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Fascicolo: Serloreti Gastone e altri

C00/00995/00/00/00089
Serloreti Gastone e altri
Corte di Cassazione di Roma
Sezione II penale
Composizione del Collegio:
Presidente: Mangini
Consiglieri: Armao, Trasimeni, Badia, Vista, Ricciardelli, Pietri

Sentenza impugnata:
Sezione speciale della Corte d’Assise di Torino
Sent. N. (s/n) del 21 maggio 1946
Emanata nei confronti di: Serloreti Gastone, Cabras Giovanni, Caslini Castore, Azzario Giuseppe, Saporito Giuseppe, Valerio Angelo, Spallone Gaetano, Grande Giuseppe, Marcacci Alessandro, Marconcini Silvano, Gionso Tristano, Cortese Ermenegildo, Fagnola Roberto, Castriotta Raffaele, Saporito Luigi, Vannucchi Umberto

Sentenza Corte di Cassazione:
Sent, n. 101 del 25 gennaio 1947
Esito: annullamento senza rinvio nei riguardi di Castriotta, Valerio, Vannucchi, Azzario, Grande, Saporito G., Saporito L., Gionso, Cortese, Marconcini, Cabras e Caslini; annullamento con rinvio nei confronti di Spallone, Serloreti e Fagnola; dichiarato inammissibile il ricorso di Marcacci

- Dispositivo:
La Corte, letti ed applicati gli art. 1 e 3 d. 22 giugno 1946, n. 4 del Capo Provvisorio della Repubblica Italiana, 532 n. 1, 543 e 549 c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza 21 maggio 1946 della Sezione speciale della Corte d’Assise di Torino nei confronti di Castriotta Raffaele perché il fatto al medesimo ascritto non è preveduto dalla legge come reato.
Annulla senza rinvio la sentenza stessa nei riguardi di Valerio Angelo, Vannucchi Umberto, Azzario Giuseppe, Grande Giuseppe, Saporito Luigi, Saporito Giuseppe, Gionso Tristano, Cortese Ermenegildo, Marconcini Silvano, Cabras Giovanni e Caslini Castore per essere i reati ad essi rispettivamente ascritti estinti per amnistia.
Revoca il mandato di cattura contro il Valerio, ordina l’immediata scarcerazione del Cabras e del Caslini, ove non debbano rimanere detenuti per altra causa, e rende definitivi gli ordini di scarcerazione emessi in misura provvisoria dal P.M. nei rapporti del Cortese, del Marconcini, dei Saporito, del Vannucchi, dell’Azzario, del Grande e del Gionso.
Annulla l’impugnata sentenza nei riguardi di Spallone Gaetano per mancanza di motivazione in ordine alla partecipazione alle sevizie ed al concorso nelle uccisioni di San Maurizio Canavese e rinvia la causa, per il riesame, di tali limiti, alla sezione speciale della Corte d’Assise di Genova. Dichiara inammissibile il ricorso di Marcacci Alessandro e rigetta nei suoi riguardi il corso del P.M.
Annulla per difetto di motivazione sulle attenuanti generiche, l’impugnata sentenza nei riguardi di Serloreti Gastone e Fagnola Roberto e dichiara che i fatti dai medesimi commessi costituiscono il delitto di cui all’art. 51 c.p.m.g., rigettando per il resto i loro ricorsi.
Rigetta il ricorso del P.M. nei riguardi dello Spallone e rinvia la causa alla stessa sezione speciale della Corte d’Assise di Genova anche per il riesame della questione delle attenuanti generiche del Serloreti e del Fagnola.

