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CARTACEO: Intervista a Giulio R.

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Intervista a Giulio R.
Giulio R. nasce a Pola nel 1951. Dopo pochi mesi abbandona la sua città natale e si trasferisce con la famiglia in Italia. Arrivato al centro smistamento profughi di Udine è assegnato al centro di raccolta Cibali, a Catania. In Sicilia resta fino al 1953, anno in cui si trasferisce a Casale Monferrato. Nella città monferrina trova sistemazione nei locali della CANSA, dove resta fino al 1955 quando si trasferisce con la famiglia ad Alessandria dove il padre è assunto come dipendente pubblico. E' stato intervistato il 20 luglio 2009. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove e quando è nato?

R.: "[Sono nato a] Pola, il 28 febbraio 1951. Però la data di nascita è dubbia... Cioè è vera, però ti dirò che non so se è stata falsata dai miei - da mia mamma - perché c'era il problema di andare via se eri nato prima o dopo. Comunque io veramente sono nato il 29 gennaio, però ufficialmente il 28 febbraio. Cioè son stato registrato il 29 gennaio. A Pola risulta il 29 gennaio e qui il 28 febbraio, perché qui all'anagrafe di Alessandria si è potuto registrarmi il 28 febbraio. E fino a quindici anni fa, risultavo il 28 febbraio anche là. Cioè proprio sui documenti del comune... Perché forse non so, hanno tenuto la data del battesimo, perché c'è anche da dire che c'erano due tipi di battesimi là: sotto la bandiera rossa e poi mia mamma mi ha portato in chiesa, perché davanti ai compagni se lo andavi a fare rischiavi grosso. E allora penso che mio padre l'ha fatto sotto la bandiera rossa in quella data lì, il 28 febbraio, e invece in chiesa era il 29 di gennaio."

2) Mi parli un po' della sua famiglia di origine: quanti eravate, cosa facevano i suoi genitori...

R.: "Mio papà era falegname. Prima era artigianato, lavorava sotto Trieste ed ha abitato sempre a Trieste mio papà, ha imparato il mestiere lì e poi ha lavorato sotto il cantiere navale di San Marco a Trieste, che è quello che poi per farci un piacere a noi l'hanno mandato a Palermo, l'hanno chiuso e tutti i triestini sono andati in Australia a lavorare. Il grande regalo che ci ha fatto l'Italia, gli amici che sono arrivati! Poi dopo è andato in Marina, perché ha fatto il militare, e ha fatto tre anni in Marina ed è stato ferito gravemente in combattimento, fino a che dopo l'hanno poi congedato a Pola e poi dopo siamo venuti qui. Mia mamma era di Padova, padovana, ed è andata in Istria per lavoro perché là nel Veneto c'era poco lavoro, ed è andata a Pola con mio nonno e si sono conosciuti lì."

3) Riesce a descrivermi Pola da un punto di vista economico?

R.: "Porca miseria! Pola era una città industriale, c'era il cantiere Scoglio Olivi, che si chiamava allora e adesso si chiama Uljanik, ed era sia civile che militare. Poi c'era la fabbrica dei siluri, la fabbrica della corde e poi c'era il Cementificio Marchino che là però facevano il cemento marino, non questo qui, era ad alta specializzazione. Poi, mi sembra, c'era i mulini, insomma una città industriale, una città industriale al 100%. Pola era una città operaia, e per quello i dalmati dicono a noi che siamo tutti manovali e operai e invece loro sono intellettuali. Non so il motivo, intellettuali i dalmati, ma comunque..."

4) E dal punto di vista demografico, cioè della distribuzione della popolazione Pola era italiana?

R.: "Pola si, al 100%. Non proprio al 100% perché c'era sicuramente influenza del 5-6% di origina slava, ma non gli ultimi arrivati, ma quelli che aveva fatto venire il patriarca di Capodistria quando c'è stata la famosa peste che ha decimato la popolazione rurale. Che poi son venuti tutti i veneziani e i veneti a Pola, perché la peste ha decimato tutta la popolazione rurale e contadina, e allora son stati rimpiazzati da popoli slavi dell'interno e da gente [arrivata] dal Trentino. E infatti se noterai, certi cognomi hanno il De, e non sono cognomi istriani quelli. Il mio è un cognome istriano e veneto, R., ma invece quelli che hanno il De, come ad esempio De Grassi, De vescovi, sono di origine trentina, che sono venuti - adesso non ricordo più il secolo preciso - nel 1400 o nel 1500 durante la famosa peste che c'è stata, per rimpiazzare la popolazione rurale dell'interno. E la fascia che va da Trieste a Fiume, nella zona interna più disagiata, lì hanno fatto venire dei rumeni, delle persone di origine rumena, che li chiamano i cicci, con disprezzo. Che la ciciaria è proprio il loro nome, e quelli sono ortodossi. Il fascismo li ha un po' convertiti, ma ancora oggi a Trieste c'è la chiesa ortodossa, che la chiamano la chiesa dei cicci, perché è stata fatta per quella popolazione lì, che va dall'interno del capodistriano fino al Monte Maggiore. Invece sull'interno gli altri son tutti slavi, e adesso non mi ricordo più se sia dalla Slavonia che anche dal Montenegro. Diciamo che tutta la fascia costiera è italiana e poi c'è anche un paese, Dignano, che è il paese di D., e quello è un paese a parte. Dignano è un paese a parte, che non si sa se sia di origine italiana. Dovrebbe essere di origine italiana, ma dicono che sia di etnia calabrese, meridionale. E allora noi non lo vediamo bene, i polesani li chiamano bumbari i dignanesi. E madonna, è meglio avere un morto in casa che un bumbaro alla porta! Non corre buon sangue."

