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CARTACEO: Intervista a Adalgisa F.

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Intervista a Adalgisa F.
Adalgisa F. nasce a Dignano il 18 settembre 1928. Parte con la famiglia a bordo del Toscana nel 1947. Arriva a Varese e dopo un anno si trasferisce a Torino in un'abitazione di borgo Vanchiglia. Maestra, andrà ad insegnare nelle Valli di Lanzo. Intervistata il 12 aprile 2012. Intervista e trascrive Enrico Miletto

1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: quando e dove è nata?

R.: "Sono nata a Degnano d'Istria il 18 settembre 1928."

2) Mi parli un po' della sua famiglia di origine: quanti eravate, cosa facevano i suoi genitori...

R.: "I miei genitori... Mio papà faceva il macellaio: erano macellai i suoi nonni, i suoi bisnonni, e aveva la macelleria più bella dell'Istria! Lui vendeva anche molta carne a Pola, perché Degnano d'Istria è a dieci chilometri [di distanza] da Pola. Infatti quando io ho avuto dieci - undici anni, viaggiavo ogni con il treno da Degnano a Pola, perché andavo alle magistrali. Frequentavo [una scuola che] si chiamava il Regio Istituto Magistrale, e allora andavamo a Pola. Mio papà era macellaio, e aveva fatto venire da Trieste tre tecnici che gli avevano messo su una cella frigorifero grande, perché lui aveva tanta carne che metteva in frigorifero, che poi la vendeva. Mia mamma e mia nonna sono invece andate in Austria. Perché sai che c'erano gli austriaci no in Istria? E allora quando è scoppiata la [prima] guerra [mondiale], gli uomini sono andati tutti in guerra con la divisa austriaca, [mentre] le donne, i bambini e gli anziani, con il treno li hanno portati [via]. Quelli di Degnano sono andati a Graz, in provincia di Graz, W. si chiamava il paese, e lì gli hanno preparato della caserme e vivevano lì tutti insieme, per tutto il tempo della guerra. E siccome c'era la guerra in Istria, li hanno salvati in Austria. Poi sono tornati e c'era l'Italia. Mia mamma era casalinga. Noi in famiglia eravamo in cinque: [i genitori e tra fratelli]. Che mia sorella Livia è nata nel '31 e mio fratello nel '42, aveva quattordici anni di differenza da me."

3) Lei è di Degnano d'Istria. Riesce a descrivermi che città era?

R.: "Era un paese bellissimo! Era agricolo, c'erano tanti artigiani che facevano un po' di tutto, falegnami. Avevamo una bella chiesa grande, San Biagio. I dignanesi, alcuni, andavano a lavorare a Pola, che c'era la Fabbrica Tabacchi, poi c'era tutte le fabbriche dove che lavoravano ai tempi degli austriaci, che lavoravano per i marinai e facevano le maglie, le divise, le scarpe per i militari. C'era il treno che andava a Pola tutte le mattine, alle sei e mezzo, che avevamo la stazione e andavano a lavorare in tanti a Pola, proprio tanti. Tante donne andavano in Fabbrica Tabacchi."

4) Parliamo ora della distribuzione della popolazione. A Degnano la maggioranza penso fosse italiana...

R.: "La maggioranza era italiana, la maggioranza. Perché, vedi, essendo il confine con gli slavi, gli slavi emigravano, attraversavano il confine e si stabilivano lì. Che succedeva così, [come] in Valle d'Aosta che ci sono i francesi, è vero? E allora questi slavi, i giovani di Degnano, non volevano sposarsi con gli slavi. Hanno incominciato dopo la guerra, che anche mio zio - anzi, tutti i miei due zii - hanno sposato una slava. Ma prima, non volevano sposarsi con le slave. Loro vivevano nelle borgate, nelle frazioni, e ci vendevano la legna per scaldarci le cose - perché allora ci si scaldava con la legna - e poi venivano al mercato, che a Degnano c'era un bellissimo mercato coperto e all'aperto. C'erano i pesci tutti i giorni che arrivavano da Fasana e queste slave portavano uova, galline, frutti di bosco: avevano dei recipienti con i frutti di bosco come le more, i lamponi e queste cose qui. Ma noi li guardavamo bene gli slavi, eh!"

5) Ecco, com'erano i rapporti tra la componente italiana e quella slava?

R.: "Non c'erano rapporti, perché non vivevamo con loro. Mio papà aveva a che fare con loro perché andava a prendere gli animali, e mio papà qualche parola di slavo l'aveva imparata. Ma noi bambini no: un anno mi aveva invitato una mia madrina di cresima, che sua figlia - Graziella D. - è anche mia amica. Mi hanno invitato in un paese dove c'erano questi slavi, e il preti ci ha insegnato a farci [il segno della] croce in slavo, a contare fino a dieci. Ecco, ci ha insegnato queste poche cose, ma non avevamo voglia di imparare lo slavo. Mia nonna non sapeva una parola di slavo! Noi eravamo italiani, eravamo però d'accordo che gli slavi rimanessero e lavorassero la campagna. Quando era San Biagio, [le donne slave] venivano [a Degnano] tutte vestite colorate, con il fiore in mano, avevano sempre un fiore in mano. Era bello vivere insieme così, un poco diversi. Non li odiavamo, per niente. Infatti, guarda, devo dirti che quando siamo venuti via, che siamo venuti profughi in Italia, noi tutti gli anni coi bambini - coi figli - andavamo lì al mare a Medolin [Medolino], che prima avevamo una tenda e poi abbiamo comperato una roulotte e siamo sempre andati là."

