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Fascicolo: Cera Gino

C00/00995/00/00/00028
Cera Gino
Corte di Cassazione di Milano
Sezione Speciale
Composizione del Collegio:
Presidente: Giulio Toesca
Consiglieri: Badia, Fazzani, Violante, Azzolina

Sentenza impugnata:
Corte d’Assise straordinaria di Torino
Sent. N. (s/n) del 2 agosto 1945
Emanata nei confronti di: Cera Gino

Sentenza Corte di Cassazione:
Sent, n. 173 del 31 agosto 1945.
Esito: rigetto

- Dispositivo: La Corte, visti gli art. 537 e 549 c.p.p., rigetta il ricorso.

- Sintesi della motivazione:
Con questa sentenza la Suprema Corte di Cassazione, sezione speciale di Milano, rigetta il ricorso proposto dalla difesa di Cera Gino, già condannato dalla Corte Straordinaria di Assise di Torino alla pena di morte perché ritenuto responsabile di collaborazionismo bellico col nemico ex art. 51 c.p.m.g.
Dal settembre 1943 all’aprile 1945 il Cera, capitano della Guardia Nazionale Repubblicana al comando di circa novanta militi dislocati per quarantacinque giorni a Sestriere, si era macchiato, personalmente o in qualità di comandante del contingente, di svariati crimini nelle valli di Susa e Chisone quali devastazioni, saccheggi, rastrellamenti, catture di partigiani, sevizie, torture ed esecuzioni di partigiani della zona, fra cui alcune impiccagioni al balcone delle loro abitazioni «perché […] bisognava dare un esempio nel luogo di residenza» o ad alcuni alberi a Villar Perosa. I giudici di merito lo avevano inoltre ritenuto responsabile dell’esecuzione a colpi di mitra di una giovane civile, la quale stava cercando di scappare dal luogo in cui si trovava in arresto, dopo essersi rifiutata di tradurre un biglietto riconducibile ai partigiani.
Il nutrito impianto difensivo, rigettato in toto, oltre ad alcuni aspetti preliminari riguardanti l’ammissione dei testimoni e la dichiarazione della contumacia del Cera, verteva intorno a diversi aspetti: l’asserito vizio di mente dell’imputato (si lamentava anche rifiuto della C.a.s. di sottoporlo a perizia psichiatrica); l’assenza di dolo per aver semplicemente eseguito gli ordini ricevuti, nonché per un presunto errore di fatto sulla legittimità degli ordini stessi; la presenza di scriminanti – nello specifico: stato di necessità, trovandosi l’imputato in stato di «costringimento psichico (violenza morale compulsiva) per parte dei tedeschi e del suo comando superiore provinciale», legittima difesa, trovandosi egli «di fronte alla violenta azione partigiana», e uso legittimo delle armi, per il quale veniva invocato perlomeno l’eccesso ex art. 55 c.p.; la richiesta di applicazione di circostanze attenuanti, perlomeno generiche (art. 62 bis c.p.); la violazione del principio di irretroattività, con riferimento ai d.lgs.lgt citati.
La Corte, passando in rassegna tutte le censure della difesa e non accogliendone alcuna, dichiara legittima la decisione impugnata.
In riferimento alla contumacia, i giudici ritennero che le motivazioni addotte dal Cera (attacchi febbrili violenti di origine malarica) non fossero tali da impedirgli di comparire e che tale libera valutazione del collegio torinese, «insindacabile in questa sede», non potesse formare oggetto di impugnazione ai sensi dell’art. 497 c.p.p. Anche in merito all’esclusione dei testimoni a difesa fu evidenziata la natura insindacabile della decisione, essendo essa «un provvedimento di ordine discrezionale, che non ha bisogno normalmente di essere giustificato, salvo che non si determini un punto di contrasto fra le parti», cosa non avvenuta nel caso in questione.
Circa la denegata perizia psichiatrica, la Corte ritenne che, sulla base delle motivazioni avanzate – di carattere medico (sifilide, epatite cronica, anemia, malaria, coliti), ma anche relative al servizio militare dell’imputato (un precedente congedo assoluto, avvenuto nel 1933, e la cattura in Kenya nel 1941) – nonché dalla deposizione di una teste, mancassero «assolutamente gli indizi gravi e fondati richiesti dalla legge per disporre un esame psichiatrico sullo stato di mente dell’imputato», non essendo appoggiati da alcun elemento positivo i dubbi della difesa. La Corte ritenne che «il servizio da lui prestato, prima nel regio esercito dove aveva conseguito il grado di capitano, e nella repubblica fascista, poi, era assolutamente incompatibile con l’asserito vizio di mente», inoltre «le molteplici manifestazioni di criminalità da lui date dimostravano non una coscienza o volontà menomate, ma un animo malvagio che si compiace del delitto, un criminale di guerra che aveva agito in un clima di violenza sistematica e organizzata»: ne consegue il giudizio di piena capacità di intendere e di volere del Cera.
Il Collegio ritiene ancora che, per i comportamenti da lui posti in essere e per quelli commessi dai suoi militi (cui aveva assistito, che aveva permesso o che aveva ordinato), potessero ravvisarsi tutti gli elementi soggettivi e oggettivi del delitto di collaborazione bellica col nemico ai sensi dell’art. 51 c.p.m.g., come ampiamente e correttamente motivati nella sentenza impugnata. Esclude, perciò, «in modo assoluto che egli avesse commesso i fatti ritenuti a suo carico per costringimento fisico o psichico del comando tedesco o del comando superiore provinciale», attesa la sua facoltà di agire con ampi poteri nella zona e di decidere liberamente per sé e per i militi.
Quanto alle cause esimenti, si esclude che il Cera avesse agito in adempimento di un dovere o per errore di fatto sulla legittimità degli ordini ricevuti: sia perché egli agì, come dimostrato dal giudice di merito, con assoluta libertà di azione e con autonomia di comando; sia perché eventuali ordini in tal senso, qualora vi fossero stati, sarebbero stati manifestamente illegittimi e, ai sensi dell’art. 40 c.p.m.g., non avrebbero escluso la responsabilità penale del ricorrente. Anche la legittima difesa venne esclusa poiché nessun fatto contestato avvenne in combattimento o per difendersi da pericoli attuali; i giudici sottolineano, al contrario, come fu il Cera ad attaccare, «previa azione di fuoco e con l’aiuto dei tedeschi», i partigiani.
Nessuna giustificazione, infine, per l’uso legittimo delle armi dal momento che i partigiani catturati non rappresentavano un pericolo per la brigata nera.
In merito alla concessione di attenuanti, la Corte evidenzia come i fatti commessi avessero raggiunto «i vertici della più alta, più antisociale e più ripugnante criminalità» e che pertanto non si potesse accordare alcuna diminuzione di pena – né quelle previste dagli artt. 48 e 26 c.p.m.g. né quelle di cui all’art. 62 bis c.p. («ripugnava alla sua coscienza di concedergli il beneficio, anch’esso invocato, delle attenuanti generiche»).
Infine, in sentenza si esclude la violazione del principio di irretroattività della legge penale, essendo i citati d.l.lgt. mere specificazioni, adeguate a nuove situazioni di fatto, di reati già presenti nell’ordinamento penale (artt. 118, 120, 241 c.p.) non contenendo, invece, reati nuovi applicati retroattivamente.
Per tutte queste ragioni la Corte respinge il ricorso e conferma la sentenza impugnata.

