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Fascicolo: Bernocco Ernesto e altri

C00/00995/00/00/00016
Bernocco Ernesto e altri
Corte di Cassazione di Roma
Sezione II penale
Composizione del Collegio:
Presidente: Provera
Consiglieri: Maiorana, Misasi, Pietri, Vittori, Del Guercio, Vista

Sentenza impugnata:
Sezione Speciale della Corte d’Assise di Torino
Sent. N (s/n) del 31 luglio 1946
Emanata nei confronti di: Bernocco Ernesto, Barale Serafina, Barale Bartolomeo, Falco Teresa, Chiecchio Paolo, Borino Clemente

Sentenza Corte di Cassazione:
Sent, n. 201 del 13 maggio 1948
Esito: inammissibile il ricorso di Chiecchio; rigetto dei ricorsi di Barale S., Barale B., Falco e Bonino; parziale accoglimento del ricorso di Bernocco

- Dispositivo:
La Corte Suprema di Cassazione, visti gli art. 539 e 549 c.p.p.:
A) Dichiara inammissibile il ricorso proposto da Chiecchio Paolo avverso la sentenza 31 luglio 1946 della sez. spec. della Corte d’Assise di Torino, per l’avvenuta rinuncia del ricorso stesso;
B) Rigetta i ricorsi avverso la sentenza medesima proposti da Barale Serafina, Barale Bartolomeo, Falco Teresa e Bonino Clemente;
C) In accoglimento dell’ultimo motivo del ricorso proposto anche da Bernocco Ernesto avverso tale sentenza, dichiara condonata di un altro anno la pena a lui inflitta – e rigetta il ricorso nel resto;
D) Condanna il Chiecchio, la Barale Serafina, il Barale Bartolomeo, la Falco e il Bonino solidalmente alle spese processuali, ed al pagamento ciascuno di lire 4000 nella Cassa delle ammende.

