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Fascicolo: Novena Spirito e altri

C00/00995/00/00/00070
Novena Spirito e altri
Corte di Cassazione di Roma
Sezione II penale
Composizione del Collegio:
Presidente: De Ficchy
Consiglieri: Properzi, Trasimeni, Cataldi, Pietri, Ricciardelli, Vista

Sentenza impugnata:
Sezione speciale della Corte d’Assise di Torino
Sent. N. (s/n) del 21 marzo 1946
Emanata nei confronti di: Novena Spirito, Gavello Natale, Simionato Sergio, Martinat Lamy Giovanni, Alesso Giovanni, Marchionni Guido, Racca Giovanni, Frison Davide, Giaccone Giuseppe

Sentenza Corte di Cassazione:
Sent, n. 7 del 7 gennaio 1947
Esito: annullamento senza rinvio per Alesso, Frison e Marchionni; rigetto per gli altri.

- Dispositivo:
Visti gli art. 537, 539 n. 1, 549 c.p.p., annulla senza rinvio nei rapporti di Alesso perché il fatto non costituisce reato.
Annulla senza rinvio nei rapporti di Frison e di Marchionni perché estinto il reato per amnistia.
Per Giaccone rigetta, col condono di cinque anni.
Per Gavello rigetta, col condono di otto anni.
Per Martinat Lamy rigetta, col condono di anni nove e mesi quattro.
Per Novena, Simionato e Racca, rigetta.
Condanna Giaccone, Gavello e Martinat Lamy al pagamento delle spese del procedimento e della somma di lire duemila ciascuno alla Cassa delle ammende.