5) Posso chiederle com'erano i rapporti tra la componente italiana e quella slava?

R.: "Priam che arrivassero gli jugoslavi non c'era nessun problema. E' venuto quando c'era il fascismo, con quei fascisti venuti dall'Italia che han fatto dei problemi, ma non la popolazione nostra, perché da noi, bene o male, tutti sono imparentati con uno slavo, bene o male. Anche mia nonna era dalmata, si chiamava C., è slavo, no? Te troverai tutti... Un istriano, troverai tutti che hanno un parente slavo, perciò non c'era attrito tra noi. C'era magari un po' di invidia per le case, la terra questo o quello, però in linea generale non c'era niente."

6) Le ho fatto questa domanda, perché ho in mente una parola in dialetto, e cioè s'ciavo, che mi sembra piuttosto dispregiativa...

R.: "Eh si, s'ciavo, s'ciavoni... S'ciavoni sono i veneziani... S'ciavoni c'è anche l'arsenale a Venezia... Ma non si riferiva agli slavi, non era un termine dispregiativo, era proprio per dire chi lavorava lì, perché chi lavorava in quell'arsenale lì, era riverito come un dottore. Lì facevano i famosi triremi, che per farli dovevi essere un maestro d'ascia coi baffi, anche perchè se sbagliavi una nave eri esiliato da Venezia! Chi sbagliava una nave non entrava più nella repubblica di Venezia! S'ciavone no, non era un dispregiativo, anzi lavorare lì all'Arsenale degli s'ciavoni non era da tutti, eh!"

7) Prima lei mi parlava del fascismo, un periodo che lei non ha vissuto direttamente. Le hanno però raccontato qualcosa?

R.: "Uh!! Mio papà è partito che aveva diciannove anni, in Marina. Lui era del '16, e si è fatto tutto il sistema militare, però finita la ferma è scoppiata la guerra e si è fatto sette anni di Marina, poi è stato ferito ed è andato a casa. Ma Pola non è stata toccata tanto, [perché] Pola era armata fino ai denti, e perciò non c'è stata mai un'azione partigiana a Pola, una sola azione i partigiani non sono riusciti a farla, perciò Pola era sicura. Mia mamma è la guerra] l'ha provata di più, perché mio nonno faceva il contadino e andando a lavorare nei paesi ha visto, bene o male, come si svolgeva la guerra. Era tremenda! E' stata presa anche mia mamma, ed è andata davanti alle foibe. L'ha salvata un suo compagno di scuola, che era uno slavo. Era stata presa ed era stata accusata di fare la spia per i fascisti. E questo voleva dire che qualcuno l'aveva in odio, che c'era qualche contrasto, non so per la terra...La stavano per buttare in foiba e quel ragazzo con la sua pattuglia è passato lì, l'ha vista e ha detto: cosa fate? Guardate che questa qui mi ha salvato dieci volte dai tedeschi, che arrivavano e spegnevano i motori sulla discesa, e allora mia mamma due o tre volte ha avvisato i partigiani: guardate che arrivano i tedeschi! E li ha salvati diverse volte. Ma erano più che altro odi personali, con mia mamma eh!"

8) Sua madre è stata quindi catturata...

R.: "No, la sera son venuti a prenderla vestiti da fascisti, perché i compagni facevano questi trucchi qui: si vestivano da fascisti così la gente vedeva i fascisti che andavano a prendere le persone e davano la colpa ai fascisti. Uh, i fascisti fan sparire la gente! Poi però non erano i fascisti, erano i partigiani, facevano il doppio scopo: eliminavano la gente che non gli andava e in più incattivavano la gente contro il fascismo. Facevano di questi trighi. E mia madre è stata fortunata perché in quel momento lì, quando era oramai già quasi alla fine, è venuto questo ragazzo qui che era a capo di un gruppo - lui era di Dignano - e l'ha vista e l'ha liberata. Poi è andato via e le ha detto: guarda, adesso ti ho slavato, però è meglio che te ne vai a Pola."

9) Perché dov'è successo questo episodio?

