché il preside del liceo e la titolare della tipografia stampatrice) furono processati con l’accusa di “oscenità a mezzo stampa e pubblicazione clandestina”.
Berutti invia infatti un telegramma al ministero, chiedendo un’inchiesta sul conto dei magistrati responsabili dell’arresto degli studenti e delle perquisizioni su di loro. L’Associazione reagisce disconoscendo l’operato del suo presidente (accusato di minare l’indipendenza della magistratura), il quale infine si dimette.
Secondo Bruti Liberati (2018) questo epilogo è condizionato dal fatto che Berutti non era giudice di Cassazione ma proveniva “dalla magistratura di merito”: “la sua presidenza sarà molto breve perché sarà costretto a dimettersi avendo osato assumere posizioni non corporative”.
Qualche settimana dopo (16 aprile) va in pensione per raggiunti limiti d’età, con il titolo onorifico di procuratore generale di Corte d’Appello.
Revisore Giovanni Focardi.
Citazioni di o su Mario Berutti in Articolo di periodico
• Berutti Mario, In tema di contravvenzione per fanalino spento in "Diritto e pratica commerciale. Rivista economico giuridica", a. 1936, n. XV • Berutti Mario, In tema d’ordinamento giudiziario per l’Egeo in "Rivista giuridica del Medio ed Estremo Oriente e Giustizia coloniale", a. 1939, n. IV • Berutti Mario, Mortarini e Togliattini (In tema di reclutamento dei magistrati) in "Rivista di diritto criminale", a. 1950 • Berutti Mario, Un magistrato indipendente e altri racconti di vita e costumi giudiziari contemporanei in a. 1950 • Berutti Mario, Giustizia (racconti sgradevoli) in a. 1951 • Berutti Mario, In nome del popolo. Atto unico, due tempi in a. 1951 • Berutti Mario, La Costituzione e la giurisdizione speciale dei tribunali ecclesiastici in "Il monitore dei tribunali", a. 1952 • Berutti Mario, Rapsodie coniugali. Commedia in due atti in a. 1952 • Berutti Mario, I limiti costituzionali della giurisdizione militare in "Rivista penale", a. 1954 • Berutti Mario, Sovranità, giurisdizione ed uguaglianza dei cittadini nei rapporti tra Stato e Chiesa in "Il monitore dei tribunali", a. 1954 • Berutti Mario, Carriera e indipendenza dei magistrati in "Gazzettino forense", a. 1955 • Berutti Mario, Il divorzio fra coniugi di diversa nazionalità in una recente decisione della Suprema Corte francese in "Il monitore dei tribunali", a. 1955 • Berutti Mario, Colpevole o innocente?... in a. 1958 • Berutti Mario, Il matrimonio concordatario. Non tutti uguali di fronte alla legge, il concordato, i tribunali ecclesiastici… in a. 1958 • Berutti Mario, Il divorzio in Italia. Matrimonio e divorzio nel conflitto fra Stato e Chiesa… in a. 1959 • Berutti Mario, Matrimonio e divorzio nel conflitto tra lo Stato e la Chiesa Cattolica in "Criminologia", a. 1959, n. XII • Berutti Mario, La donna italiana e la magistratura in "Democrazia e diritto: rivista critica di diritto e giurisprudenza", a. 1960, n. I • Berutti Mario, La questione di legittimità costituzionale delle norme istitutive della sezione disciplinare presso il Consiglio superiore della magistratura in "Rivista italiana di diritto e procedura penale", a. 1961, n. IV • Berutti Mario, Aspetti e soluzioni della crisi della giustizia nell’ordinamento giudiziario. XI Congresso nazionale magistrati italiani in a. 1963 • Berutti Mario, Autonomia e organizzazione del potere giudiziario negli stati moderni, in a. 1963 • Berutti Mario, Matrimonio e divorzio nel conflitto tra lo Stato e la Chiesa Cattolica in "Protestantesimo", a. 1963 • Berutti Mario, Il divorzio in Italia in a. 1964 • Berutti Mario, Mariage et divorce en Italie in "Revue de droit international et de droit comparé", a. 1965 • Berutti Mario, La disuguaglianza giuridica dei coniugi nella legge italiana in alcuni casi di matrimonio tra italiani e stranieri in a. 1967 • Berutti Mario, L’adulterio nel codice penale in "Democrazia e diritto", a. 1968 • Berutti Mario, Patti lateranensi e piccola antologia della legislazione italiana in a. 1968 • Berutti Mario, Il divorzio in Italia in a. 1969