- Massime:
La valutazione del giudice di merito sulla presenza o meno dei gravi indizi necessari per disporre un esame psichiatrico sull’imputato, qualora sia basata su elementi logicamente accettabili, non può essere oggetto di censura in sede di legittimità.

L’ammissione e l’esclusione di testimoni è atto discrezionale (perciò insindacabile) del giudice del merito, che non necessita di giustificazioni salvo che non si determini, sul punto, un contrasto fra le parti in giudizio.

L’aver agito con piena libertà di azione e con autonomia di comando, se da un lato può perfettamente manifestare la presenza di dolo, osta alla concessione dell’esimente di cui all’art. 51 c.p. (adempimento di un dovere).

Ai sensi dell’art. 40 c.p.m.g., non è esclusa la responsabilità penale se si agisce in adempimento ad ordini ricevuti, quando tali ordini riguardano condotte che manifestamente integrano reato.

Non può essere invocata la scriminante della legittima difesa, né tantomeno quella dell’uso legittimo delle armi, se i fatti posti in essere contro membri del movimento partigiano siano stati compiuti al di fuori del combattimento o nei confronti di soggetti che non rappresentavano un pericolo.

La concessione di circostanze attenuanti è rimessa alla valutazione del giudice di merito e, qualora sia congruamente motivato il consenso o il diniego delle stesse, la decisione è incensurabile.

Non vi è violazione del principio di irretroattività della legge penale se si fa applicazione di una norma che, riprendendo fattispecie precedenti analoghe, ne rappresenti una mera precisazione, più adeguata alla nuova situazione di fatto.
31/08/1945


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Gallo Giacomo 28/06/2024
Di Massa Maria 28/06/2024
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Come citare questa fonte. Cera Gino  in Archivio Istoreto, fondo Processi nelle Corti di Cassazione. Sentenze in materia di collaborazionismo [IT-C00-FA19610]
Ultimo aggiornamento: sabato 19/12/2020