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Fascicolo: Sciarretta Ulderico

C00/00995/00/00/00087
Sciarretta Ulderico
Corte di Cassazione di Milano
Sezione Speciale
Composizione del Collegio:
Presidente: Michele Giuliano
Consiglieri: Medici, Badia, Guido, Violante

Sentenza impugnata:
Corte d’Assise straordinaria di Torino
Sent. N. (s/n) del 9 agosto 1945.
Emanata nei confronti di: Sciarretta Ulderico

Sentenza Corte di Cassazione:
Sent, n. 190 del 10 settembre 1945
Esito: Rigetto

- Dispositivo:
La Corte, visti gli artt. 537 e 539 c.p.p., rigetta il ricorso proposto come sopra da Sciarretta Ulderico avverso la sentenza 9 agosto 1945 dalla Corte Straordinaria di Assise di Torino.

- Sintesi della motivazione:
La Corte rigetta il ricorso di tale Ulderico Sciarretta, condannato in primo grado alla pena di morte dalla Corte straordinaria di assise di Torino per collaborazionismo ai sensi degli artt. 51 e 54 c.p.m.g.
Lo Sciarretta aveva compiuto, in quanto milite della brigata nera “A. Capelli”, azioni di rastrellamento contro partigiani nelle zone di Giaveno e di Cisterna d’Asti, cooperando così con le operazioni militari del nemico. Egli aveva inoltre intrattenuto con esso «intelligenze e corrispondenze» avendo denunciato all’U.P.I. la fabbricazione clandestina di armi per le formazioni della resistenza, portando «alla cattura di numerosi partigiani, alla uccisione del patriota Priuli Agostino e alla confisca di dieci quintali di acciaio speciale per la fabbricazione di armi automatiche», oltre ad aver denunciato altri appartenenti al movimento di resistenza.
La Corte rigetta le censure della difesa, che, oltre a profili procedurali riguardanti l’ammissione di testimoni agevolmente risolti dai giudici trattandosi di provvedimenti non sindacabili per la loro natura discrezionale e comunque sorretti da congrue motivazioni, avevano riguardato tre aspetti.
In ordine al primo motivo di ricorso – secondo cui lo Sciarretta non avrebbe partecipato ai rastrellamenti citati, avvenuti nell’Astigiano – i giudici confermano quanto già sostenuto dalla Corte di primo grado sulla base dell’appartenenza alla brigata nera “Cappelli”, che materialmente aveva compiuto tali rastrellamenti, e di alcune testimonianze , dalle quali risultava provata (anche per ammissioni e confidenze dello stesso Sciarretta) la sua partecipazione ai rastrellamenti nell’astigiano, «per quanto non [fosse] possibile fermarne i particolari».
Con la seconda censura la difesa rileva il difetto di motivazione in riferimento alla responsabilità del ricorrente per la denuncia all’U.P.I. sulla fabbricazione di armi in favore dei partigiani.
Anche in questo caso, la Suprema Corte non accoglie quanto mosso dalla difesa. Il Collegio ricostruisce l’attività spionistica dello Sciarretta, evidenziando come, dopo essersi infiltrato nelle file del movimento di resistenza ed essere diventato socio dell’officina “O.M.C.A.T.” di Torino assumendone la direzione amministrativa, egli avesse denunciato, prima, il suo socio Boerio Michele che gli aveva confidato le sue simpatie comuniste e, poi, la prossima fornitura di materiale utile alla costruzione di armi per i partigiani. Questa seconda denuncia avrebbe causato l’arresto dell’altro socio dello Sciarretta, Cavalli Mario, e l’uccisione dell’operaio Priuli Agostino da parte del maresciallo di polizia Brancaleone e dei suoi militi.
I Giudici, basandosi sulla testimonianza di tale Ferrua Giovanni, sulla deposizione dell’imputato, su un rapporto e su di una lettera del dirigente dell’U.P.I. maggiore Umberto Vannucci, entrambi agli atti, ribadisce la responsabilità di quest’ultimo in riferimento ai fatti contestati e nega il difetto di motivazione nella sentenza di merito.
Viene rilevato come lo Sciarretta «si dette un gran da fare»: attirò il Cavalli nel suo studio, dove poi sarebbe stato tratto in arresto, e informò la polizia sull’incontro tra il Cavalli e il Priuli, come risulta dal rapporto del col. Cabras inviato al comando generale della Guardia nazionale repubblicana il 5 dicembre 1944. Viene inoltre citato il contenuto dalla menzionata lettera del maggiore Vannucci, con cui veniva segnalata la necessità che «il camerata Sciarretta Ulderico non figuri nella sentenza relativa a Bocciarini e c., per attività sovversiva, in quanto verrebbero intralciati e svelati i compiti che allo Sciarretta sono affidati in via R.R.SS. da questo UPI», indirizzata al maggiore Mario Ravizza che istruiva tale processo presso il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Grazie a tale documento lo Sciarretta riuscì così ad evitare di essere nominato come testimone in quell’altro procedimento. Secondo la Corte tutti questi elementi «proclamano per tabulas lo Sciarretta spia patentata e accreditata di quel covo di delinquenza politica che fu la caserma di via Asti» e le dichiarazioni testimoniali rese dai testimoni dimostrano che «tra lo Sciarretta e il maresciallo Brancaleone intercorrevano ottimi rapporti e che tutte le informazioni sulla loro attività partigiana furono date al Brancaleone esclusivamente e soprattutto dallo Sciarretta».
Viene poi rilevato come i giudici di merito avessero dato «esauriente giustificazione» a riguardo, mediante un esame completo e approfondito delle risultanze processuali. La censura dello Sciarretta, pertanto, non poteva essere accolta, avendo la Corte di merito vagliato tutti gli elementi di causa con il massimo scrupolo.
Il terzo e ultimo motivo di ricorso, infine, riguarda la negata concessione delle circostanze attenuanti ai sensi dell’art.62 c.p. e 7 d.lgs.lgt. 159/1944.
La corte rigetta anche tale rilievo, evidenziando innanzitutto come la difesa dell’imputato non avesse specificato quali e come pertanto non fosse possibile sapere a quale ipotesi fra quelle previste dall’art. 62 c.p. avesse inteso riferirsi. Viene poi sottolineata l’inapplicabilità del d.lgs.lgt. 159/44, atteso che lo Sciarretta era stato «attivo ed operante» dalla parte dei fascisti «fino all’ultimo». Viene ricordato come già la Corte di merito, «con insindacabile giudizio di fatto», avesse escluso che l’imputato avesse espresso posizioni ostili al fascismo o che avesse partecipato attivamente alla lotta contro i tedeschi. Viene evidenziato, in conclusione, come «lo Sciarretta non compì alcuna azione che lo rendesse meritevole di riguardo, ai fini dell’attenuazione della pena, ma che cercò di fare il doppio gioco, ponendosi a contatto con i partigiani e con i comunisti, e che in tale gioco pericoloso ha perduto».