R.: "In un paese vicino a Pola, lì nei dintorni, a Barbana."

10) Visto che ne stiamo parlando, continuiamo. Le chiedo se le foibe sono sempre state conosciute dalla gente istriana. Ovviamente non mi riferisco al loro significato puramente morfologico e geografico, quanto piuttosto all'utilizzo che ne veniva fatto...

R.: "Si, si, si è sempre saputo, ne abbiamo sempre parlato, mia mamma ne ha sempre parlato. No, no, lo sapevano tutti, lo sapevano tutti quello che facevano. Anzi, una mia zia andava a fare i lavori nel comando partigiano, che c'era un comando a venticinque chilometri da Pola, dentro le cavità delle grotte, ma dice che era lungo due o tre chilometri e mia zia andava a fargli i lavori. Che pensi, mia madre l'avevano accusata e mia zia andava a fargli i lavori, a pulire e tutte quelle cose lì. Era una grotta nascosta dalle frasche, ci andavano dentro di notte e dentro lì c'era il commando partigiano. Lo sapevano tutti quelli del posto."

10) Delle foibe, dunque, si è sempre saputo.

R.: "Oh si, si. Anche quelli di Pola lo sapevano, però Pola non avendo nessuna azione partigiana, non l'avevano mai provata sulla loro pelle, invece quelli dei paesi si. In paese era molto...Cioè, di giorno comandavano i fascisti, di notte i partigiani. Venivano di sera, sempre vestiti da fascisti ! Si travestivano da fascisti e poi sparivi e bom."

11) Parliamo ancora un attimo della guerra. Pola è stata bombardata pesantemente. Le hanno raccontato qualcosa in proposito'

R.: "Uh! Vicino al cantiere Scoglio Olivi, c'è proprio una salita che è di roccia, e sotto è tutta scavata, è tutto grotta, che poi dopo gli jugoslavi han fatto degli orti dove mettere le mele. Erano tutti bunker, e andavano lì. E se bombardavano Pola non succedeva niente, perché erano dentro i rifugi. C'era una roccia che era sei o sette metri, non le facevano niente. Pola è stata bombardata dagli americani e dagli inglesi, ma gli aerei che han buttato giù i tedeschi! Madonna! Più gli inglesi venivano, eh...E buttavano giù gli apparecchi, e allora i piloti si lanciavano col paracadute e andavano a prendere la seta del paracadute per farci le magliettine e le camicette. E al pilota non gli facevano niente: mi dicevano che quando cadevano giù, i tedeschi andavano là, gli facevano il saluto militare, si facevano dare la pistola, gli davano la mano e li trattavano bene. Erano militari con militari."

12) Parlando sempre della guerra, posso chiederle qualcosa sulla borsa nera?

R.: "No, borsa nera no, perché ad esempio mia mamma fino a quando non è venuta a Pola abitava in campagna. E loro facevano solo questa [cosa] qui, e cioè il grano non lo consegnavano tutto, perché se no all'ammasso ti davano una miseria. E allora mio nonno [lo] tagliava di notte, quando però non era ancora maturo maturo, perché c'era i fascisti che guardavano. Lo tagliavano un po' qui e un po' là e poi lo portavano in cantina e lo tenevano per loro, non lo davano via. E loro fame poco volte l'hanno patita, con il grano e il gran turco che non davano all'ammasso. Poi lì c'è tanto pesce, tiravi una bomba a mano nel mare e mangiavi finché ne volevi, non è mica come adesso!"

13) Lei è di Pola, e credo abbia sentito parlare di Vergarolla...

R.: "Porca miseria! Vergarolla oramai si sa nome e cognome di tutti. Anche mio zio, quello che è rimasto là, me ne ha parlato. Lo sapevano tutti. Mi ha detto che la gente aveva visto due persone sospette, con un soprabito, mai viste. Perché lì il posto è Veruda, cioè diciamo che il quartiere si chiamava Veruda e Vergarolla è un'insenatura di Veruda, perciò lì è un quartiere che si conoscono tutti, allora non era turistico. E la gente dopo l'esplosione diceva: si, abbiam visto due personaggi, due persone con un soprabito e sospettavano che erano quelle lì. Poi, magari, di sicuro glielo avran riferito a qualche d'un altro, anche se lì non potevi tanto parlare perché c'eran gli jugoslavi e oh! E dicono che uno era di Fiume, un fiumano che si chiama Mario K., che c'è un libro che lo dice. E i servizi segreti italiani avevano informato della cosa i servizi segreti inglesi. E mio papà poi quando son venuti gli inglesi ha lavorato nel comando inglese, ha lavorato come riparatore falegname con gli inglesi. E gli inglesi prima di andare via hanno chiamato mio papà e gli han detto: vieni da noi, perché se andrai in Italia non ti troverai bene, sono ostili contro di voi gli italiani. Vedrai che vi sparpaglieranno tutti, vi faranno in piccoli gruppi, uno di qui e uno di là. E mio papà [gli disse]: ma no, noi andiamo in Venezia Giulia, a Trieste. Pochi di voi andranno in Venezia Giulia. Dai retta a noi, ti facciamo avere la cittadinanza del Commonwealth e puoi venire in Inghilterra, in Canada, in Australia, dove vuoi, basta che non vai in Italia. Te lo diciamo perché abbiamo visto che sei un abile artigiano e noi abbiam bisogno di gente così. E mio papà gli diceva: ma no, vado via di qual perché son italiano, adesso ci penso, ci penso. E poi non è andato. Ha provato a stare un po' in Jugoslavia dicendo ma si, che cosa mi faranno..."