6) Le ho fatto questa domanda sul rapporto tra le due componenti della popolazione, perché molte delle testimonianze che ho raccolto, parlano di una convivenza non sempre facile, soprattutto durante il periodo fascista durante il quale le politiche del regime hanno pesantemente vessato la popolazione slava. Posso chiederle relativamente al fascismo quali sono i suoi ricordi?

R.: "Del fascismo io mi ricordo che i fascisti non volevano che gli slavi parlassero slavo, li obbligavano a parlare in italiano."

7) In proposito ricorda degli episodi in particolare?

R.: "Gli episodi è che li picchiavano! Quando andavano in un ufficio che avevano bisogno di documenti, quelli lì non sapevano parlare italiano, e allora loro li picchiavano anche. Sai, i fascisti erano cattivi, erano un po' prepotenti! Però a noi non ci hanno fatto niente, mai. Tutte le volte che passavamo il confine che andavamo a Medolino [ma questa succedeva già dopo l'esodo], ci tiravano fuori i nomi [cioè la polizia jugoslava di frontiera aveva una specie di elenco di proscrizione] per vedere se anche noi avevamo quei nomi lì. Io che di cognome mi chiamo F., non mi hanno mai detto niente. Ci dicevano andate pure, andate pure, ci hanno sempre trattato bene. E anche quando siam venuti via, non ci han fatto niente, non ci hanno buttato in foiba."

8) Abbiamo accennato al fascismo. Ora le chiederei invece quali sono i suoi ricordi relativamente a un altro periodo molto delicato, e cioè la guerra...

R.: "Nel '45 son venuto gli slavi a Degnano. A Pola c'erano gli inglesi e gli americani, e noi avevamo già loro."

9) Lei ricorda l'ingresso dei titini a Degnano?

R.: "Si, si, li abbiamo visti. Hanno occupato loro tutte le caserme e tutto quello che era da occupare, erano i padroni loro, capisci? Questo era nel '45. Nel '46, io ho sostenuto l'esame di maturità alle magistrali - avevo diciotto anni - e sono stata promossa. I primi mesi, a Pola, abbiamo fatto un plebiscito, che è una decisione del popolo, volevamo dimostrare che noi eravamo italiani e sono andata anche io alla manifestazione. Tutte le strade di Pola erano pienissime di gente che volevamo il plebiscito. E loro se ne sono infischiati!"

10) Stavamo parlando della guerra. Ad esempio, lei ricorda i tedeschi?

R.: "Si. Prima che venissero i partigiani, avevamo i tedeschi che con le loro moto scorrazzavano, andavano dappertutto. Poi la sera c'era i coprifuoco e nessuno poteva andare [fuori casa]. Però c'erano delle ragazze che andavano fuori [uscivano] perché erano amiche dei tedeschi, erano le mie vicine di casa, erano file tedesche, ma proprio scalmanate. Erano per i tedeschi!"

11) In che senso erano scalmanate...

R.: "Erano tanto scalmanate... Andavano a ballare, per loro non c'era il coprifuoco. Andavano a cavallo - che poi avevano tutte le gambe nere, perché il cavallo fa venire le gambe nere - e io ero amica di loro, perché abitavo lì vicino. Però non sapevo niente, non eravamo politicizzati, non sapevamo niente. Noi facevamo quello che dovevamo e loro [ i tedeschi] facevano quello che dovevano, non ci interessava tanto."

12) Il conflitto tra i tedeschi e quelli che erano in bosco lo captavate, oppure era una cosa che non vi riguardava?

R.: "Sapevamo che c'erano i partigiani, perché molti del mio paese si sono messi partigiani con quelli di Tito, ma loro non sapevano, perché se avessero saputo che Tito ci prendeva le terre, non sarebbero andati con loro. Invece loro per la politica contro i fascisti, sono andati a fare i partigiani, e sono venuti anche loro a Degnano tutti in fila."

13) Ricorda quando sono arrivati tutti in fila a degnano?

R.: "Erano vestiti male, non avevano divisa, ma avevano il fucile. Non avevano divise, avevano scarpe scalcagnate, erano malandati, malandati! E, allora, sono usciti con il side-car i tedeschi che hanno fatto scappare i partigiani. E ci siamo spaventati. E allora dopo i tedeschi sono andati via perché sono arrivati a Degnano Tito e i suoi seguaci. Sono venuti e hanno occupato le caserme, erano padroni loro."

14) Come ha reagito la popolazione all'arrivo dei partigiani di Tito?

R.: "Stavamo zitti, tutti, zitti. Zitti. Guarda,nel '46, dopo che c'era stato questo plebiscito, al mio paese quelli che stavano bene - [e cioè] i farmacisti, i dottori, i notai e le maestre - hanno cominciato a venire tutti in Italia, e allora abbiamo iniziato [anche noi] a dire che bisognava venire via qui. E allora nel '46 sono andati via i signori, tutti via, e allora anche mio padre ha detto andiamo via. E nel '47, a febbraio, con il Toscana, con la nave Toscana, mio papà, mia mamma, mia sorella e mio fratello sono andati via. Io [invece] siccome ero maestra - che eravamo in tutte tre maestre - sono andata [con le altre] a Pola, che c'era il provveditore e siamo andata a prendere un consiglio. Provveditore, cosa dice, possiamo insegnare qui [anche] se abbiamo gli slavi? Però i bambini erano tutti italiani, erano tutti di Degnano. E lui ha detto: ma si, vi conviene rimanere voi a insegnarli gli italiano, che loro sono italiani. Allora io con mia nonna sono rimasta lì a Degnano e ho fatto la maestra fino a maggio del '47. Il 20 maggio del '47, mio papà ha voluto che andassi via anche io: è venuto a prendermi a Pola, poi con la nave siamo andati a Trieste, e poi col treno siamo andati a Varese, che i miei erano in provincia di Varese."

