C00/00995/00/00/00091
Squillaci Vincenzo e Gallone Antonio Corte di Cassazione di Roma
Sezione II penale
Composizione del Collegio:
Presidente: Serena Manghini
Consiglieri: Valenti, Violante, Pannullo, Vista, Badia, Misasi
Sentenza impugnata:
Sezione Speciale della Corte d’Assise di Torino
Sent. N (s/n) del 26 settembre 1946
Emanata nei confronti di: Squillaci Vincenzo e Gallone Antonio
Sentenza Corte di Cassazione:
Sent, n. 1179 del 4 dicembre 1947
Esito:
- Dispositivo:
La Corte di Cassazione annulla l’impugnata sentenza nei confronti di Squillaci Vincenzo per mancanza di motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche, e nei confronti di Gallone Antonio per più esatto accertamento sulla sussistenza della suindicata causa ostativa all’applicazione della amnistia. Dichiara, in accoglimento del ricorso del P.M., che il Gallone non ha diritto al condono di cui al d.p. 22 giugno 946, n. 4. Rigetta nel resto i due ricorsi degli imputati e rinvia il giudizio alla Corte di Assise di Novara.
- Sintesi della motivazione:
La Cassazione giudica il ricorso di Squillaci Vincenzo, condannato in primo grado all’ergastolo (condonato nella pena di trent’anni di reclusione) per collaborazionismo bellico col nemico e per diversi fatti di omicidio, e di Gallone Antonio, anch’egli condannato per collaborazionismo bellico alla pena di trent'anni di reclusione (condonati di un terzo).
Il Collegio rigetta la quasi totalità dei motivi di ricorso presentati dallo Squillaci e dal Gallone.
Per quanto riguarda il primo, la Corte rileva come il giudice del merito avesse accertato, con congrua e corretta motivazione, la sua partecipazione a vari rastrellamenti (non a semplici operazioni di polizia, come sostenuto dallo Squillaci stesso) così come la sua responsabilità per le uccisioni dei partigiani Lequème Bernardo, Bocca Gino e Fasoglio Angelo. È quindi corretta l’imputazione per collaborazionismo bellico, e non politico, poiché «i rastrellamenti e la cattura di partigiani e gli atti di rappresaglia compiuti contro i medesimi […] costituiscono, per costante insegnamento della Corte Suprema, il delitto di cui all’art. 51 c.p.m.g.».
Non si sarebbe poi potuta concedere l’attenuante di cui all’art. 114 c.p., dal momento che lo Squillaci aveva agito di propria iniziativa e liberamente, ponendo in essere un’opera «affatto di minima importanza» in tutti gli episodi cui aveva partecipato, né l’attenuante ex art. 7, lett. b d.lgs.lgt. 159/1944, non avendo egli compiuto alcun gesto attivo nella lotta contro il tedesco.
La sentenza avrebbe dovuto invece motivare sulla mancata concessione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. che erano state escluse in ragione della gravità del danno e delle efferatezze delle azioni compiute. Viene ricordato che per l’esclusione di tali circostanze «non basta tenere presente la gravità dei fatti, ma occorre esaminare la personalità dell’imputato, secondo i principi fissati dal legislatore nell’art. 133 c.p.»: sarebbero potuti rilevare, nel caso di specie, la tenera età dell’imputato e la sua personalità «congenitamente tarata» e la Corte avrebbe dovuto indagare se e fino a che punto l’ambiente stesso, così come la sua psiconevrosi, avessero influito sulla sua personalità e sulla commissione delle sue azioni.
Relativamente al Gallone, invece, il giudice di legittimità afferma la sua responsabilità ai sensi dell’art. 51 c.p.m.g., avendo la Corte di merito ampiamente descritto le sue azioni (rastrellamenti, catture, incendi di abitazioni e altro ancora) in maniera logicamente corretta e convincente.
Anche dal punto di vista soggettivo, non v’è motivo di dubitare che il Gallone avesse partecipato «con volontà libera e con la consapevolezza della loro idoneità a giovare al nemico».
Merita invece accoglimento il secondo motivo di ricorso, con cui il Gallone aveva lamentato la mancata applicazione dell’amnistia ex d.p. 4/1946: i giudici di merito avrebbero dovuto, infatti, meglio precisare le sevizie compiute dal ricorrente contro il partigiano Fasoglio, poi ucciso dallo Squillaci, che erano invece poco chiare nella sentenza impugnata – dalla quale non si poteva dedurre la sussistenza o meno della causa ostativa alla concessione del beneficio.
Viene infine accolto il ricorso del PM, essendo il Gallone rimasto latitante oltre al limite fissato dal d.p. 4/1946 e quindi non potendo egli beneficiare del condono di un terzo della pena ivi previsto.
- Massime:
Rastrellamenti, catture di partigiani e atti di rappresaglia contro i medesimi integrano il reato di collaborazionismo bellico col nemico ex art. 51 c.p.m.g.
Per la concessione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. il giudice non deve tenere conto della sola gravità del reato, ma anche della personalità dell’imputato e dei fattori che su di essa abbiano inciso – come, ad esempio, una psicopatia.
Difetta di motivazione la sentenza che non motivi debitamente sulla presenza di cause ostative alla concessione dell’amnistia di cui al d.p. 22 giugno 1946, n. 4 (nel caso di specie, la sentenza impugnata non aveva chiarito se le sevizie inferte a un partigiano da parte dell’imputato fossero state di particolare gravità o meno).
04/12/1947
Come citare questa fonte. Squillaci Vincenzo e Gallone Antonio in Archivio Istoreto, fondo Processi nelle Corti di Cassazione. Sentenze in materia di collaborazionismo [IT-C00-FA19673]