- Massime:
Risponde del reato di collaborazionismo col nemico ai sensi degli artt. 51 («Aiuto al nemico») e 54 («Intelligenze o corrispondenza col nemico») c.p.m.g. chi partecipi, in quanto milite, ad azioni di rastrellamento a danno di partigiani.

Risponde del reato di collaborazionismo col nemico ai sensi degli artt. 51 («Aiuto al nemico») e 54 («Intelligenze o corrispondenza col nemico») c.p.m.g. chi svolga attività spionistica a favore del nemico e a danno delle formazioni partigiane o di chi partecipa alla lotta partigiana.

Non possono concedersi le circostanze attenuanti previste dall’art. 7 d.lgs.lgt. 159/1944 a chi abbia operato in favore del nemico, senza ravvedimento alcuno, né a chi abbia, pur ponendosi in contatto con gli ambienti partigiani, fatto il doppio gioco al fine di favorire l’occupante nemico.
10/09/1945


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Gallo Giacomo 08/07/2024
Di Massa Maria 08/07/2024
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Come citare questa fonte. Sciarretta Ulderico  in Archivio Istoreto, fondo Processi nelle Corti di Cassazione. Sentenze in materia di collaborazionismo [IT-C00-FA19669]
Ultimo aggiornamento: sabato 19/12/2020