15) Ritorniamo un attimo a parlare del periodo della guerra. Alcuni testimonianze che ho raccolto, parlavano di fame e borsa nera...

R.: "No, non credo che ci fosse fame, perché [il cibo] non mancava: la polenta c'era, la farina per il pane c'era e carne anche. Mio papà vendeva tanta carne, eh! Io persino alla mia professoressa di francese portavo la carne, che lei voleva da mio papà un pezzo di carne alla settimana, e me lo pagava eh! Perché mio papà non regalava niente a nessuno! Da Pola c'erano che venivano a comprare da mangiare, che vendevano robe che avevano loro. Da noi no, non son mai venuti, però so che andavano a comprare, venivano con le lenzuola e le robe che avevano in casa e se le vendevano per comprare da mangiare. Perché a Degnano in tutte le famiglie c'era da mangiare, perché erano contadini, e dalla città venivano a comperare. Perché c'era fame, eh! Fino al '46 lì c'era fame. E ad ogni modo, il mangiare a Degnano non mancava: c'erano i forni pieni di pane, la polenta sempre pronta, il pesce che portavano da Fasana che andavano a comprarlo. Noi non abbiamo conosciuto la guerra."

16) Perché a bombardare andavano a Pola...

R.: "Noi qualche notte siamo scappati perché suonava la sirena [l'allarme antiaereo] e siamo andati [a ripararci] dentro quelle casette di pietra che ci sono in Istria, tipo i trulli. Mia nonna aveva tanta campagna, e in ogni campagna aveva una casetta e allora mi ricordo che con mio fratello piccolo del '42 - che lui era in carrozzina - siamo andati in queste casette e abbiamo dormito una notte lì. E poi non siamo più andati. Io una volta ho visto gli aeroplani che buttavano le bombe a Pola. A Degnano è caduta anche una bomba, ma per sbaglio, era caduta una bomba in una zona e aveva rotto una casa."

17) Prima mi ha detto che a sua famiglia non è stata coinvolta direttamente nella tragedia delle foiba. Vorrei chiederle, in proposito, se a Degnano eravate a conoscenza delle foibe e dell'utilizzo che ne veniva fatto.

R.: "Come no! Lo sapevamo perché c'era un panettiere [che si chiamava] B., che lui si calava nella foiba per prendere i colombi, e però un giorno è caduto e si è fatto anche male. Ma lui è caduto in foiba perché voleva prendere i colombi. E io una volta che ero a casa, mi affaccio alla finestra e vedo che arriva una fila di uomini - [incolonnati] a due a due, con gli slavi di Tito, legati insieme per le braccia e li portavano su. Allora io ho chiuso le finestre, perché non volevo vedere, mi faceva impressione, e ho visto una fila lunghissima di uomini che erano in prigione. Li hanno fatti uscire dalla prigione - che era in piazza - e andavano su, verso la via merceria - che noi la chiamavamo la calle nova ed era una strada nuova e larga dove c'erano tutti i negozi - e sono andati su ma non so come sono andati via. Forse li hanno portati via con qualche camion...Però quelli sono finiti in foiba. Tutti quelli che li portavano a due a due sono finiti [in foiba]."

18) Chi erano queste persone incolonnate?

R.: "Io non è che li conoscevo tutti. C'era qualcuno che era fascista, c'era qualcuno che era fascista, perché c'erano i fascisti anche a Degnano. C'era qualcuno che quando c'erano le feste dei fascisti si mettevano l'orbace e si vestivano tutti da fascisti. E i titini ce l'avevano da matti contro i fascisti, contro quelli che si vestivano da fascisti. Non ce n'erano tanti a Degnano di fascisti, però ce n'erano anche di fascisti che aveva


Che avevano anche quelle idee lì."

19) Ritorniamo un attimo all'episodio che mi ha appena raccontato. Lei ha visto queste persone...

R.: "Si, si, le ho visto di giorno, alla mattina. Era in camere dove dormivo io, avevo le finestre con le persiane di legno e allora ho chiuso, perché ho preso paura a vedere tutta questa gente: erano seri e spaventati! Spaventati."

20) E sono finiti in foiba a Dignano?

R.: "Non credo, perché c'erano molte foibe più grandi: quella di Pisino che era grandiosa, poi quella di Barbina, c'erano tante foibe, ma in quella di Dignano non credo."

21) A Dignano c'è stata gente che è finita in foiba?

R.: "Si, Andrea B., il papà della mia più cara amica, che aveva il negozio di tessuti, e lui è finito in foiba. Infatti le figlie stanno a San Donà di Piave e un giorno, passando da quelle parti con la macchina, abbiamo visto la signora [la moglie] e mi ha detto che le figlie andavano in Istria, ma non andavano per divertirsi come facevamo noi coi bambini che andavamo a fare il bagno - che a me piaceva fare il bagno in quel mare lì - ma andavano per commemorare il padre."

22) Voi come popolazione civile, sapevate dell'esistenza delle foibe...