14) Ecco, la Jugoslavia. Di colpo un mondo nuovo rispetto a prima, credo...

R.: "Eh, madonna! Eh, madonna, ci son le tessere! C'eran le tessere e gli davano tanti grammi di zucchero, poca pasta, e c'era fame, c'era fame. Mio papà la sera, in cantina, si è messo a fare il falegname, solo che non gli davano legname. Lui lavorava in cantiere, e faceva anche lì il falegname, lavorava come riparatore. E dopo il lavoro faceva dei lavoretti, andava per le cascine ad aggiustare le ante e le porte, e guai se lo venivano a sapere, perché per loro era un imprenditore privato, era un nemico del popolo. E allora lì soldi non c'e' n'erano e gli davano sempre della farina, delle patate e allora se la cavava. Poi dopo ha visto che le cose non andavano più bene e ha dovuto smettere. Poi dopo è andata a finire che un giorno è venuto il capo lì al cantiere navale e gli fa: Carlo - si chiamava Carlo mio papà - vedo che te stai lavorando troppo... E lui risponde: ma no, se non faccio niente tutto il giorno! Gli davano una sedia un po' sfondata e gli dicevano di tenersela tutta la settimana perché non c'era niente da fare! Ma se questa sedia me la sto tenendo da una settimana! Ma no [dice il capo] non insistere, lo so che te sei modesto, hai bisogno di un aiutante. Va beh, se proprio insistete, mandatemelo! Domani te lo porto. Il giorno dopo arriva e gli avevano portato il primo bandito dell'Istria."

15) Il primo bandito?

R.: "Il primo bandito, si chiamava K., aveva fatto fuori quindici o sedici carabinieri, era un ladro di bestiame, e cioè era uno che faceva una delle cose più odiose che potevi fare da noi, perché andava a rubare dai contadini la vacca o il bue da tirare. Eppure era diventato un eroe, perché aveva ucciso quindici o sedici carabinieri: lo chiamavano la primula rossa dell'Istria. Era scappato molte volte dalle carceri, e lo avevano preso una volta al cinema a Trieste. Solo che aveva due bombe a mano, voleva farle esplodere nel cinema e allora lo hanno fatto uscire, lo hanno preso e portato in carcere. Solo che poi è stato scambiato con quei frati, con gli spioni. La sia la storia dei frati spioni?"

16) Veramente no...

R.: "Eh, le robe più interessanti non te l'hanno mai dette nessuno allora! Dovevano fare dei processi eclatanti, far vedere che i clero erano tutti spie e così via. Non so come è stato, ma qualcuno ha nascosto una radio trasmittente nella chiesa dei frati francescani lì a Sant'Antonio [una chiesa di Pola, NdR] , l'avevano nascosta, e uno di quei frati l'ha trovata. E c'era sempre - mi raccontavano - uno slavo là che andava a chiedergli ai frati questo e quell'altro, per spiare. Al momento giusto han fatto intervenire la polizia jugoslava, e hanno accusato tutti di spionaggio. E gli han fatto il processo e volevano fucilarli, tutti quanti. Hanno messo, mi han detto, tutti altoparlanti in tutta la città, in lingua italiana. Cioè il processo è stato fatto in lingua italiana, mi hanno detto, [cosicché] tutta la popolazione e anche la stampa internazionale seguisse questa vicenda. E dopo son stati forse condannati a carcere duro, non son stati poi fucilati, e dopo son stati scambiati con questo famoso K. e [con] altri prigionieri."

17) In base a quello che mi diceva prima, mi sembra di capire che nel primo dopoguerra in Jugoslavia vi fosse molta povertà...

R.: "Oh madonna, i'era una miseria nera! Madonna..."

18) E lei ha mai sentito parlare, sempre relativamente alla Jugoslavia, della rebota e cioè del lavoro volontario?

