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Fascicolo: Pirazzoli Verino

C00/00995/00/00/00078
Pirazzoli Verino
Corte di Cassazione di Roma
Sezione II penale
Composizione del Collegio:
Presidente: De Ficchy
Consiglieri: Colucci, Vita, Vista, Misasi, Violante, Pietri

Sentenza impugnata:
Corte d’Assise straordinaria di Novara
Sent. s/n del 20 marzo 1947
Emanata nei confronti di: Pirazzoli Verino

Sentenza Corte di Cassazione:
Sent, n. 915 del 4 luglio 1947
Esito: parziale annullamento con rinvio, rigetto nel resto

- Dispositivo:
Annulla la sentenza limitatamente alla mancanza di motivazione sulle circostanze attenuanti generiche e rinvia per nuovo esame alla Corte di Assise ordinaria di Torino. Rigetta nel resto.

- Sintesi della motivazione:
La sentenza in esame rigetta quasi totalmente, salvo ravvisare un difetto motivazionale sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, il ricorso del Pirazzoli, condannato a morte dalla C.a.s. di Novara per collaborazione militare col tedesco – avendo egli concorso nell’uccisione di alcuni membri della famiglia Bartolotti (Alfonso e due figli), impegnata in attività partigiane nella zona di Lugo (Ravenna), e del partigiano Gigliani Giuseppe.
Più nello specifico, la Suprema Corte ritiene insussistenti i seguenti motivi di doglianza prospettati dall’imputato: l’aver affermato la sua responsabilità per l’uccisione dei Bartolotti solo sulla base della sua presenza sul luogo del fatto, riferita da persona non esaminata al dibattimento e da altro testimone; l’aver riconosciuto una sua responsabilità per l’uccisione del Gigliani senza aver tenuto conto della deposizione di un teste a difesa; l’errata configurazione di fatti di collaborazione politica col nemico come fatti di collaborazione militare con lo stesso; mancata applicazione dell’amnistia.
Il Collegio ripercorre l’iter motivazionale della Corte territoriale e, sulla base delle prove raccolte e dell’apprezzamento fattone in quella sede, conferma innanzitutto la responsabilità del Pirazzoli per l’uccisione dei Bartolotti: egli, infatti, partito da Lugo «col proposito di fare strage della famiglia Bartolotti a Cà di Lugo», fu visto arrivare sul posto insieme ad altri membri della brigata nera e dirigersi verso la casa dei Bartolotti per torturarli prima di condurli presso un ponte sul fiume Santerno dove sarebbero stati poi impiccati. Su tale ponte il Pirazzoli veniva visto porre una corda al collo di uno dei familiari.
Né assume rilievo il fatto che il teste – Berardi Dante – non si fosse presentato in dibattimento: non poté a Ravenna attesa l’avvenuta dichiarazione di incompetenza di quella sede; non poté a Novara perché impedito per malattia. E comunque, rileva la Corte, il Pirazzoli non può dolersi se aveva espressamente accettato la lettura in aula della dichiarazione del Berardi.
Quanto all’uccisione del Gigliani, i Giudici ribadiscono essere incensurabile quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, ove si era ampiamente motivato sul punto e anche sull’inattendibilità dell’unico teste a difesa – ritenuto tale perché la sua deposizione contrastava con quanto detto da tutti gli altri testimoni e con le dichiarazioni dello stesso imputato.
Sulla forma di collaborazione col nemico, la S.C. difende la configurazione datane dalla CAS poiché, per lo meno nel caso dell’omicidio Gagliani, l’imputato aveva agito con la volontà di sopprimere un partigiano, combattente contro il «giogo nazifascista, al fine di indebolire le forze della resistenza e favorire le operazioni militari del tedesco».
Infine, l’amnistia era stata correttamente ritenuta inapplicabile visto che le accuse a carico del ricorrente erano relative a fatti di omicidio, ostativi ex art. 3 d.p. 22 giugno 1946, n. 4.
Merita invece accoglimento, come detto, l’asserito difetto motivazionale sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale si era infatti limitata a valutare la sola gravità del reato, mentre avrebbe dovuto considerare anche le eventuali circostanze di carattere soggettivo meritevoli di essere prese in considerazione, come ad esempio profili di carattere medico, familiare o pregresse esperienze dell’imputato.

- Massime:
Non sussiste difetto di motivazione – e la relativa decisione è pertanto incensurabile in sede di legittimità – se la sentenza di condanna della Corte territoriale è correttamente basata sugli elementi di prova raccolti in giudizio e di ciò ne è dato riscontro nella sentenza.

Se l’imputato consente alla lettura in aula di una dichiarazione, la mancata comparizione in dibattimento del dichiarante come testimone non costituisce motivo di annullabilità della sentenza ove il Collegio, nel decidere, si sia basato su tale dichiarazione.

Integra il delitto di collaborazione militare col nemico ex art. 51 c.p.m.g. e non quello più tenue di collaborazionismo politico con lo stesso (art. 58 c.p.m.g.) la condotta di chi intenda sopprimere un partigiano combattente al fine di indebolire le forze della resistenza e favorire le operazioni militari del tedesco.

È affetta da vizio di motivazione la sentenza che, nel negare la concessione delle circostanze attenuanti generiche, si limiti a valutare la gravità del fatto senza indagare gli ulteriori elementi – oggettivi o soggettivi – meritevoli di essere presi in considerazione al fine di esprimere tale giudizio.
04/07/1947


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Gallo Giacomo 08/07/2024
Di Massa Maria 08/07/2024
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Come citare questa fonte. Pirazzoli Verino  in Archivio Istoreto, fondo Processi nelle Corti di Cassazione. Sentenze in materia di collaborazionismo [IT-C00-FA19660]
Ultimo aggiornamento: sabato 19/12/2020