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Fascicolo: Processo contro Martina Cesare (RG. N. 58/1946)

C00/00962/01/02/00108
Processo contro Martina Cesare (RG. N. 58/1946)
Processo contro Martina Cesare (RG. N. 58/1946)

Organo giudicante: Corte d’Assise di Torino – Sez. 3ª Speciale
- Presidente: Dott. Livio Enrico
- Giudice a latere: Dott. Riccardo Cioffi
- Giudici popolari: Giovanni Rigo, Igino Monzeglio, Emilio Montemaggi, Carlo Vietti, Angelo Corrado

Procura della Repubblica di Torino: P.M.: Avv. Michele Rivero

Imputati:
n. 1 Cesare Martina

Parti lese:
1 (1 uomo); tipologia (status): 1 ebreo: Pilade Momigliano.

Principali fatti contestati nel processo:
- Data e luogo del fatto: dall’8 settembre 1943 alla Liberazione, Torino (fatti specifici 1944, Torino)
- Tipologia: collaborazionismo politico, delazione
- Descrizione sintetica: accusato di collaborazionismo politico per aver denunciato Pilade Momigliano, ebreo, e averne causato l’arresto e la deportazione in campo di concentramento in Germania da cui non è tornato.

Denuncia:
Non presente.

Arresto:
- Data e luogo: Torino, 16.08.1945 (su ordine di cattura del PM del 13.08.1945)
- Autorità procedente: Carabinieri per Ufficio di polizia presso la Corte d’Assise Straordinaria di Torino

Imputazioni: collaborazionismo politico art. 58 cpmg

Descrizione: accusato di collaborazionismo politico per aver denunciato Pilade Momigliano, ebreo, e averne causato l’arresto e la deportazione in campo di concentramento in Germania da cui non è tornato.

Posizione processuale: detenuto, costituito in giudizio

Difesa: Avv. Francesco Camoletto (di fiducia)

Esito della sentenza:
- Condanna: colpevole di collaborazionismo politico art. 58 cpmg; condannato alla reclusione per 3 anni e 8 mesi.

- Pene accessorie: interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, spese legali

- Attenuanti:
attenuanti generiche ex art. 62bis cp
altre attenuanti ex artt. 89, 114 cp

- Motivazioni della sentenza: La Corte ritiene provato il reato ascritto a Martina. Le deposizioni di Caponetto e Giulio sono insospettabili e non lasciano alcun dubbio sulla responsabilità di Martina, il quale denunciò Momigliano a Caponetto come ebreo e antifascista, chiedendogli di arrestarlo e dichiarò di volersi vendicare per quanto gli aveva fatto Momigliano in passato. La denuncia è andata smarrita, ma l’avvocato Giulio l’ha vista nell’ufficio di Caponetto. Martina tornò nell’ufficio di Caponetto per sapere se Momigliano fosse stato arrestato. Bianco ha dichiarato che Martina andava spesso a chiedere di Momigliano in corso Palestro e che ripeteva spesso che viveva da signore con il denaro altrui, frase ripetuta dagli agenti che arrestarono Momigliano. Per spiegare l’accanimento di Martina nei confronti di Momigliano, la Corte ripercorre la vicenda del prestito di denaro fatto dalla moglie di Martina a Momigliano, il quale dopo il fallimento restituì solo una parte della somma, impegnandosi a restituire il resto del denaro appena avesse migliorato la propria condizione. La Corte ripercorre anche la vicenda dell’incidente di Martina del 1933 nel quale riportò gravi lesioni alla testa che, come attestato dalle perizie mediche presentate, determinarono una perdita parziale della capacità lavorativa e diversi problemi di salute. Questa condizione di Martina secondo la Corte lo portò a sviluppare un’ossessione per Momigliano, che vedeva vivere in modo agiato senza onorare il suo impegno a restituire il denaro alla moglie di Martina, un’ossessione che lo indusse a perseguitare Momigliano fino alla denuncia alle autorità per farlo arrestare come ebreo e antifascista. Secondo la Corte la denuncia di Martina contro Momigliano integra gli estremi morale e materiale del reato di collaborazionismo politico col nemico. Oggettivamente Martina ha contribuito ad «aiutare il nemico nella lotta razziale contro gli ebrei che costituiva uno degli scopi politici perseguiti dai tedeschi». Martina era conscio di ciò e infatti si è rivolto alle autorità politiche sapendo che avrebbero arrestato Momigliano. Nella denuncia fatta con la consapevolezza di favorire il nemico sta il dolo specifico del reato, mentre il movente è rappresentato dai sentimenti di odio personale e di vendetta che devono essere presi in considerazione per valutare la responsabilità soggettiva e graduare la pena. La Corte ritiene che le perizie mediche agli atti rendano superflua una perizia psichiatrica. La Corte ritiene anche che a Martina vadano concesse le attenuanti ex art. 114 cp perché la sua collaborazione è stata limitata a un solo episodio e quindi la sua opera in favore del nemico è di minima importanza; inoltre per l’età, le condizioni soggettive e oggettive, il fatto che è incensurato la Corte concede anche le attenuanti generiche e le attenuanti ex art. 89 cp. Partendo dal minimo della pena e applicando le attenuanti, la pena viene fissata in 3 anni e 8 mesi.