R.: "Certo ed eravamo contenti, perché dicevano che noi che avevamo le foibe non venivano i terremoti!"

23) Ho capito. Ma a me interessa sapere un'altra cosa, e cioè dell'uso che i titini facevano delle foibe lo sapevate oppure ne siete venuti a conoscenza più tardi?

R.: "No, l'abbiamo saputo dopo, dopo. Quando io li ho visti andare a due a due, non sapevo dove andavano. Glielo detto a mio papà e a mia mamma, che anche mio papà li aveva visti passare, perché dalla macelleria era sulla strada. Non l'abbiamo saputo, l'abbiamo saputo dopo."

24) Secondo lei come mai le persone andavano a finire in foiba?

R.: "La foiba era un posto per ucciderli. Diciamo che erano nascoste, loro li buttavano lì e poi pensavano che nessuno li avesse visti. Poi però, non so come, c'è stata la gente che ha scoperto. Li buttavano perché erano fascisti, e poi loro avevano un odio contro gli italiani. Guarda che sono cattivi gli slavi neh! [Mi ricordo] che mio papà non voleva stare con loro, diceva: loro sono meno di noi. Mio papà andava dagli slavi, comprava da loro, li trattava bene - perché, si capisce, doveva trattarli bene - e c'era uno slavo che allevava i buoi e mio papà li comprava sempre da lui. Però mio papà diceva che non voleva stare sotto gli slavi, perché sapevano meno di noi e diceva andiamo via, andiamo via!"

25) Andiamo via... Parliamo ora di questo andiamo via, e cioè dell'esodo. Lei mi ha detto che suo padre è andato via nel '47.

R.: "Si, nel febbraio del '47, con la Toscana."

26) Le ha mai raccontato qualcosa del viaggio?

R.: "Il viaggio... Noi avevamo una cugina che aveva sposato un cancelliere del tribunale di Varese, e allora mio papà aveva pregato la cugina che il cancelliere gli trovasse una casa, perché avevamo bisogno di una casa. Mio papà aveva due sorelle con due bambini e noi [la nostra famiglia] avevamo anche altri due bambini, e allora hanno comperato insieme questa casa, che si chiamava Trattoria delle Valli, a Collina [vicino a Varese] e allora hanno comperato questa trattoria che abbiamo trovato le camere, la cucina, i servizi, era una casa. E loro facevano non trattoria, era come un'osteria dove andavano gli uomini a bere, mangiavano un panino e cosa così. Però mio papà non gli piaceva fare quel lavoro, non voleva che mia mamma facesse quel lavoro, e allora ha ceduto la sua parte alle sorelle e lui è andato a lavorare in Svizzera in un grande salumificio. Che mio papà era macellaio, eh! E lì lavorava e guadagnava bene. Andava col pullman a Varese, prendeva il pullman perché lì è vicino la Svizzera. Noi eravamo soli profughi, ci sentivamo soli: mia sorella faceva il liceo a Varese e io sono andata subito al provveditorato che volevo lavorare. E sono arrivata a maggio, il 20 maggio, e mi hanno detto: la scuola è finita! E allora mi hanno mandato a Luino, sul Lago Maggiore, dove c'era una bellissima villa grande - villa Menotti si chiamava - e mi hanno affidato una classe di bambini che dovevo guardare d'estate, come vigilante, ero una vigilante. Son stata tre mesi lì e poi loro mi hanno mandato a Loano, da Luino a Loano, che lì c'era la Colonia Varesina, due palazzi: in uno c'era la scuola e in uno c'era il dormitorio, mangiare e giocare. E tra una palazzina e un'altra c'era un eucalipto meraviglioso, profumato. E sono stato con i bambini a fargli da maestra fino a maggio del '48. Nel '48 sono tornata e ho trovato i miei genitori che stavano a Torino, in via Artisti, perché mio papà non voleva portarci alle Casermette di San Paolo, che ce lo ha detto dopo: eravate due ragazze giovani, e non ho voluto portarvi lì."

27) Perché delle Casermette cosa le hanno raccontato?

R.: "Io le avevo viste, perché avevo una zio - zio Martin - che era nelle Casermette. E le Casermette erano tristi, erano una cosa tristissima da vedere. Separavano i letti con delle lenzuola, e degli stracci, poi si lavavano tutte le cose insieme, facevano da mangiare [nelle stanze] e non era bello, non era tanto bello! Noi [invece] abbiamo trovato un bell'alloggio, che non era tanto grande, in via Artsiti 30, quasi vicino al Po. E allora siamo stati lì. Quando sono tornata da Loano...Dunque, c'erano le scuole speciali a Torino: in via Saluzzo c'era la scuola per i bambini che avevamo male agli occhi, si chiamava scuola Prati. E allora c'era una maestra che frequentava una bisca perché le piaceva giocare, e l'hanno mandata immediatamente via. E l'ispettore D. che era in va Carlo Alberto - che allora lì c'era il provveditorato - mi ha chiamato e mi ha subito detto di andare alla Prati a fare la maestra. E al mattino insegnavo ai bambini che arrivavano tutti con gli occhi malati, perché le assistenti sociali andavano in giro per Torino a vedere nelle scuole dove c'erano i bambini malati. E questi bambini arrivavano dalla Sardegna - che c'erano zone paludose - e da Chioggia, nel Polesine, perché lì era palude. E allora questi bambini erano malati, e c'era un dottore bravissimo - che adesso non mi ricordo il cognome - che aveva trovato una pomata che arriva dall'America, e li metteva in fila - ognuno di loro aveva un asciugamano per asciugarsi - e li metteva la pomata. E diceva a me: lei non deve toccare i quaderni. Ma come facevo a non toccare i quaderni! Io li toccavo e malattie non ne ho prese. Io poi mangiavo lì, che ci arrivava il mangiare dalla scuola Reyneri e arrivava anche a me. E il pomeriggio gli facevo il doposcuola. Poi dopo, alle quattro, mi chiamava ogni giorno la marchesa Pilo di B., che abitava in una zona lussuosa sul Po, vicino al Valentino. Questa signora si era rivolta al prete della mia Parrocchia, Santa Giulia, e io alla parrocchia Santa Giulia andava a fare la maestra gratis, che avevano bisogno del dopolavoro [di volontariato], e andavo lì. Allora il parroco le aveva segnalato il mio nome: così io andavo dalla Pilo di B., perché la governante che aveva loro aveva la mamma malata e andavo io. E mi metteva sempre i soldi in una busta sul comò, dei signori! Io mi sono trovata benissimo."