- Sintesi della motivazione:
La sentenza riguarda gregari e graduati della brigata nera di Pinerolo (ad eccezione del Racca, membro della G.n.r.), macchiatisi di una cinquantina di episodi – rastrellamenti, fucilazioni, sevizie, perquisizioni, requisizioni arbitrarie, spionaggio - compiuti a favore del tedesco. La brigata nera era stata «per un anno il vero terrore del Pinerolese», compiendo le proprie azioni con spiccata brutalità e assoluta mancanza di pietà o umanità.
Il giudice di primo grado condannava gli imputati per collaborazionismo bellico col nemico ai sensi degli artt. 51 e 54 c.p.m.g., ad eccezione del Marchionni (condannato ex art. 58 c.p.m.g), dell’Alesso (assolto per insufficienza di prove) e del Frison (dichiarato non imputabile poiché minore). Infliggeva quindi a Novena, Simionato e Racca la pena di morte; a Martinat Lamy 28 anni di reclusione; a Gavello 24; a Giaccone 12 e a Marchionni 10.
Ricorrevano tutti, ciascuno adducendo svariati motivi.
La S.C. accoglie innanzitutto la doglianza dell’Alesso, rilevando l’illogicità della decisione impugnata che, dopo aver ravvisato nel ricorrente una volontà contraria a collaborare col nemico (era stato infatti arruolato per forza e sotto minacce), l’aveva assolto per insufficienza di prove. Annulla pertanto senza rinvio e assolve l’Alesso con formula piena, perché il fatto non costituiva reato.
Anche riguardo al Marchionni e al Frison la sentenza di primo grado viene annullata senza rinvio, essendosi i reati a loro contestati estinti per effetto dell’amnistia d.p. 4/1946 (applicabile anche nei confronti del Frison, minorenne all’epoca dei fatti, indipendentemente dalla sua imputabilità).
Quanto agli altri concorrenti, il Collegio rigetta.
Viene ribadita la qualificazione giuridica dei fatti resa dalla Corte di merito, che li aveva inquadrati nel perimetro dell’art. 51, invece che del 58 c.p.m.g. Questo perché – a differenza di quanto lamentato da cinque fra i ricorrenti – «ogni azione diretta e compiuta in danno delle forze dei partigiani, quali combattenti della liberazione […] ed ogni azione diretta e compiuta contro singoli partigiani nella loro detta qualità, e contro i disertori e i renitenti dell’esercito repubblicano, costituiva quella collaborazione militare col nemico tedesco invasore». Tali azioni incidevano infatti «direttamente sulla compagine bellica delle formazioni partigiane, costituenti un vero e proprio esercito in campo contro l’invasore». E quanto al caso specifico del Racca, appartenente alla g.n.r. e non alle brigate nere, la S.C. afferma che, quando la g.n.r. era impiegata «all’infuori delle sue stesse attribuzioni poliziesche, e veniva affiancata alle brigate nere ed agli stessi tedeschi, o impiegata anche da sola in operazioni militari […] l’azione […] acquistava integrale carattere bellico» e non politico.
Né poteva accogliersi la qualificazione dei fatti come meri maltrattamenti di prigionieri ex art. 209 c.p.m.g., come ipotizzato dal Novena e dal Simionato, poiché tali sevizie erano state solo una delle tante manifestazioni concrete dell’attività collaborazionistica compiuta.
E ancora: nessuna censura poteva essere accolta con riferimento al dolo – avendo la Corte di merito sufficientemente chiarito la sussistenza di volontà e consapevolezza negli imputati – e nessun credito alla doglianza secondo cui, come sostenuto in alcuni ricorsi, gli imputati sarebbero incorsi in errore sul fatto, credendo di agire per un governo legittimo («dopo la dichiarazione di guerra, fatta dal governo legittimo alla Germania, era inammissibile non riconoscere nel tedesco invasore il nemico»).
Anche l’ultimo motivo comune (dedotto dal Novena e dal Simionato), con cui si lamentava violazione dell’art. 349 c.p.p. per avere il giudice accolto in giudizio «voci correnti nel pubblico», viene respinto poiché dichiarato inammissibile, non essendo stato esposto specificamente.
Quanto ai motivi proposti da singoli imputati, si afferma quanto segue.
Per il Novena, la Corte dichiara infondata la doglianza con cui lamentava il mancato riconoscimento del vizio parziale di mente, confermando quanto già sostenuto dal giudice di merito e cioè l’assenza di qualsiasi elemento che potesse far sorgere il benché minimo dubbio sulla sua infermità, da cui eventualmente sarebbe dipesa l’applicazione dell’art. 89 c.p. Afferma inoltre la mancanza di difetti motivazionali sulla mancata applicazione delle attenuanti generiche, avendo il Novena rivestito nel tempo svariati ruoli di comando, essendo stato partecipe di parecchi tra i fatti incriminati «nei quali egli si rese autore di sevizie atroci, di omicidi, di rastrellamenti, rapine ecc. personalmente da lui ordinati ed eseguiti», avendo agito di sua iniziativa, o comunque in esecuzione di ordini manifestamente illegittimi. «Nessun tratto di umanità in tanta, sì lunga, orrenda tragedia di misfatti», afferma la S.C., e, pertanto, corretta la negazione delle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p.
Quanto al Racca, i giudici respingono la richiesta di amnistia, avendo la sentenza impugnata dimostrato la sua partecipazione a fatti di omicidio come cooperatore e determinatore (come era stato sostenuto in alcune deposizioni testimoniali), e la concessione delle attenuanti generiche – rispetto alle quali non vi era alcun difetto di motivazione, avendo la Corte di merito sufficientemente sondato tanto la gravità dei fatti quanto la personalità del reo.
Riguardo al Martinat Lamy il Collegio rigetta, innanzitutto, la doglianza relativa alla mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 7 d.lgs.lgt.159/44 poiché gli atti compiuti dal ricorrente (interposizioni per impedire o attenuare le sevizie e per salvare partigiani) non costituirebbero condotte di lotta attiva contro i tedeschi, come espressamente richiesto dalla norma citata. Conferma poi la negazione dell’attenuante prevista dall’art. 48 c.p.m.p, così come della diminuente prevista all’art. 62, n. 1 c.p., non potendosi a quest’ultimo proposito ravvisare alcuno stato di necessità alla base delle condotte incriminate – tantomeno quella addotta dall’imputato, il necessario sostentamento della famiglia, che si sarebbe potuta ravvisare, semmai, qualora egli si fosse limitato ad iscriversi al reparto di cui faceva parte, senza commettere ulteriori azioni criminose.
Il Gavello propone due motivi, entrambi rigettati, con cui lamenta mancanza di motivazione sul dolo e sulla partecipazione alle uccisioni contestategli (questo secondo motivo di ricorso era particolarmente rilevante poiché legato all’applicabilità nei suoi confronti del decreto di amnistia). Per la S.C. la sentenza impugnata non merita alcuna censura, essendo in essa dimostrati sia la volontarietà del ricorrente che la sua partecipazione agli eventi citati.
Per il Simionato, il Collegio esclude l’applicabilità delle attenuanti di cui agli artt. 62, 62 bis e 114 c.p. nel Ricorso si sosteneva che l’imputato aveva agito senza libero arbitrio e per influenza e determinazione del padre, squadrista, ma la Corte rileva l’assenza, nelle risultanze processuali, di elementi che possano dar luogo «ad un semplice sospetto sulla menomazione nel Simionato della capacità di intendere e di volere e tutto il comportamento di lui […] importa necessariamente […] la pienezza della libera volontà di determinazione». Neanche la condizione familiare (oltre al padre, anche i due fratelli si erano arruolati nella brigata nera; tutti e tre erano morti per mano partigiana) avrebbe influito secondo i giudici, che avevano ravvisato una piena consapevolezza e volontà nel compiere le proprie azioni «senza rimorso e resipiscenza e senza pietà».
Nei riguardi del Giaccone, infine, la Cassazione esclude lo stato di necessità – prospettato dal ricorrente – avendo il giudice di primo grado sufficientemente motivato la sua partecipazione cosciente e volontaria ai fatti delittuosi, e rigetta la doglianza sul mancato vizio di mente perché, come affermato per il Novena, la sentenza impugnata aveva razionalmente escluso che vi fossero elementi su cui basare tale ipotesi.
Ad ogni modo, la Cassazione – ai sensi dell’art. 9, lett. c d.p. 4/1946 – condona di un terzo le pene detentive inflitte perché gli omicidi e gli altri fatti erano stati commessi per motivi politici.