- Sintesi della motivazione:
La sentenza in esame, particolarmente complessa e articolata, ebbe a giudicare ufficiali e militi della G.n.r. che, dopo l’8 settembre 1943, diressero o parteciparono alle attività dell’ufficio politico investigativo sito nella caserma di Via Asti a Torino – luogo tristemente noto per le atroci sevizie che sistematicamente vi venivano commesse a danno dei partigiani arrestati.
Gli imputati si erano infatti macchiati di numerosissime condotte criminose – di cui erano ritenuti responsabili per averle compiute personalmente, per averle ordinate o semplicemente per aver rivestito posizioni di comando su coloro che le avevano compiute – quali rastrellamenti, rappresaglie, sevizie, torture, omicidi, furti, saccheggi, arresti, catture e denunce di partigiani.
La Corte di merito condannava Castriotta, Azzario, Marconcini, Gionso, Vannucchi, Valerio, Cortese, Saporito Luigi e Saporito Giuseppe per collaborazionismo politico ai sensi dell’art. 58 c.p.m.g.; dichiarava Spallone, Serloreti, Cabras, Fagnola, Caslini e Marcacci colpevoli di collaborazionismo bellico ex artt. 51 e 54 c.p.m.g.; condannava infine il Cortese anche per il reato di cui all’art. 496 c.p., «False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri».
Applicate le circostanze attenuanti – le generiche e (ad alcuni, alternativamente) le diminuenti ex artt. 26 c.p.m.g., 114 c.p. e 7 d.lgs.lgt. 159/1944 – comminava la pena di morte per Serloreti e Fagnola; la pena di 20 anni di reclusione per Cabras, Spallone, Grande e Caslini; di 15 anni per Gionso; di 12 anni per Saporito Giuseppe e Vannucchi; di 10 anni per Marcacci; di 8 anni per Castriotta, Azzario, Marconcini, Saporito Luigi e Valerio; di 4 anni e 8 mesi per Cortese, disponendo inoltre, per tutti, la confisca dei beni.
Tutti gli imputati ricorrevano per cassazione, avanzando ciascuno molteplici motivi di ricorso.
Innanzitutto, la S.C. annulla senza rinvio la sentenza nei riguardi di Castriotta. Poiché egli non aveva compiuto alcun reale ed effettivo fatto di collaborazione (bellica o politica che fosse) col nemico, la condanna era sta comminata soltanto in ragione della presunzione di collaborazionismo di cui all’art. 1, co. 3, n. 5 d.lgs.lgt. 142/1945 – che riguardava coloro che fossero stati «ufficiali superiori in formazioni di camicie nere con funzioni politico-militari» – ma la stessa non poteva essere applicata nei confronti del ricorrente: il Castriotta apparteneva infatti alla G.n.r., che non poteva «essere ritenuta un insieme di formazioni di camicie nere, dal momento che di essa potevano far parte anche persone non iscritte al P.f.r.».
Dichiara l’estinzione del reato per intervenuta amnistia ex d.p. 22 giugno 1946, n. 4 nei confronti di Marconcini, Azzario, Saporito Luigi, Saporito Giuseppe, Cortese, Vannucchi, Gionso, Grande, Valerio, Caslini, Cabras. La Cassazione non ravvisa infatti alcuna causa ostativa all’applicazione del beneficio: non la mera supposizione che l’imputato avesse avuto un ruolo nella scarcerazione di detenuti politici per conseguire un lucro illecito (Vannucchi); non atti violenti limitati a qualche pugno, calci o ad altre violenze comuni (Gionso, Saporito G., Caslini); non l’asportazione di beni da una casa, avvenuta in seguito a sequestro, in esecuzione di un ordine ricevuto (Gionso); non vanterie circa l’uccisione di un giovane diciassettenne che, prive di qualsiasi riferimento preciso, non avevano «neppure il valore di un principio di prova» (Saporito G.); non l’atto di accompagnare altri ad arrestare un partigiano che poi sarebbe stato ucciso per decisione ed esecuzione altrui (Valerio, Caslini); non la mera attendibilità (e non la «sicura prova») dell’ipotesi di aver denunciato partigiani al tribunale di guerra dando avvio ad un processo conclusosi con 5 condanne a morte -di cui in primo grado non era stata accertata l’esecuzione – e 13 a pene varie (Cabras); non, infine, svariati fatti di omicidio, sevizie e ruberie per i quali già la Corte di merito aveva dimostrato l’estraneità degli imputati.