28) Suo papà, sua mamma e i suoi fratelli - mi diceva prima - sono andati via nel '47 con il Toscana. Del viaggio con il Toscana le hanno raccontato qualcosa?

R.: "No, perché loro erano di passaggio. Sono scesi dal Toscana e sono andati a Varese. Loro hanno fatto Pola Trieste. Io credo che sono scesi dalla nave e sono andati a Varese."

29) Quando loro sono partiti sono riusciti a portare dietro che cosa? Perché, sa meglio di me, che non è che si potesse portare via tutto quanto...

R.: "I soldi, i soldi. Che di soldi mio papà ne aveva tanti e li ha portati via. Non so come ha fatto, perché non me lo diceva a me, ma so che li aveva sistemati tutti. Lui era scappato di notte in barca da Fasana, di nascosto, verso Pola con dei conoscenti. Ed erano stati mitragliati, ma poi comunque erano riusciti ad arrivare a Pola. Che c'era il blocco dei titini e degli inglesi. Ma poi sai cosa faceva mio padre? Faceva il mercato nero: lo zucchero, erano andati a prendere lo zucchero una volta."

30) Quindi ha portato via i soldi ma non i mobili...

R.: "I mobili, guarda...Dopo io sono andata via il 20 maggio e allora mia nonna ha incominciato a vendere tutto e hanno comperato tutto quello che avevamo in casa: mobili, macchine per cucire...Mia nonna ha voluto portare via la camera da letto di mia mamma - perché era bella, era stata costruita in Austri, era una bella camera da letto - poi si è portata via il suo letto, un comò e un tavolino per giocare a dama, che l'aveva comperato a mio papà quando era ragazzino e che adesso l'ho regalato a mio figlio."

31) Lei è partita con sua nonna...

R.: "No, no. Mia nonna è partita nel '49, dopo. Lei ha venduto tutto quello che poteva vendere in casa, ha venduto tutto quello che aveva in casa mia zia , perché mio zio Felice, il marito di mia zia Francesca vendeva le macchine Singer e le biciclette Bianchi e aggiustava le biciclette, che allora si andava tanto in bicicletta, [anche noi] d'estate si andava la mare in bicicletta che era a due chilometri. E allora nel '49 mia nonna ha portato queste cose qui."

32) Lei è partita nel maggio del '47...

R.: "A maggio, il 20 maggio."

33) Come è partita?

R.: "In nave. Mio papà mi ha aspettato a Pola, è venuto e mi ha aspettato a Pola."

34) Lei quindi è partita dopo aver fatto domanda di opzione...

R.: "Non ho fatto niente, son fuggita! Ho lasciato gli scolari, tutti, mio papà è venuto a prendermi e sono andato via. Ho portato la borsa di pelle - che ho ancora - che mi serviva per i libri, e ci ho messo dentro sottovesti, mutande, calze e vestiti e siamo andati a Pola. A Pola abbiam preso la nave e siamo andati a Trieste. A Trieste abbiamo preso il treno e siamo andati a Varese."

35) Sua nonna invece è arrivata dopo nel '49...

R.: "A lei l'han lasciata venire, nessuno le ha fatto del male, nessuno. Lei è venuta via, si è portata la sua roba ed è venuta a stare con noi in via Artisti. Anche lei credo sia venuta col treno. Ed è morta a Torino a novantaquattro anni."

36)Suo padre - con la sua famiglia - è andato via, e anche lei poco tempo dopo lo ha seguito. Se le chiedessi qual è stato il motivo che vi ha spinto a partire, cosa mi risponderebbe?

R.: "Quando abbiamo visto che il plebiscito non è servito a niente, [quando abbiamo visto che] i signori di Dignano erano tutti andati via, [che] tutte le maestre della scuola erano andate via in Italia, allora abbiamo detto - anche mio padre - qui bisogna andare. Mio papà diceva: io devo stare sotto gli slavi che sanno meno di me?! A mio papà piacevano gli austriaci, perché loro sono stati sotto gli austriaci, e mio papà diceva sempre: abbiamo imparato tanto dagli austriaci! A rispettare le leggi, a essere civili e democratici. Loro avevano un bel ricordo degli austriaci. Di stare con loro, con gli slavi, non le andava. Noi eravamo italianissimi! Perché guarda che il parroco del mio paese, quando ha visto che tutti andavano via, ha fatto per ogni famiglia l'albero genealogico. Ha voluto 5.000 lire, per ogni famiglia, e Vincenzo F., nel 1500 era a Dignano. Perché sai che nel 1500 erano i preti che avevano cominciato a fare l'albero genealogico."

