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Fascicolo: Lesca Maria

C00/00995/00/00/00058
Lesca Maria
Corte di Cassazione di Roma
Sezione II penale
Composizione del Collegio:
Presidente: Giuliano
Consiglieri: Colucci, Armao, Badia, Del Guercio, Violante, Vittori

Sentenza impugnata:
Sezione Speciale della Corte d’Assise di Torino
Sent. N (s/n) del 7 febbraio 1947
Emanata nei confronti di: Lesca Maria

Sentenza Corte di Cassazione:
Sent, n. 109 del 12 febbraio 1948
Esito: annullamento con rinvio

- Dispositivo:
visto l’art. 543 c.p.p., annulla la sentenza 7 febbraio 1947 della prima sezione speciale della Corte di Assise di Torino contro Lesca Maria per difetto di motivazione sul concorso negli omicidi e rinvia la causa, per il riesame di tale punto, alla Corte di Assise di Alessandria.

- Sintesi della motivazione:
L’imputata, Lesca Maria, veniva condannata in primo grado alla pena di 30 anni di reclusione essendo stata ritenuta responsabile di collaborazionismo politico col nemico e di omicidio.
Ella, infatti, si era macchiata di diverse attività a supporto dell’attività nazifascista: delazioni (una delle quali condusse persino all’uccisione, a Rivalba Torinese, di tali Achille Ceresole e Malli Aldo) e varie condotte con cui esortava i membri dell’UPI a svolgere interrogatori, indagini o li determinava nell’agire con minacce, maltrattamenti, incarcerazioni e perquisizioni a danno di svariati membri del movimento di liberazione nazionale. La ricorrente, anzi, partecipava attivamente agli interrogatori degli arrestati, addirittura opponendosi ad eventuali decisioni di clemenza da parte dei membri dell’UPI.
La ricorrente presentava due motivi di ricorso: lamentava difetto di motivazione in relazione alla sua partecipazione nell’uccisione del Ceresole e del Malli; si doleva della mancata applicazione dell’amnistia ex d.p. 22 giugno 1946, n. 4.
Preliminarmente, il Collegio ribadisce il convincimento del giudice di merito, secondo cui la Lesca avrebbe partecipato alla spedizione di Rivalba, teatro della duplice uccisione menzionata. La Corte di primo grado avrebbe dato «ampia dimostrazione» sul punto, con un «complesso di considerazioni immuni da vizio logico», a tal punto che neanche la stessa interessata avrebbe «osato» dedurre specifico motivo di ricorso. Ciò detto, però, indica come «deficiente ed inidonea a sorreggere la decisione» la motivazione sulla partecipazione della Lesca alle uccisioni.
Nella sentenza impugnata non solo si affermava che la ricorrente aveva ricercato l’esatta ubicazione della villa ove poi sarebbero stati commessi gli omicidi e che aveva accompagnato gli agenti dell’UPI che vi si erano recati, ma si sosteneva anche che ella aveva dato l’ordine di sparare (sostenendo che, ad ogni modo, il concorso nelle uccisioni sarebbe comunque sussistito, anche nell’«inferiore e denegata ipotesi» che a dare l’ordine fosse stato il solo maresciallo De Amicis, ivi presente, senza che ella si opponesse).
Manca però congrua motivazione sul punto.
La Corte avrebbe dovuto meglio indagare, poiché sul punto erano state rese due deposizioni, contrastanti, da parte del medesimo testimone: in un primo momento, che l’ordine di sparare fosse provenuto tanto dal De Amicis che dalla Lesca; in seguito, che il De Amicis aveva dato l’ordine da solo mentre la Lesca aveva semplicemente detto “che nessuno scappi”.
Il giudice a quo avrebbe dovuto «proporsi il quesito se la rettifica della prima dichiarazione […] dovesse spiegarsi come un tentativo di giovare all’imputata ovvero considerarsi come dovuto alla volontà del teste di essere più preciso» e, qualora avesse dato credito alla seconda dichiarazione, avrebbe dovuto dare ragione del suo convincimento, chiedendosi anche se la Lesca avesse agito «per incitare gli agenti […] anche a sparare per evitare la fuga di chi avesse tentato di allontanarsi, ovvero si fosse proposta soltanto di esortarli a porre il massimo impegno per il buon esito dell’operazione, senza per altro rappresentarsi alla mente l’eventualità dell’esplosione di colpi d’arma da fuoco».
Il Collegio ravvisa inoltre illogicità nell’affermazione della responsabilità della ricorrente in ogni caso, anche se a dare l’ordine di sparare fosse stato il solo De Amicis, non potendosi applicare l’art. 40 cpv. c.p. essendo insussistente qualsiasi obbligo di impedire l’evento criminoso in capo alla stessa. E siccome l’organizzazione e il comando della spedizione ricadevano in capo al De Amicis, la Corte di merito non avrebbe potuto ravvisare alcuna responsabilità della Lesca per l’ordine da lui solo impartito.
Proprio perché le uccisioni di cui si tratta non implichino necessariamente una responsabilità penale in capo alla ricorrente, la Corte di merito avrebbe dovuto indagare e motivare con maggiore cura sul punto. Il giudice di legittimità ritiene pertanto che «l’indubbia erroneità delle considerazioni della Corte di merito […] concorre a rendere anche più evidente l’inidoneità della motivazione a sorreggere la decisione impugnata».
Il secondo motivo di ricorso viene dichiarato infondato.

- Massime:
Difetta di motivazione la sentenza che, in presenza di più deposizioni contrastanti che il medesimo teste ha reso nel corso del processo e dalle quali si possa dedurre la responsabilità penale dell’imputato, non approfondisca in modo congruo sul punto e, conseguentemente, non motivi le ragioni della propria decisione.

Viola l’art. 40 cpv. c.p. l’attribuzione di responsabilità per omicidio al soggetto che non abbia impedito l’evento criminoso, quando non sussisteva alcun obbligo in tal senso in capo allo stesso.
12/02/1948


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Gallo Giacomo 02/07/2024
Di Massa Maria 02/07/2024
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Come citare questa fonte. Lesca Maria  in Archivio Istoreto, fondo Processi nelle Corti di Cassazione. Sentenze in materia di collaborazionismo [IT-C00-FA19640]
Ultimo aggiornamento: sabato 19/12/2020