R.: "Si, si, lì andavano i compagni, proprio quei là che erano veramente compagni: sa, [erano] ragazzi giovani, la nuova patria, per carità, non si possono biasimare! E' andata la Lidia, una che dev'essere morta adesso. E lei era giovane, era compagna e mi contava che aveva fatto due o tre mesi giù in Bosnia. E mi diceva: sai, a noi andava tutto bene, eravamo giovani, si cantava, si bevevo, non è che ammazzavano di lavoro, eh! Comunque, esperienze...Aveva fatto anche lei...Io penso che le donne gli preparavano il mangiare, mentre i ragazzi facevano le linee o andavano ad aggiustare. E mi sembra che era un mese all'anno che dovevi fare volontariato; però penso che non dovevi essere sposato, cioè dovevi avere certe prerogative, era volontariato. Anche se però, se non lo facevi ti guardavano un po' di malocchio. Però diciamo che in certe categorie o in certi lavori non ti mandavano. Come quelli che lavoravano nei cantieri navali, li volevano lì, non li mandavano in altri posti. Eh, hanno usato il metodo del bastone e della carota: prima erano feroci, poi quando hanno conquistato noi, non è che era un regime , diciamo, di criminali. E' solo che erano dei poveracci. Non si può dire che eri come in Cina...Facevi il tuo lavoro e nessuno ti diceva niente, dovevi però stare dalla loro parte! Non dovevi nominar l'Italia, non dovevi dire che volevi andare via, dovevi stare attento, no? Però te facevi il tuo lavoro e nessuno ti diceva niente. [Era] la tattica di tutti i regimi, penso."

19) Parliamo ora dell'esodo. Mi ha detto che lei va via da Pola, con la sua famiglia, nel 1951...

R.: "Siamo andati via mi sembra ad agosto: io ero piccolo, avevo cinque o sei mesi. Io son nato sotto la Jugoslavi, che c'era zona A e zona B. E sulla zona A c'è da discutere tutto. La zona B, bom, era stata assegnata, son stati i nostri carogne che si sono venduti agli slavi, [mentre] la zona A doveva ritornare all'Italia. Doveva ritornare anche nel '56, con il trattato di Osimo. Poi quando si è sciolta la Jugoslavia, il Trattato di Parigi diceva chiaramente che se la Federazione jugoslava si dovesse sciogliere, tutti i territori devono tornare a prima del trattato, e l'Italia non si è mai fatta avanti, non ha mai mosso un dito per la sua gente, mai."

20) Parte nel '51, mi racconta qualcosa del suo viaggio?

R.: "Siamo andati via in treno, da Pola fino a Udine. Poi ci hanno preso le impronte digitali a tutti: [uomini, donne], bambini e anche i cani! Ti prendevano le impronte digitali, lo sapevi e poi se avevi il cane te le prendevano anche al cane. Poi ci han messo nei carri bestiame, ci han dato una balla di paglia per famiglia che ci potevi star sedute o se volevi dormire l'aprivi e dormivi lì, e poi ci han mandato in Sicilia."

21) E con voi cosa siete riusciti a portare?

R.: "Niente. [Solo] un cassone che c'ho ancora io, che era di mio papà, che ci aveva messo i ferri di lavoro, perché senza i ferri di lavoro era difficile. Ma c'ho ancora tutto, li ho tenuti io come ricordo. Ma guarda che controllavano, urca! Sia i drusi - perché noi gli slavi li chiamiamo drusi - sia i poliziotti italiani... Porca rogna, eran peggio i poliziotti italiani che i drusi! Perché i drusi andavi via e dicevano se andate via andate via, guardavano la roba ma non se ne fregava più di tanto. I nostri qui invece eran delle carogne a Udine! Ma non solo a Udine, dappertutto! Poi a Bologna, io ho fatto l'esperienza di Bologna...Che la saprai meglio di me l'esperienza di Bologna."

22) Ma lei era su quel treno?

R.: "Si. Eh si, dovevi passare da Bologna, tutti passavano da lì! Solo che non è che l'han fatto con un treno solo, ma con tutti i treni lo faceva quella gente lì. E anche nelle Marche ci han fatto una bella accoglienza eh! Eh si, ti sputavano in faccia, ti dicevano fascisti. Ma a bambini di tre anni, come puoi dirle fascista!? Come puoi dirle così? Che le donne andavano poi a chiedere l'acque e le dicevano - me lo contava mia mamma - non vi diamo neanche questa! Li insultavo, venivi insultato. Per loro andavi via dal paradiso terrestre, dal paradiso della Jugoslavia, dalla nuova patria. Praticamente, siamo andati via dal comunismo, lì!"

23) Voi avete dunque fatto da Pola a Udine...

R.: "Si, poi col treno siamo andati fino a Catania."

24) E a Catania dove siete finiti?

R.: "In un campo profughi [che] si chiamava Cibali."

25) E che cos'era questo campo?