37) L'esodo e Dignano. Dignano è una città, come del resto molte altre in Istria, che si svuota, perché lì di italiani ne restano pochi. Lei che ricordi ha di quei giorni in cui la città si svuotava?

R.: "Ah, si, di italiani ne rimangono pochissimi. Andavano via tutti, andavano via. Io facevo scuola [insegnavo], e c'erano i bambini degli italiani che poi sono andati via con loro. C'era un malessere, il paese non era più quello, perché la maggioranza della gente era andata via. Una mattina andavi a scuola e trovavi un bambino che non c'era più, erano partiti. Ecco, succedeva quello. E il mio direttore Ovidio, mi ha dato il certificato che avevo insegnato, e mi è servito, perché quando sono andata in pensione mi hanno contato un anno di insegnamento."

38) Dignano era una città che si svuotava. Le casa lasciate vuote dagli italiani venivano poi riempite...

R.: "Eh si, dagli slavi! Dagli zingari, gli zingari! Anche la casa mia, ci hanno permesso di [entrare quelli che ci vivono ora]. Era una bella casa, la tenevamo bene, mio papà d'estate metteva delle griglie alle finestre e d'inverno le avevamo di vetro, cioè avevamo come delle scatole di vetro con delle porte che si aprivano e si chiudevano e avevamo il vetro che ci riparava dal freddo e si poteva stare alla finestra a guardare la gente che passava."

39) Mi scusi, prima stavamo parlando delle case lasciate vuote riempite dagli slavi...

R.: "Ma guarda che c'erano degli slavi che sono venuti via, degli slavi che vivevano nelle frazioni che sono venuti in Italia anche loro, non son stati tutti lì. Le case, dunque, sta a sentire: mio papà quando è venuto in Italia, ha fatto domanda allo Stato italiano che li vendeva tutte le case e tutte le terra, che ne avevano tante. Tra mia nonna e mio papà avevano tante campagne. Facevano di tutto: olio, vino, polenta, pane, frutta, di tutto. E allora mio papà ha venduto tutto allo Stato che gli ha dato i soldi, [ma] non gli ha pagato quello che valeva, perché lo Stato lo ha pagato poco. E sta a sentire: le case nostre e i terreni, sono tutti finiti in mano ai croati, agli slavi - perché allora c'era Tito - come indennizzo, perché la guerra noi l'abbiamo persa. Le [nostre] case poi sono state occupate da slavi. [Erano] tutti slavi, e in certe zone c'erano anche zingari. Quelli che hanno preso la mia casa, non hanno mai dato una pennellata di bianco, niente. Però era una bella casa."

40) Abbiamo parlato delle persone che sono andate via, che rappresentano la grande maggioranza della componente italiana...

R.: "Si, si, la maggioranza."

41) Ecco. Però, come accade anche in altre città dell'Istria, qualcuno a Dignano resta. La domanda che le faccio è questa: secondo lei qual è il motivo per cui parte della popolazione italiana decide di restare?

R.: "Ne restano pochi, pochissimi. [Lo fanno] perché sono attaccati alle loro terre, c'erano tanti che avevano delle pecore, che a Dignano facevano un formaggio e una ricotta buonissimi. C'erano tanti che avevano le pecore, e questa gente era affezionata alla loro terra, non volevano lasciarla. Noi abbiamo lasciato tutto perché mio papà diceva: io sotto gli slavi? [Non ci sto!]. Io, per esempio, avevo un mio zio che si è sposato con una slava, perché ti dico [una cosa]: gli italiani non volevano sposarsi con loro! Non vedevi un matrimonio... Invece mio zio Mario e suo fratello - che erano gemelli - si son sposati tutti e due con due bellissime ragazze slave."

42) Secondo lei chi rimane lo fa anche per motivi politici?

R.: "No, no. Guardi, mio cugino Sergio - che [è rimasto] - si è fatto una villa bellissima a Dignano nella zone delle vigne. Ha comperato tutto il legname in Slavonia e tutto il resto - vasche da bagno, cucine - a Trieste. Lui guardi è rimasto a Dignano e in una camera mi ha fatto vedere un quadro. Sa chi era sto quadro? Tito! L'unico quadro di tutta la casa. Io invece Tito non lo potevo vedere! Però lui ha detto: grazie a Tito ho avuto il benessere. Lui faceva il macellaio e negli anni Sessanta - Settanta era il fornitore di carne - aveva la macelleria a Pola - di tutti gli alberghi [noti, come quelli di] Scoglio Olivi, di Brioni, e quindi lui si è trovato bene. Mentre un altro cugino è venuto in Italia, poi però è ritornato, perché quando è venuto a Torino diceva: come, io [in Istria] ho una campagna e [qui invece] devo comprarmi le cose, il pane, la farina e il vino?! [Allora] è tornato indietro perché diceva che la sua vita era in Istria. Lui era venuto alle Casermette, e quando è stato un po' alle Casermette, quel fatto della Croazia e della Jugoslavia, per radio l'hanno detto, come propaganda. [Cioè] hanno detto che lui era ritornato lì [dopo essere stato in Italia]."