Accoglie parzialmente il ricorso dello Spallone, per «manchevole ed assolutamente inidonea» motivazione in ordine alla ritenuta sua responsabilità per le sevizie praticate nella caserma di via Asti, che comandava, e per le uccisioni (tre persone) compiute durante una rappresaglia avvenuta nel febbraio 1944 a San Maurizio Canavese. Quanto alle sevizie – di cui fornisce un’articolata definizione (v. massima) – la Corte ravvisa contraddittorietà nelle parole del giudice di merito, il quale, dopo aver dichiarato che lo Spallone non poteva non conoscere quanto accadeva nella caserma e pertanto doveva risponderne, affermava che la sua responsabilità in merito derivava esclusivamente dalla sua posizione di comando, prefigurando una responsabilità obiettiva in capo all’imputato. La S.C. dunque, ricordando il principio per cui «delle sevizie praticate dai suoi dipendenti un capo è tenuto a rispondere solo se sia stato lui ad ordinarle e se, essendone a conoscenza, non le abbia impedite», ordina il riesame sul punto. In merito invece alla rappresaglia, che era stata disposta dallo Spallone ed eseguita dal Serloreti, la Corte di merito avrebbe dovuto «indagare quali fossero i poteri che al Serloreti spettassero in base all’ordine […] impartito dallo Spallone. Ove […] si fosse escluso che il Serloreti potesse anche uccidere, la responsabilità dello Spallone si sarebbe dovuta dichiarare limitata solo agli altri atti criminosi commessi dall’incaricato in esecuzione dell’ordine». Mancando tale esame, però, la questione deve essere riesaminata.
Annulla pertanto con rinvio la sentenza in ordine a questi punti, vista anche la loro importanza in merito all’applicabilità o meno dell’amnistia, trattandosi di potenziali cause ostative alla stessa.
Quanto al Marcacci, ne dichiara inammissibile il ricorso non essendosi egli costituito in carcere anteriormente al giorno stabilito per la discussione del ricorso, come stabilito dall’art. 535 del c.p.p. allora vigente.
Riguardo al ricorso del Serloreti, annulla per mancanza di motivazione la sentenza nella parte in cui aveva escluso la concessione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. senza tener conto dell’impianto testimoniale favorevole all’imputato che era stato reso in giudizio (secondo cui il Serloreti aveva salvato molti partigiani dalla morte o dalla deportazione e aveva avviato al lavoro circa 3000 partigiani). Rigetta tutti gli altri motivi di ricorso: sulla nullità dell’atto di citazione, sulla mancata sospensione del processo per poter sentire testimoni non comparsi, sulla configurazione dei fatti come collaborazione politica ex art. 58 c.p.m.g. e non bellica, sulla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 c.p. Riconfigura però le azioni da lui commesse come integranti il solo art. 51 c.p.m.g., ritenendo errato il richiamo all’art. 54 stesso codice.
Anche riguardo al Fagnola annulla la sentenza per difetto di motivazione sulla negazione delle attenuanti generiche. Il giudice di merito, vista anche la gravità della sanzione comminata, avrebbe dovuto giudicare con particolare cura sul punto. Non aveva invece fatto alcun cenno, in motivazione, alle risultanze processuali favorevoli per il reo, né aveva approfondito a sufficienza l’indagine sul principale e più grave fatto emerso a suo carico, ossia l’uccisione del partigiano Mario Costa, e sul movente che avesse eventualmente determinato tale azione. Rigetta invece gli altri motivi di ricorso relativi alla qualificazione dell’attività collaborazionistica (per cui la Corte riprende quanto asserito per il Serloreti), alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p. e all’assenza di dolo, avendo egli fatto mera esecuzione di ordini ricevuti (su quest’ultimo punto, la S.C. evidenzia come gli ordini non fossero legittimi perché provenienti da autorità costituzionalmente non investite di pubblici poteri, cosa che il Fagnola «non ignorava, né poteva ignorare»).
Rigetta, infine, il ricorso del PM nei riguardi di Caslini, Cabras, Azzario, Marconcini, Gionso, Valerio, Vannucchi e Saporito Giuseppe perché assorbito nella concessa amnistia; nei confronti del Castriotta perché assorbito nel proscioglimento emesso nei suoi riguardi; nei confronti dello Spallone, avendo il giudice di prime cure motivato, seppur sommariamente, sulla pena e sulla concessione dell’attenuante di cui all’art. 26 c.p.m.g.