R.: "Era una caserma di cavalli, cioè era una caserma delle cavalleria, e infatti so che c'erano i cavalli dove ci avevan messo a noi. Cioè, non c'erano più i cavalli, comunque eravamo lì. E lì a Catania siamo stati accettati abbastanza bene, molto meglio che qui al nord. C'era solo il problema che lì faceva caldo, un caldo da bestia. Eravamo abituati al clima del nord, avevamo gli anticorpi diversi e difatti io mi sono ammalato, le mie sorelle si son ammalate, sennò la gente era molto accogliente, ci trattavano bene. Ci chiamavano piemontesi, perché nella Sicilia di allora se uno era biondo e aveva gli occhi chiari [come me] era un piemontese. Però non c'era niente da dire: mio papà ha trovato subito lavoro all'aeroporto di Catania, faceva il manutentore, ci avevano già dato la casa popolare. Solo che faceva troppo caldo, morivamo tutti, si moriva tutti. E c'era una dottoressa nel campo che era una dalmata, che disse a mio padre che se voleva salvare i suoi figli l'unica soluzione era quella di portarli al nord. E così, un po' a malincuore ci sima tolti dal campo profughi. Un po' di miei parenti - adesso abitano a Novara - all'epoca facevano i contadini, c'era mio nonno che faceva il contadino e dicevano che in Piemonte cercavano la gente per lavorare in campagna e allora è venuto prima lui, mio nonno. E poi dopo ci ha fatti venire anche a noi e siamo venuti qui a Casale. Però non subito alla Cansa, perché quando siamo venuti in Piemonte siamo andati subito in paese e abbiamo affittato una casa. Poi però si è liberata una stanza lì alla Cansa e siamo andati lì. E poi da lì è successo un fatto spiacevole a mia sorella e allora siamo [andati via]. Lei andava a scuola, e la maestra l'ha accusata che aveva i pidocchi, e invece non era vero, non aveva nessun pidocchio. Qualche d'un altro ce l'aveva, però la colpa gliel'ha data a lei: era profuga, ultima arrivata e la colpa l'ha data a lei. Mia madre allora è andata là e si è fatta le sue ragioni: non l'avesse mai fatto! Se l'è appuntata e allora quando mia madre è andata a prendere la pagella, la maestra le ha detto: per sua figlia la pagella non c'è. E perché non c'è la pagella? Perché per me l'ano non l'ha superato Ma come, io vedo i quaderni che fa e va benino. Anzi, va bene! E niente, non c'è stato niente da fare e l'ha bocciata. Anzi, non le ha dato neanche la pagella, le ha fatto proprio una grave discriminazione. Poi dopo a mia mamma le han detto: valla a denunciare, ti ha fatto una grave discriminazione. Solo che mio papà faceva lavori saltuari e avrebbe dovuto andare da un avvocato, poi stava già trattando per andare [a lavorare] in provincia e se avevi robe panali in corso rischiavi di saltare il posto, e così i mie han detto: dal momento che qui non ci vedono di buon occhio è meglio [andare via]. E così mio papà si è trovato il lavoro in Alessandria e siamo andati in Alessandria."

36) Mi ha parlato di questa Cansa. Riesce a descrivermela?

R.: "Ma guardi, io ricordo pochissimo, niente quasi. Perché noi arriviamo a Casale nel '53, però non siamo andati subito alla Cansa. Penso che alla Cansa siamo andati nel '54-'55, più o meno. La Cansa era dunque... Era una casa grossa, non brutta, che aveva degli scalini che andavano su e poi c'era diversi appartamentini, cioè stanze. Io penso che era una roba per uffici, perché erano proprio stanze, e abitavamo in una stanza. Stavamo in una stanza, mentre i servizi erano tutti in comune. Ma non era una caserma, non era una caserma. Adesso non c'è più, l'hanno buttata giù."

37) E lì c'erano tante famiglie di giuliani?

R.: "No, penso di no, non c'è n'era tante, no."

38) Dentro era come in un campo profughi?

R.: "No, no avevi la tua stanza, no. Non era come le caserme che avevi la coperta, ognuno aveva la stanza."

39) Ed era fuori dalla città?

R.: "Era per la strada per andare a Valenza, appena uscito da Casale. Erano le ultime case che poi andavi per la strada di Valenza, le ultime case, che vicino c'è il cimitero degli ebrei. Il cimitero degli ebrei era sulla sinistra, e la Cansa era sulla destra. E poi c'era un asilo che mi sembra che adesso l'asilo, cioè la casa [l'edificio] c'è ancora, però non so se è adibito ancora ad asilo, forse si. Era l'asilo della popolazione del rione, di Porta Milano."

40) E invece a Catania ricorda come eravate sistemati nel campo?

R.: "Oh, a Catania eravamo in un camerone con delle coperte divise. C'era promiscuità, ma non siamo stati tanto, perché poi ci han dato la casa popolare, anche se poi abbiam dovuto lasciar perdere anche quella lì."

41) Posso chiederle perché la sua famiglia ha deciso di andare via da Pola? Qual è stato il motivo principale secondo lei?