43) Lei mi ha detto che va via nel maggio del '47. Quindi vive un po' di tempo nella nuova Jugoslavia. Posso chiederle cosa cambia rispetto al mondo precedente? Credo molto. Ad esempio molti testimoni hanno in mente le file davanti ai negozi, spesso vuoti...

R.: "No, i negozi erano pieni! Guarda che io ho comperato lenzuola là da loro a Pola. Non ti dico quante cose ho comperato a Pola, che mi piaceva comprare quelle cose lì. Io non avevo odio contro di loro, non l'avevo."

44) Mi diceva prima che torna spesso a Dignano.

R.: "Tutti gli anni, al mare!"

45) Com'erano i rapporti tra voi che siete partiti e quelli che sono rimasti?

R.: "Buoni, buoni. Io andavo da quella mia zia - la moglie di mio zio, uno dei gemelli - che ci faceva da mangiare. [Poi ricordo che mio figlio] una mattina aveva avuto la febbre, e mia zia lo aveva curato. Andavamo a messa insieme, ed era un'occasione per trovarci."

46) Lei arriva a Varese. Posso chiederle come siete stati accolti dalla popolazione?

R.: "Sai cosa? C'era della gente che pensava che fossimo fascisti. Che invece mio papà assolutamente fascista non era: mio papà non aveva tessere di partito."

47) Come mai pensavano che foste fascisti?
R.: "Loro pensavano che siamo andati via perché eravamo fascisti. Ma questo lo dicevano i comunisti. Perché guarda - e l'ho sentito dire da un signore di Orsera durante una conferenza - né i comunisti, né i democristiani hanno mosso un dito per noi profughi. Non si sono mossi! Noi abbiamo fatto da soli: mio papà ha trovato un bel lavoro e ha messo su una macelleria a Torino."

48) Torino, appunto. Come mai da Varese siete arrivati a Torino?

R.: "Perché mio papà aveva sentito che tanti erano venuti a Torino. Perché a Torino avevamo in via Vela [la sede di un associazione giuliana ] che andavamo lì e ci volevano mandare all'estero in Australia. Ci dicevano: andate in Australia! C'era un ragazzo - che lui mi voleva, ma io non lo volevo! - di Pola che è partito per l'Australia. Allora ha lasciato una catenina d'oro a un suo amico che la desse a me, perché io non volevo andare in Australia, poi lui non mi piaceva. Poi dopo ho detto: io quella catenina d'r' però vado a prenderla... Sono andata a casa sua e c'era la mamma, che però sapeva che io avevo il moroso e mi ha detto: ma ti che ga il moroso, cos ti vol far con la catena de Villi - che si chiamava Villi sto ragazzo- ? E allora gliel'ho lasciata. Comunque i miei son venuti a Torino, perché avevano sentito che tutti i profughi vanno a Torino , soprattutto nelle Casermette, ma mio papà non è andato nella Casermette, abbiam preso quel bell'alloggio in via Artisti."

49) Suo padre appena arrivato a Torino ha aperto subito la macelleria?

R.: "Ha aperto la macelleria, si. Ha messo mia nonna dentro, che stava alla cassa, però poi l'ha venduta a una famiglia. E allora mio papà un giorno mi dice: accompagnami dall'arcivescovo. Siamo andati in arcivescovado e c'era Maurilio Fossati. Mio padre gli ha detto che desiderava lavorare, e sai dove l'hanno mandato? Dove facevano i copertoni, alla Ceat. Mio papà era un gran lavoratore, e lo hanno fatto subito capo. E lui faceva la notte, perché guadagnava di più. Ha sempre fatto la notte. Così anche noi, che avevamo una casa non tanto grande, lui dormiva di giorno e noi dormivamo di notte, capisci? E ci è andato bene così. E poi ti dico un'altra cosa: quando la Ceat si è bruciata - che una volta si è bruciata - mio papà ha pianto come un bambino. Lui voleva bene alla Ceat, perché erano ebrei loro - Tedeschi si chiamavano - e c'era una signora che si chiamava Tedeschi, che distribuiva agli operai gli utili dei soldi che aveva in banca. Arrivava ogni mese un assegno coi soldi."

50) Tanti istriani andarono a lavorare alla Ceat...

R.: "Si, lì c'erano tanti istriani. Anche mio zio Felice lavorava là. E mio papà subito lo hanno fatto capo. Lui gli piaceva tanto. Stava alla notte, ed era tranquillo alla notte, non era come di giorno, e lui era contento perché guadagnava di più a fare la notte. [Poi] mio papà è voluto andare a Monfalcone, perché mia mamma aveva un fratello che stava a Monfalcone e aveva fatto una bella villa grande. E allora è andato a Monfalcone e ha comprato anche mio papà una villa grande, bella con il giardino."

51) Suo padre le ha mai raccontato com'erano i rapporti tra i compagni di lavoro in fabbrica?

R.: "Non mi ricordo, lui non parlava. Perché vedi, dato che faceva la notte, non lo vedevamo mai. Noi di giorno andavamo a lavorare e non è che si parlava tanto!"

52) A Varese, mi diceva, la popolazione locale credeva foste dei fascisti, quindi presumo che l'accoglienza non sia stata delle migliori. A Torino, invece, come è andata da questo punto di vista?

