C00/00995/00/00/00037
Di Marco Vincenzo Corte di Cassazione di Roma
Sezione II penale
Composizione del Collegio:
Presidente: Giuliano
Consiglieri: Pannullo, Trasimeni, Vittori, Vista, Violante, Ricciardelli
Sentenza impugnata:
Sezione Speciale della Corte d’Assise di Torino
Sent. N (s/n) del 23 luglio 1946
Emanata nei confronti di: Di Marco Vincenzo
Sentenza Corte di Cassazione:
Sent, n. 831 del 18 giugno 1947
Esito: rigetto
- Dispositivo:
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso proposto da Di Marco Vincenzo. Dichiara condonati, della pena inflitta di anni ventotto di reclusione e lire quattromila di multa, anni nove e mesi quattro di reclusione, nonché l’intera pena della multa. Condanna il ricorrente alle spese del procedimento e a pagare alla Cassa delle ammende la somma di lire duemila.
- Sintesi della motivazione:
L’imputato, sottoufficiale di carriera, era stato ritenuto, dalla Corte di primo grado, colpevole dei reati di collaborazionismo bellico col nemico e di furto continuato pluriaggravato e perciò condannato alla pena complessiva di ventotto anni di reclusione e lire 4000 di multa. Egli aveva partecipato ad alcuni rastrellamenti, maltrattato qualche detenuto, e, nella notte del 5 aprile 1945, ucciso due partigiani, oltre ad essersi impossessato di indumenti, viveri e altri beni in occasione di alcune perquisizioni compiute.
La Suprema Corte non accoglie i motivi di ricorso del Di Marco, stante la motivazione «completa, accurata, corretta» e pienamente aderente alle risultanze processuali della sentenza impugnata.
Le uccisioni contestate non sarebbero state mosse da intento difensivo, non essendovi stato alcuno scontro armato dato che «i due procedevano in bicicletta, non spararono e non risulta neppure che fossero armati». Né poteva ritenersi che il Di Marco si trovasse in un particolare stato di esaltazione dovuto all’assalto della caserma di Volpiano ad opera dei partigiani, circostanza smentita pienamente dai giudici di merito. Infine, i fatti non potevano configurarsi come aiuto politico ai sensi dell’art. 58 c.p.m.g. dal momento che, come affermato da costante giurisprudenza della Cassazione stessa, l’uccisione di «partigiani, e cioè di combattenti contro i tedeschi, era atto di collaborazione militare, in quanto eliminava dal campo di battaglia tali combattenti e agevolava il nemico nelle sue operazioni militari».
Ciò nonostante, si riconosce la possibilità di condono della pena ai sensi dell’art. 9 d.p. n. 4/1946.
- Massima:
L’uccisione di partigiani combattenti contro il tedesco invasore configura cooperazione bellica col nemico ai sensi dell’art. 51 c.p.m.g.
18/06/1947
Come citare questa fonte. Di Marco Vincenzo in Archivio Istoreto, fondo Processi nelle Corti di Cassazione. Sentenze in materia di collaborazionismo [IT-C00-FA19619]