R.: "L'ho detto. Te l'ho detto che come aiutante [a mio padre] gli han portato il primo bandito [dell'Istria]. Mio papà appena l'ha visto si è spaventato: ha detto oh, questo ha ammazzato quindici persone, gli giro le spalle, mi tira una coltellata e mi fa fuori! E allora è andato dal suo capo cantiere e gli ha detto subito: o via lui, o via me! Io quello lì non lo voglio! E perché? Come perché, quello lì è il primo bandito dell'Istria e me lo mandi proprio a me! E non posso mandarlo via [gli dice il capocantiere], non posso perché è un eroe, è un eroe compagno, è un eroe della Jugoslavia. Ma tu sei matto! Te lo ripeto, lui viene... E allora vado via, e si è licenziato. Si è licenziato ed è andato via. Poi dopo si è messo a fare qualche lavorino, ma non gli davano il legname... Poi trovava lavoro, ma lavori pesanti e lui era invalido di guerra, era stato ferito gravemente e non era in grado di lavorare come un altro. E perciò c'erano ancora le votazioni [opzioni]... Anche se c'è da dire che mio papà non era cittadino jugoslavo, è rimasto sempre cittadino italiano, perché lui aveva la residenza a Trieste. Invece mia mamma no, lei anche se era originaria di Padova era residente a Pola, e quindi era diventata jugoslava. Cioè non era diventata, però ha dovuto fare le votazioni [opzioni], invece mio papà era libero di tornare in Italia, poteva andare quando voleva, era cittadino di Trieste. Così quando c'era da fare le votazioni [opzioni] mia mamma ha votato [optato] e ci ha messo nel passaporto anche a me e mia sorelle perché eravamo nati lì e siamo venuti in Italia. Sono venuti perché quindi non riuscivano a vivere e perché avevano grossi problemi: l'unico lavoro era la cantiere navale, ma mio padre non poteva fare lavori pesanti di fatica, perché era stato dilaniato, era stato bruciato all'80%, aveva fratture scomposte in molti posti, non era piazzato bene. E loro non lo riconoscevano come invalido perché era combattente italiano."

42) Le chiedo ancora un po' di cose. La prima è questa: mi ha detto prima che in Sicilia vi hanno accolto bene, mentre qui a Casale non tanto. Ha voglia di parlarne?

R.: "Ce ne han fatte di tutti i colori!"

43) Mi dica...

R.: "I miei mica dicevano che eran profughi! Dicevano che erano del Veneto, perché la parlata è veneta uguale, no? Non dicevi che eri di là, perché se dicevi che eri profugo te ne facevano di tutti i colori. Son poi venuti anche i miei zii, e si prendevano sempre a botte, non dico tutti i giorni, ma erano sempre patele coi casalesi! Ti conto un episodio: mia nonna aveva affittato una casa, e mio zio si era comprato una 600, la prima macchina che aveva. E lui l'aveva messa davanti a casa sua. Un giorno arriva un condomino e gli fa: te qui la macchina non la puoi mettere! E perché? L'ho messa davanti a casa mia! Qui la possono mettere solo i proprietari. Ma se io pago l'affitto...Ma era una scusa per attaccar briga, no? Appena finito quello lì gli ha mollato un pugno. Mio zio era un ex pugile e gliene ha mollate tante! Gliene ha date tante gliene date! E poi bom, finisce lì. Dopo un po' di tempo mio zio è andato al bar e quello lì non l'ha aspettato con altri cinque o sei? Mio zio [allora] si è messo contro il muro e li ha disfatti tutti cinque o sei, li ha stesi tutti! Poi da solo non usciva più, usciva sempre con l'altro mio zio, anche lui ex pugile...Perciò era tutta una guerra continua: se sapevi che eri istriano ti attaccavano briga perché sei andato via dai compagni. A Casale c'erano molti comunisti, e allora vedevano l'istriano e per loro istriano era uguale fascista. La loro mentalità era questa qui, ma ancora adesso eh! Non è cambiata tanto qui Casale."

44) Un inserimento, mi sembra di capire piuttosto difficile. Ma poi è avvenuto oppure no?

R.: "Mah, bisogna vedere che parte politica...Io dalla sinistra ho avuto problemi, ma dagli altri no. Però eravamo [considerati] fascisti, e ancora adesso [lo siamo] per quella gente lì."

45) Insieme allo stereotipo dell'istriano fascista c'è in alcune parti d'Italia anche quello dell'istriano arrivato a portare via i posti di lavori ai locali. Lei ha riscontrato anche questo elemento di discriminazione?