R.: "Benissimo, benissimo! Io mi sono trovata benissimo. C'è stato quell'ispettore D. che era del Trentino e anche lui aveva fatto l'esodo della prima guerra mondiale ed era venuto a Torino, e lui era provveditore in via Carlo Alberto. E io ero andata una volta a fare la maestra - che mi avevano telefonato - alla Rayneri, alla scuola Rayneri. La direttrice della Rayneri era una L.[il suo cognome era L.], e aveva una sorella che era professoressa, e mi ha preso a cuore mi ha aiutato. [A Torino] non ho mai avuto nessuno che mi ha mai detto niente. Io ho sempre fatto i miei lavori che dovevo fare, e nessuno mi ha mai detto niente. Io ero socievole con le altre maestre, mi piaceva stare in compagnia. Benissimo, si, sono stata accolta bene. Però una cosa... In comune c'erano i comunisti, e mi chiamava la Pajetta - la mamma di Pajetta che era una maestra - che mi mandava sempre gli inviti per delle riunioni. Loro facevano delle riunioni, mandavano gli inviti e andavo anche io a sentire. Ma io non ero politicizzata e anche contro i comunisti non avevo niente: io non sapevo che uccidevano in Russia, perché i comunisti che c'erano in Italia non è che uccidevano gli altri! In Russia c'era stato Stalin, ma qui i comunisti erano dalla parte degli operai, dei più poveri, e io li guardavo anche con benevolenza, non mi interessavano che erano comunisti. Non mi davano fastidio, perché dicevo: sono dalla parte dei poveri! Anzi, li stimavo. Guarda, Napolitano mi piace molto!"

53) Lei arriva a Torino nel 1948. Qual è stato il suo primo impatto con la città?

R.: "Guarda, Torino mi piaceva, mi piaceva da matti! Mi avevano mandato un mese in una colonia che era sopra il Po -ora non ricordo il nome - e di là vedevo sta Torino con la Mole... Il panorama era bellissimo. Mi è sempre piaciuto tanto, tantissimo. Mi piaceva la via Po, mi piacevano i negozi che c'erano in via Po, il corredo l'ho comprato a Torino. E anche le signore torinesi mi piacevano."

54) Poi dopo Torino viene a insegnare qui a Lanzo?

R.: "Chiaves, la nomina l'ho avuta per Chiaves, ma per sbaglio! In via Artisti stava il dottor F., che era uno del provveditorato. Allora, ogni sette piemontesi, veniva scelta una profuga [come maestra]. Il posto era assicurato: ogni sette piemontesi, c'era una maestra profuga. E allora ci chiamavano, ma non eravamo tante maestre profughe e allora ci chiamavano. Allora c'erano gli impiegati che portavano [a casa] le lettere del Municipio. E uno di questi impiegati mio papà lo ha conosciuto al bar e gli ha detto: guardi, venga a casa mia che mia figlia deve scegliere il posto dove insegnare, ma non sa dove, perché io non conoscevo la zona. Allora mi ha sottolineato col segno nero tutti i posti dove non dovevo andare. E invece io - avevo tanti fogli perché c'erano tantissime scuole in Piemonte in quel periodo e certe avevano anche l'alloggio vicino- ho scritto che volevo andare a Monastero di Lanzo, a Chiaves. Allora si è alzato F. è mi ha detto: signorina, ma è sicura che vuole andare a Monastero di Lanzo? Si, si, voglio andare. E c'era qualcuno che mi guardava male...Vede, il destino! Che non dovevo prendere la cattedra lì, me lo avevano sconsigliato, e invece io mi sono trovato benissimo. E lì ho incontrato mio marito, che c'era anche mia mamma che era venuta con me che mi aveva aiutato a pulirmi la camera. E a mezzogiorno mia mamma mi dice: facciamo una frittata, e chiama sto ragazzo che venga. Non voglio assolutamente fare amicizia con lui, ho detto a mia mamma. E invece nel '51 l'ho sposato!"

55) Mi diceva che appena arrivata a Torino è andata ad abitare in via Artisti. Ha sempre vissuto lì?

R.: "No, poi siamo andati ad abitare in quelle case alla Falchera costruite con i soldi del comune. Erano le INA Casa, che mio papà le ha avute perché era profugo. Ma ad abitare lì sono andati solo mia mamma e mio papà, perché io ero già sposata. I miei figli sono nati uno nel '52 e l'altro nel '56 e mia mamma era già lì [a Falchera]. Poi han venduto e sono andati a Monfalcone."

56) Si ricorda com'era la Falchera in quegli anni?

R.: "Sa cosa, era bello, perché c'era tanto verde. Erano le case Fanfani. Le case erano belle: c'era una bella sala da pranzo, salone, camere, bagno, cantina. Piccole, non occorreva l''ascensore e mia mamma andava d'accordo con tutti, anche perchè ogni scala c'erano tre famiglie. Era isolata, eravamo distanti dal centro. Non c'erano negozi, ma c'era il mercato, c'era la Farmacia. Si era un po' isolati, ma era bello stare lì."

57) Le chiedo l'ultima cosa: ha nostalgia dell'Istria?

R.: "Guardi, non l'ho mai avuta, perché dicevo: ho trovato mio marito che gli voglio bene, ho due bei bambini che li voglio bene. Da quando sono vecchia io piango per la mia Istria, ho una voglia matta anche del cimitero di Dignano. Guardi, nei miei sogni io non sono mai in questa casa, sono sempre a Dignano."
12/04/2012;


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Miletto Enrico 01/01/2013
Pischedda Carlo 06/05/2013
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Come citare questa fonte. Intervista a Adalgisa F.  in Archivio Istoreto, fondo Miletto Enrico [IT-C00-FD16243]
Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019