- Sintesi della motivazione:
Il Collegio giudica qui la posizione giuridica di tale Bernocco Ernesto e dei coimputati, condannati in primo grado per i delitti di collaborazionismo col nemico e ricettazione.
Il Bernocco, imputato principale, era stato accusato di aver sottratto, sfruttando la sua vicinanza col marchese Fracassi, membro del CLN, diversi milioni di lire dal nascondiglio in cui era stato occultato il c.d. “tesoro” della IV armata, trasportato dalla Francia in Italia per mano del generale Operti e seppellito nella cascina del soldato Chiecchio Paolo, coimputato. Il Bernocco aveva partecipato alle operazioni di rinvenimento e spostamento delle cassette in cui era custodito il denaro e, anticipando il maresciallo Bertolato, inviato anch’egli alle operazioni poiché uomo di fiducia del Fracassi, era riuscito a sottrarre più di 21 milioni di franchi dalle stesse, donandone una parte al Chiecchio. I due avevano poi consegnato parte della somma agli altri coimputati, loro parenti, per meglio nasconderlo.
Il Bernocco era inoltre accusato di collaborazionismo col nemico. Egli, infatti, una volta capito che ciò gli avrebbe maggiormente garantito il mantenimento del denaro rubato, si era avvicinato agli ambienti nazifascisti; facendo così il doppio gioco e continuando a frequentare gli ambienti partigiani, aveva fornito notizie sui partigiani, fatto eseguire arresti, partecipato a rastrellamenti e così via.
Unitosi, infine, al c.d. “reparto autonomo Contarini” negli ultimi giorni della lotta partigiana, era stato accusato di aver trafugato «pei suoi profitti» diversi beni dai magazzini dell’albergo “Principe di Piemonte” ove il reparto era insediato.
La Corte di merito condannava il Bernocco alla pena d 23 anni di reclusione e 10 mila lire di multa per collaborazionismo politico e furto aggravato continuato, con condono di un terzo della pena (pena residua: 15 anni di reclusione e settemila lire di multa); la Barale, moglie del Bernocco, a 2 anni di reclusione e 3 mila lire di multa per ricettazione (pena condonata), assolvendola dal reato di collaborazionismo; il Bonino e il Chiecchio a 2 anni di reclusione e 2 mila lire di multa (pena condonata); assolveva infine, per insufficienza di prove, la Falco e il Barale dal reato di ricettazione.
Ricorrevano il Chiecchio (che rinunciava poi al ricorso), il Bonino, il Bernocco, la Barale S., il Barale B. e la Falco.
La Corte rigetta innanzitutto quattro dei cinque motivi di ricorso presentati dal Bernocco: il difetto di motivazione in ordine alla sua responsabilità per il furto dei milioni dalle cassette e del materiale dall’albergo “Principe di Piemonte”; la mancata applicazione dell’amnistia ex R.D. 5 aprile 1944, n. 96; l’insussistenza del reato di collaborazionismo e la mancata applicazione dell’amnistia d.p. 22 giugno 1946, n. 4.
La corte di merito avrebbe infatti vagliato accuratamente le risultanze processuali una per una, e pertanto «non può davvero dirsi che la sentenza manchi di motivazione»; ciò anche in ragione delle prove «troppo evidenti» assunte in primo grado, che dimostravano la responsabilità penale del Bernocco per entrambi i furti contestatigli.
Ed è vero – sostiene ancora il Collegio – che il Bernocco aveva aiutato i partigiani, ma egli l’aveva fatto per mero tornaconto personale e per volontà di assicurarsi la refurtiva rubata: questo doppio gioco, che aveva portato l’imputato ad avvicinarsi al nemico in reazione all’insistenza dei partigiani di capire dove fosse finito il denaro sottratto, dimostra secondo i giudici di legittimità «quanto abbietta è la sua figura», mossa unicamente da scopo di lucro. Pertanto, non è ammissibile l’applicazione dei benefici previsti dal RD 5 aprile 1944, n. 96 o DP 22 giugno 1946, n. 4 poiché il primo ne esclude i reati commessi con fine che sia stato in contrasto con la liberazione della patria dall’occupante e il secondo ne esclude il collaborazionismo commesso con fine di lucro.
Deve essere accolto, invece, il quinto motivo di ricorso del Bernocco e deve quindi essere applicato il condono di cui ad entrambi i decreti già menzionati: di conseguenza, la Corte dispone che la pena sia ulteriormente diminuita di un anno.
Per quanto riguarda i ricorsi degli altri ricorrenti, il Collegio rigetta.
La Barale Serafina e il Bonino avevano lamentato il difetto di motivazione in ordine alla condanna per ricettazione, ma la Corte ribadisce tale imputazione, alla luce dei fatti di causa ampiamente sondati in primo grado. Il Barale Bartolomeo e la Falco, invece, avevano impugnato la sentenza di primo grado, assolutoria con formula dubitativa, chiedendo l’assoluzione con formula piena: anche in tal caso la Cassazione conferma quanto sostenuto dalla Corte di merito la quale avrebbe dimostrato, «con valutazione insindacabile delle risultanze processuali, che si può solo dubitare, non già escludere» che essi sapessero la provenienza delittuosa del denaro, elemento costitutivo del reato di ricettazione a loro imputato.

- Massime:
Non possono essere invocati provvedimenti di clemenza dipendenti dall’aiuto fornito ai partigiani se tale aiuto, pur esistente, sia stato fornito sfruttando una posizione di ambiguità e doppiezza finalizzata alla sola tutela del proprio interesse personale.

Non può essere emessa sentenza di condanna per ricettazione qualora vi sia il dubbio sull’effettiva contezza dell’origine delittuosa della merce da parte dell’imputato. Se il dubbio persiste, però, parimenti non può essere emessa sentenza di assoluzione con formula piena.
13/05/1948


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Gallo Giacomo 26/06/2024
Di Massa Maria 26/06/2024
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Come citare questa fonte. Bernocco Ernesto e altri  in Archivio Istoreto, fondo Processi nelle Corti di Cassazione. Sentenze in materia di collaborazionismo [IT-C00-FA19598]
Ultimo aggiornamento: sabato 19/12/2020