R.: "Ma, mio padre era un tecnico quindi per il lavoro non ha mai avuto problemi. Anche in Sicilia dove c'era carenza di lavoro che i disoccupati erano tutti immigrati qui al nord, lui lavoro l'ha avuto subito, l'ha trovato anche perché aveva una qualifica, non era un manovale. Ma anche qui, sapendo fare un lavoro abbastanza tecnico non ha mai avuto problemi, anzi era ricercato. Prima di andare a lavorare in provincia, già ad Alessandria è andato in un mobilificio e faceva i mobili, tanto che il proprietario non lo voleva mandare via, perché c'erano pochi artigiani in grado di fare certi lavori. Parlando degli esempi dei miei zii, anche loro non hanno faticato a trovare lavoro, che loro erano giovani. Posso dire che a uno di questi miei zii gli avevano chiesto se voleva andare a lavorare lì all'Eternit, perché aveva lavorato anche lui alla Fabbrica Cementi a Pola, però non aveva lavorato tanto. Siccome però era rimasto disoccupato all'Ufficio di collocamento gli avevano chiesto se voleva andare, e lui era andato. Una volta andato lì, nella fabbrica della morte, ha visto la situazione e ha detto che era una roba neanche da credere: ha visto com'era la fabbrica a Pola e [in confronto] a questa qui [era come] dal giorno alla notte. C'erano aspiratori vecchissimi, non aspiravano, c'era l'ambiente malsano e allora dopo quindici o venti giorni è andato dai sindacati a dirgli che non si poteva lavorare in quelle condizioni. E sai i sindacati cosa gli han detto: ah, sta polvere fa passare il raffreddore! Questa polvere non fa niente. E poi, dopo aver visto che i sindacati non facevano niente, è andato dal capo e gli ha detto: mettetemi in un altro posto, perché io in quest'ambiente qui non ci sto. [E lui gli ha detto]: ti t'ses 'n lazarun, t'las nen veuia 'd travaià! Va a ca' tua! E l'hanno licenziato in quattro e quattr'otto, ma è stata la sua fortuna! Lui però se n'era accorto che era un ambiente malsano. Poi è andato a fare il trattorista e bom."

46) Mi ha parlato della Fabbrica Cementi Marchino, che aveva uno stabilimento a Pola e anche a Casale. Alcuni testimoni mi hanno detto che gli istriani venuti qui a Casale erano quasi tutti lavoratori della Marchino...

R.: "Quei pochi che conosco si, avran portato qui i suoi parenti. Ma sicuramente non tutti, perché mio zio ha lavorato un po' lì, però a lui non gli han detto se voleva venire. Diciamo quelli che magari contavano di più si. Cioè dallo stabilimento di Pola li han fatti venire qui, e da quello che so io mi sembra che gli abbiano anche pagato il viaggio per portargli la mobilia e tutta la roba. Non so se a tutti, ma a molti gliel'hanno fatto i Marchino."

47) Ho dimenticato di chiederle una cosa su Catania. In campo profughi eravate tanti?

R.: "Si, a Catania si. Eravamo noi giuliani e dalmati, anche dalmati. Greci no perché erano giàandati via nel '51, c'eravamo solo giuliani e dalmati."

48) Mi ha detto che la sua famiglia è andata via, così come molti altri polesano. A Pola però una minima parte di italiani è rimasta. Secondo lei come mai?

R.: "Perché credevano - come anche mio zio - nella Jugoslavia. Credevano nel nuovo stato, in una nuova patria, credevano nel socialismo. Si trovavano magari male sotto l'Italia del fascismo e credevano che il nuovo stato soddisfala magari le loro aspirazioni. Anche mio zio è rimasto, si è pentito un po', poi però non più. Poi c'era anche mio nonno, che gli piaceva pescare e allora son rimasti lì."

49) E lei torna a Pola?

R.: "Si, tutti gli anni. A desso come vede sto facendo i lavori in casa, però vedo sempre io."

50) E ha nostalgia?

R.: "Ah, se potessi tornare tornerei volentieri! Pola è una bella città, oh! C'è il mare, d'inverno non gel mai... Si, c'è la bora, ma la bora non fa freddo, eh! Lì han mica i termosifoni in casa, hanno le stufettine piccoline."

51) Lei dunque ci tornerebbe a vivere?

R.: "Ah, sicuramente. Io poi sono proprio originario di Lussinpiccolo, e anche andar nell'isola è un bel posto. Adesso anzi ho ereditato delle terre di mia nonna vicino a Ragusa, a Dubrovnik."

52) Ne ha quindi nostalgia...

R.: "Eh, madonna! Però un momento...Tornerei ma senza andare con quella gentaglia lì che c'è adesso; [se] cambia la mentalità si, ma andare con quella gente lì no. Perché prima comandavano i serbi, adesso sono arrivati i nuovi padroni croati e comandano i croati e gli italiani van sempre suta!"
20/07/2009;


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Esodo in Piemonte, 2010


Miletto Enrico 05/11/2009
Pischedda Carlo 05/11/2009
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Come citare questa fonte. Intervista a Giulio R.  in Archivio Istoreto, fondo Miletto Enrico [IT-C00-FD14188]
Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019