- Massime:
Se dalle risultanze processuali risulta che un imputato non volesse collaborare col nemico e che avesse agito sotto costrizione, mancando pertanto l’elemento soggettivo del reato, deve essere pronunciata assoluzione con formula piena.

L’amnistia di cui al d.p. 22 giugno 1946, n. 4 è applicabile anche se il soggetto non è imputabile in quanto minorenne.

Azioni compiute in danno delle formazioni partigiane o singoli partigiani, costituenti un vero e proprio esercito in campo contro il tedesco invasore, integrano il reato di collaborazionismo bellico col nemico ai sensi dell’art. 51 c.p.m.g. anche qualora l’imputato appartenga ad un corpo di polizia impiegato per compiti militari.

Non può esservi violazione dell’art. 89 c.p. quando dagli elementi emersi nel procedimento non derivi alcun dubbio sull’integrità psichica dell’imputato.

Non difetta di motivazione la sentenza che, nel rigettare la concessione delle attenuanti generiche, ne motivi la scelta valutando, oltre alla mera gravità dei fatti, anche la personalità del reo.

Anche l’aver semplicemente determinato o concorso moralmente nell’omicidio costituisce causa ostativa per l’applicazione dell’amnistia d.p. 22 giugno 1946, n. 4.

L’attenuante di cui all’art. 7 d.lgs.lgt. 159/1944 può essere applicata solo in considerazione di vere e proprie azioni di combattimento – o al massimo di volontari atti ostili verso il nemico – e non in presenza di azioni che, per quanto encomiabili, non lo siano.

Il dolo consiste nella mera volontà di commettere le azioni compiute.

La partecipazione attiva, cosciente e volontaria a diversi fatti delittuosi, anche di particolare gravità, è incompatibile con il riconoscimento di aver agito in stato di necessità.

Ai sensi dell’art. 9, lett. c d.p. 22 giugno 1946, n. 4, le pene detentive inflitte devono essere condonate di un terzo se i fatti contestati siano stati commessi per motivi politici, nonostante la presenza di cause ostative all’applicazione dell’amnistia.
07/01/1947


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Gallo Giacomo 05/07/2024
Di Massa Maria 05/07/2024
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Come citare questa fonte. Novena Spirito e altri  in Archivio Istoreto, fondo Processi nelle Corti di Cassazione. Sentenze in materia di collaborazionismo [IT-C00-FA19652]
Ultimo aggiornamento: sabato 19/12/2020