- Massime:
La presunzione di cui all’art. 1 d.lgs.lgt. 142/1945, n. 5 non può essere applicata a membri della G.n.r., non essendo quest’ultima equiparabile alle formazioni di camicie nere – potendovi far parte anche persone non iscritte al P.f.r.

L’applicazione dell’amnistia d.p. 22 giugno 1946, n. 4 non è esclusa qualora la sussistenza della causa ostativa non sia certa, ma supposta o ritenuta meramente attendibile.

Non è escluso dall’applicazione dell’amnistia chi, pur prendendo parte ad azioni in cui siano avvenuti omicidi o sevizie, non ne abbia concorso né come ideatore, né come esecutore.

La sevizia è una forma di violenza che differisce da quella comune e che è caratterizzata dall’intensità del dolore che ne deriva, intensità di dolore che, nelle mire dei nazifascisti, era rivolta a vincere la forza di resistenza die soggetti passivi ed a piegarli a rivelazioni sul movimento partigiano o su altre forme di attività ostile al regime fascista. Eccezionalmente può diventare sevizia anche una forma di violenza comune, allorché comportino un dolore di particolare intensità, di gran lunga maggiore a quello che normalmente ad esse consegue, o sia protratta per un tempo talmente lungo da renderla intollerabile.

Calci, pugni o altri atti di violenza comune non integrano il concetto di «sevizie particolarmente efferate», ostativo all’applicazione dell’amnistia di cui al d.p. 22 giugno 1946, n. 4.

Un capo risponde dei crimini praticati dai suoi sottoposti solo se sia stato lui ad ordinarli o se, essendone a conoscenza, non abbia fatto nulla per impedirli. Diversamente, si ricadrebbe in una illegittima attribuzione di responsabilità oggettiva e pertanto incolpevole.

Un capo non risponde degli atti che eccedano i suoi ordini (nel caso di specie: alcune uccisioni eseguite durante una rappresaglia).

Ai sensi dell’art. 535 c.p.p. (1930), è inammissibile il ricorso di chi si mantenga latitante fino al giorno del procedimento relativo al ricorso stesso.

Difetta di motivazione la sentenza che, tralasciando di considerare le testimonianze favorevoli all’imputato, non conceda le circostanze attenuanti generiche.

L’attività antipartigiana, colpendo elementi in lotta col nazifascismo, integra la fattispecie di collaborazione bellica col nemico di cui all’art. 51 c.p.m.g. – e non collaborazione politica – avendo come risultato il miglioramento, più o meno sensibile, della condizione militare del nemico.

L’atto di citazione è valido se, pur non riportando il nome dell’imputato, sia emanato insieme al decreto del PM che lo indichi. Inoltre, l’eventuale nullità derivante dalla mancata notificazione al difensore è sanata se lo stesso si presenta in giudizio.

L’attività collaborazionistica non può essere scusata se avvenuta in esecuzione di ordini impartiti, qualora tali ordini provengano da autorità costituzionalmente prive di pubblici poteri – come erano le autorità della RSI – e siano pertanto illegittimi.
25/01/1947


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Come citare questa fonte. Serloreti Gastone e altri  in Archivio Istoreto, fondo Processi nelle Corti di Cassazione. Sentenze in materia di collaborazionismo [IT-C00-FA19671]
Ultimo aggiornamento: sabato 19/12/2020