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Fascicolo: Vignoli Giovanni

C00/00995/00/00/00096
Vignoli Giovanni
Corte di Cassazione di Roma
Sezione II penale
Composizione del Collegio:
Presidente: Giuliano
Consiglieri: Pannulla, Misasi, Vittori, Badia, Vista, Ricciardelli

Sentenza impugnata:
Corte d’Assise straordinaria di Torino
Sent. N. (s/n) del 25 settembre 1945
Emanata nei confronti di: Vignoli Giovanni

Sentenza Corte di Cassazione:
Sent, n. 88 del 22 gennaio 1947
Esito: rigetto

- Dispositivo:
Visti gli artt. 549 e 591 c.p.p., rigetta il ricorso, dichiarando condonato un terzo della pena detentiva inflitta dalla sentenza impugnata a Vignoli Giovanni. Condanna costui al pagamento delle spese del procedimento e della somma di lire 2000 a favore della Cassa delle ammende.

- Sintesi della motivazione:
Il Supremo Collegio rigetta il ricorso di Vignoli Giovanni, condannato in primo grado alla pena di 24 anni di reclusione ai sensi dell’art. 51 c.p.m.g. per aver partecipato, come milite delle S.S. italiane, a rastrellamenti, fucilazioni e impiccagioni di diversi partigiani nella zona di Rivoli.
Preliminarmente, la Corte dà atto dell’impossibilità di applicare l’amnistia ex d.p. 22 giugno 1946, n. 4 in ragione della partecipazione del Vignoli a «molteplici fatti di omicidio a lui imputabili materialmente e psicologicamente».
Analizzando i motivi del ricorso, si afferma invece quanto segue.
Nessuna censura avverso la mancata perizia psichiatrica, richiesta dalla difesa: la Corte di merito avrebbe infatti correttamente motivato sul punto, facendo fede – rispetto a quanto sostenuto da altro medico, privato – al certificato del medico dell’ospedale militare ove il ricorrente era stato ricoverato, che lo definiva «integro nelle sue facoltà di intendere e di volere». Vista la correttezza dell’iter motivazionale, alla corte di legittimità è dunque precluso ogni rilievo critico.
Privo di consistenza anche il secondo motivo di ricorso, con cui si richiedeva che fosse applicata la pena prevista dall’art. 58 c.p.m.g.: la richiesta non avrebbe alcun fondamento poiché, una volta configurato il delitto come collaborazionismo militare (e ciò non era stato oggetto di impugnazione), non si sarebbe dovuta o potuta applicare la più tenue pena prevista per collaborazionismo politico col nemico.
Anche la doglianza secondo cui non vi sarebbe stato dolo ma mera coscienza di ubbidire ad ordini legittimi è infondata: sia perché la Corte di primo grado, «con apprezzamento di merito insindacabile», aveva ritenuto indubitabile il concorso del ricorrente nei fatti contestati, in ragione delle dichiarazioni con cui egli stesso aveva dato prova di essere perfettamente consapevole delle sue azioni, integrando il dolo specifico richiesto; sia perché – come affermato da costante giurisprudenza del Supremo Collegio – «gli ordini impartiti dalle autorità di fatto della cosiddetta repubblica sociale italiana furono tutti sprovvisti di legalità, in quanto promananti da ribelli, insorti contro i legittimi poteri dello stato italiano».
Infine, la Corte respinge anche il quarto motivo di ricorso con cui il Vignoli lamentava di aver agito in stato di necessità. Ciò in ragione dell’arruolamento nelle S.S. italiane, che era avvenuto volontariamente e spontaneamente, oltre che dell’assenza di prove riguardo la costante minaccia di morte gravante sul ricorrente, qualora non avesse partecipato alle suddette esecuzioni. Egli, pertanto, «si sarebbe venuto a trovare volontariamente nel preteso eventuale stato di necessità»: giudizio che, in quanto basato su risultanze di fatto e motivato in modo logico e attendibile, esula dalle possibili valutazioni del giudice della legittimità.
Ciò nonostante, il Collegio ammette l’applicabilità dell’art. 9 lett. c del d.p. 22 giugno 1946, n. 4 e dichiara condonato un terzo della pena precedentemente inflitta dalla Corte d’Assise.

- Massime:
Nel caso di collaborazione militare col nemico non è invocabile la scriminante dell’adempimento di un dovere (art. 51 c.p.), anche se i fatti di causa sono stati commessi in esecuzione di comandi dei superiori, dal momento che gli ordini impartiti dalle autorità di fatto operanti nel territorio della repubblica sociale italiana sono, in generale, sprovvisti di legittimità, poiché promananti da ribelli, insorti contro i legittimi poteri statali.

Lo stato di necessità non ha alcuna efficacia scriminante per i fatti commessi da chi si sia volontariamente arruolato e posto scientemente nella condizione di commettere delitti di collaborazionismo col nemico.

Al di fuori dei casi di amnistia, la pena è ridotta di un terzo ai sensi dell’art. 9, lett. c d.p. 22 giugno 1946, n. 4.
22/01/1947


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Gallo Giacomo 11/07/2024
Di Massa Maria 11/07/2024
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Come citare questa fonte. Vignoli Giovanni  in Archivio Istoreto, fondo Processi nelle Corti di Cassazione. Sentenze in materia di collaborazionismo [IT-C00-FA19678]
Ultimo aggiornamento: sabato 19/12/2020