Impugnazioni/Giudizio di rinvio:
- Ricorso avanti Corte di Cassazione di Roma
Data: 07.06.1946
Promosso da: Cesare Martina, Avv. Francesco Camoletto
- Sintesi dei motivi di impugnazione: la Corte ha sbagliato a ritenere la denuncia di un ebreo reato di collaborazionismo perché non rappresentava aiuto al tedesco invasore nei suoi disegni politici sul territorio dello Stato. Le leggi razziali infatti erano in vigore in Italia anche prima della guerra e ben prima dell’occupazione tedesca; è vero che erano «un’ideologia strana» «trapiantata in Italia dalla Germania» ma la campagna razziale non era un aiuto allo straniero. Manca quindi la materialità del reato anche sotto l’aspetto di aiuto o intelligenza col nemico perché intelligenza e aiuto ai fini del reato dovevano avere per substrato il danno dello Stato italiano e il vantaggio per i tedeschi. Inoltre la sentenza afferma che Martina agì per rappresaglia contro Momigliano che non aveva restituito a Martina il denaro che gli doveva. Il dolo del reato di collaborazionismo è il tradimento, ma essendo la denuncia motivata da rappresaglia e non da tradimento non c’è dolo e in ogni caso da tale azione non derivano un danno allo Stato italiano e un aiuto al nemico. Inoltre la Corte non ha motivato sul dolo. Errata applicazione delle attenuanti e della riduzione di pena. La Corte non ha applicato le attenuanti ex art. 7 Dll 159 per attività di aiuto ai partigiani e contro il nazifascismo e non ha motivato la decisione.

- Sentenza Corte di Cassazione:
Data: 30.01.1947
Esito: annullamento senza rinvio
Motivazioni: reato estinto per amnistia.

Esecuzione della pena:
- Carcerazione preventiva: dal 16.08.1945 al 09.06.1946

- Pena: dal 09.06.1946 al 05.07.1946
Durata prevista della detenzione: 3 anni e 8 mesi
Durata effettiva della detenzione: 26 giorni

- Provvedimenti di clemenza: amnistia (Togliatti)
06/06/1946
Collocazione archivistica del fascicolo processuale: ASTO, Sezioni Riunite, Corte d’Assise di Torino - Sezione Speciale, Fascicoli processuali, mazzo 252. Collocazione archivistica in Istoreto: fondo "Sentenze della magistratura piemontese (1945-1960)".

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Mira Roberta 31/10/2023
Colombini Chiara 31/10/2023
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Come citare questa fonte. Processo contro Martina Cesare (RG. N. 58/1946)  in Archivio Istoreto, fondo Processi Corti d'Assise Straordinarie del Piemonte e della Valle d'Aosta [IT-C00-FA18639]
Ultimo aggiornamento: sabato 19/12/2020