C00/00995/00/00/00014
Beltrame Antonio Corte di Cassazione di Milano
Sezione Speciale
Composizione del Collegio:
Presidente: Michele Giuliano
Consiglieri: Badia, Guidi, Azzolina, Palazzo
Sentenza impugnata:
Corte d’Assise straordinaria di Torino
Sent. N. (s/n) del 10 luglio 1945
Emanata nei confronti di: Beltrame Antonio
Sentenza Corte di Cassazione:
Sent, n. 414 del 9 novembre 1945
Esito: annullamento con rinvio
- Dispositivo:
La Corte, visto l’art. 543 c.p.p. annulla la sentenza 10/07/1945 della Corte straordinaria di Assise di Torino contro Beltrame Antonio e rinvia la causa per nuovo esame alla Sezione Generale della Corte di Assise di Novara.
- Sintesi della motivazione:
La Suprema Corte giudica qui Beltrame Antonio, condannato in primo grado alla pena di dieci anni di reclusione per aver pubblicato sul quotidiano “la Stampa” due articoli (dd. 27 gennaio e 3 marzo 1944) con cui, secondo i giudici di merito, avrebbe favorito i disegni politici del nemico e menomato la fedeltà dei cittadini verso lo Stato italiano, ai sensi dell’art. 58 c.p.m.g.
Il Collegio annulla la sentenza impugnata, accogliendo i motivi di ricorso presentati dal Beltrame.
Innanzitutto, si ritiene difettino di motivazione le considerazioni della Corte torinese sul contenuto dei due articoli contestati all’imputato, in relazione ai quali non si era verificato il reale intento del Beltrame.
Secondo i giudici di legittimità, relativamente al primo articolo (27/1/1944), l’imputato si sarebbe limitato a ragionare sul fatto che gli stipulatori dell’armistizio non avevano tenuto conto dei sentimenti che animavano i soldati italiani nei confronti dei tedeschi e della difficoltà di imporre alle forze armate italiane di combattere contro chi fino a poco prima era stato loro alleato.
Inoltre, sempre in riferimento a questo primo articolo, si ritiene che la C.a.s. torinese non abbia considerato, nel giudicarne il contenuto, le correnti diffuse nell’opinione pubblica (anche in quella ostile al regime) in punto di partecipazione dell’Italia al conflitto ed esito dello stesso, oltre alla logica militare propria del Beltrame.
In ordine al secondo articolo del 3/03/1944, invece, la Corte ravvisa difetto di motivazione – pur ritenendo incensurabili varie valutazioni svolte dal Collegio di primo grado – riguardo all’asserzione secondo cui il Beltrame avrebbe richiamato lo Stato Maggiore italiano al rispetto del principio di leale collaborazione nei confronti di quello tedesco.
Carente, inoltre, la motivazione sull’idoneità degli articoli a giovare ai disegni politici del nemico ex art. 58 c.p.m.g. La corte di merito avrebbe infatti dovuto indagare se il Beltrame, il quale si era, secondo la Cassazione, semplicemente «limitato ad esprimere e per giunta in una forma non troppo esplicita le sue simpatie verso i nazifascisti, ad elogiare il capo della sedicente RSI ed a riversare sul capo del governo italiano, sullo Stato Maggiore italiano e sui preposti alla preparazione bellica la responsabilità degli insuccessi e delle sciagure del passato», manifestando tali simpatie «potesse influire sull’opinione pubblica inducendo una parte della popolazione ad aiutare i nazifascisti o quantomeno ad astenersi da atti ostili in danno dei medesimi».
Rileverebbe a tal proposito il fatto che, pur guardando di buon occhio all’RSI, egli avesse preferito il ritorno alle occupazioni civili e non la continuazione del servizio militare, cosa che riduceva «notevolmente la forza di qualsiasi sua affermazione o argomentazione e poteva in molti ingenerare la convinzione che egli, benché simpatizzante per i nazifascisti, non considerasse […] conveniente la partecipazione alla lotta al loro fianco».
Anche in relazione al dolo dell’imputato viene ravvisato difetto di motivazione. La Corte avrebbe dovuto meglio sondare i sentimenti che l’avevano indotto a scrivere i due articoli, dai quali erano facilmente desumibili soltanto «il desiderio […] di ingraziarsi i principali esponente della RSI» e «l’espressione del dolore di un vecchio militare per la disgregazione dell’esercito italiano». Il movente di giovare al nemico apparirebbe una forza limitata e si sarebbe, sul punto, dovuto meglio motivare dal momento che «si sarebbe potuto avere quantomeno il dubbio che quei sentimenti avessero tolto all’imputato la coscienza di tale eventuale idoneità».
Il Supremo Collegio ritiene inoltre di dover accogliere anche gli altri due motivi di ricorso presentati dal Beltrame. La C.a.s. non avrebbe svolto un esame completo né in ordine alla concessione della diminuente di cui all’art. 7, lett. B, d.lgs.lgt. 159/1944, rivolta a chi avesse partecipato attivamente alla lotta contro i tedeschi, né con riguardo alla concessione delle attenuanti generiche/previste dall’art. 26 c.p.m.g. – non ammesse dalla Corte territoriale per la qualità di decorato del Beltrame, che avrebbe reso più efficace la propaganda da lui svolta. Ritiene il Collegio che: non è affatto presunto che la condizione di decorato al valore aumentasse l’efficacia dei suoi articoli; non devono da ciò necessariamente escludersi i benefici menzionati, dal momento che il giudice è sempre chiamato a valutare, al fine di giudicare sulla concessione degli stessi, anche la personalità dell’imputato.
- Massime:
Difetta di motivazione la sentenza che, nel giudicare su articoli di giornale ritenuti favorevoli ai disegni politici del nemico, non si preoccupi di verificare se l’articolista, nel redigerli, approvasse o condividesse le attività del nemico o se, invece, fosse mosso da altri sentimenti – quali, ad esempio, l’opportunistica finalità di ingraziarsi gli esponenti della RSI o il generale sentimento di dolore del militare dinnanzi alla disgregazione dell’esercito italiano.
Non è necessariamente idonea ad integrare il delitto di cui all’art. 58 c.p.m.g. la pubblicazione di due articoli da cui si desuma una certa simpatia verso i nazifascisti o la repubblica sociale italiana, dovendosi in ogni caso valutare se ed in che modo essi possano influire sull’opinione pubblica inducendo parte della popolazione ad aiutare il nemico o, quantomeno, a non opporsi ad esso.
Ai fini della valutazione sulla concessione o meno delle circostante attenuanti, il giudice, anche dinnanzi a conseguenze gravi del reato, non è dispensato dal considerare la personalità dell’imputato e le circostanze del reato stesso.
Ai fini del giudizio sulla concessione o meno di circostanze attenuanti, le benemerenze militari sono circostanze che influiscono sulla valutazione giudiziale non solo in ordine alla personalità dell’imputato, ma anche in rispetto al fatto di reato, potendolo far apparire come la conseguenza di una momentanea aberrazione o di particolari circostanze che rendono il reo meritevole di considerazione.
09/11/1945
Come citare questa fonte. Beltrame Antonio in Archivio Istoreto, fondo Processi nelle Corti di Cassazione. Sentenze in materia di collaborazionismo [IT-C00-FA19596]