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CARTACEO: Intervista a Elena G.

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Intervista a Elena G.
Elena G. nasce a Rodi nel 1934 da una famiglia di origine genovese. Resta nella città greca fino al 1947, quando viene espulsa insieme alla maggioranza della comunità italiana. Arrivata in Italia, sbarca a Venezia, dove è accolta in un centro di smistamento. Da qui è tradotta con la sua famiglia al centro raccolta profughi di Tortona, dove resta fino al 1952, anno in cui ottiene in assegnazione un alloggio di edilizia popolare. Sposatasi con un militare, segue il marito nei suoi vari spostamenti per la penisola. Rimasta vedova, si trasferisce a Torino, dove è stata intervistata il 25 maggio 2012. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
1) Inizio col chiederle un po' di dati anagrafici: dove e quando è nata?

R.: "Io sono nata nell'isola di Rodi in Grecia, che adesso è Grecia, ma prima no, perché Rodi è stata data come danni di guerra. Nel senso che l'Italia ha perso la guerra, perché lì quelle isole erano prima turche, poi erano greche e poi italiane. Tutte le isole del Dodecanneso. Non c'entra niente la Grecia, quello non c'entra. Lì le isole, quando è finita la guerra, quelle isole sono state ridate alla Grecia come danni di guerra, perché i greci hanno combattuto con gli inglesi. A me hanno raccontato una cosa così... Io poi ero anche piccola, quindi questo è quello che mi hanno raccontato."

2) Lei quando è nata?

R.: "Nel '34. Il 18 marzo 1934."

3) Mi parli un po' della su famiglia di origine: quanti eravate, cosa facevano i suoi genitori...

R.: "I miei genitori, adesso le dico...I miei nonni sono andati in Turchia a Smirne quando stavano facendo la ferrovia: [sono] partiti da Genova e sono andati là, i nonni e i bisnonni. Mio padre e mia madre sono nati a Smirne, poi c'è stata la guerra dei turchi e sono andati all'isola di Rodi. E mio padre ha fatto parecchia gavetta, ha fatto parecchi lavori prima di potersi inserire. Alla fine poi [ha trovato lavoro] al Circolo Italia, dove lui faceva il capocameriere al Circolo Italia, che erano tutti gli ufficiali. E quando poi c'è stata l'occupazione dei tedeschi, mio padre si è trovato ammalato e non ha più voluto andare a lavorare coi tedeschi, è rimasto a casa e non ha voluto andare coi tedeschi. Ed è rimasto [così] per due anni, fino a che poi a noi quando è finita la guerra ci hanno rimpatriati. Ci sono stati gli alleati e a noi ci hanno rimpatriati."

4) Parliamo di Rodi. Mi ha detto che c'erano degli italiani...

R.: "Si, si, lì c'erano tutti: greci, ebrei... Erano quattro comunità, sono quattro comunità:turchi, greci, ebrei e italiani. Però la maggior parte [degli abitanti] erano greci, perché turchi ce n'erano parecchi, ebrei ce n'erano non tanti. Che poi gli ebrei li hanno portati via i tedeschi...E poi c'erano gli italiani e comandavano gli italiani."

5) In che senso comandavano gli italiani?

R.: "Politicamente, tant'è vero che io che mi ricordo bene - perché andando a scuola io ho fatto fino alla quarta, che poi non l'ho finita [perché] ci hanno rimpatriati - anche i greci, cioè sia i turchi che i greci che gli ebrei, [andavano] alle scuole italiane. Una volta alla settimana, ogni comunità poteva far scuola nella loro lingua. [E ricordo che] quando c'era il fascismo, non c'era scuola al sabato e allora loro avevano un permesso dato dal governo che potevano far scuola loro [nella loro lingua]. Se no sapevano, parlare no, ma scrivere e leggere solo in italiano. Allora veniva data a ogni comunità la possibilità di poter far scuola loro, però una volta alla settimana, anche i greci. E quello che mi ricordo bene, è che anche i greci e i turchi avevano la carta d'identità italiana. E chi non ha voluto aderire alla cittadinanza italiana, venivano messi come in un campo di concentramento, diciamo. Che poi facevano un periodo così, ma poi rimanevano chi greci e chi turchi. Però questa cosa riguardava la minima parte, perché tutti hanno aderito. Tant'è vero che quando io sono andata a Rodi nel '90, quelli che avevano la carta d'identità italiana, mi hanno detto: guarda, se sapevamo, non cambiavamo la nostra cittadinanza, perché poi loro avevano più diritti e tutte queste cose qui. Però finché comandava l'Italia, la cittadinanza era tutta italiana."

6) Rodi che città era? Riesce a descrivermela?

R.: "E' un'isola. Industriale no, era più che altro [una città] turistica. Il turismo c'è sempre stato. [Infatti] mi ricordo che mio padre - e le fotografie non so che fine hanno fatto, saranno a Tortona in qualche cantina! - ha servito Vittorio Emanuele, Umberto di Savoia e anche il duce, perché loro venivano là [a Rodi]. E tutti questi mio padre li ha serviti. Eh, lì comandava il fascismo: prima c'era il re, poi il fascismo."

7) Del periodo fascista lei cosa ricorda?

R.: "I bombardamenti, il rifugio. Andare a dormire con le scarpe, vestiti, e non andare sul letto di sera, cioè buttarti vestita così sul letto per poter scappare. Questo è il mio ricordo dei bombardamenti. [Ricordo] anche gli stukas, [e cioè] quegli apparecchi che scendevano bassi bassi con le mitraglie, questo mi ricordo."

8) Ho intervistato prima di lei delle persone di Patrasso, che mi raccontavano come durante la guerra ci fosse in Grecia moltissima fame...

R.: "Ah, la fame si! So per certezza, che quando c'era il fascismo, dato che Mussolini diceva che [Rodi] era un'isola e che poi veniva esclusa via aerea e via mare perché c'era la guerra, aveva rifornito nei bunker sotto la montagna viveri per vent'anni. Quando son venuti i tedeschi, hanno saccheggiato tutto e hanno mandato tutto via. E [allora] lì un po' di fame l'abbiamo patita. Noi in casa mia non tanto, perché mio papà aveva le sue conoscenze. Io mi ricordo mia mamma, che faceva la pasta in casa e cosa faceva? Faceva le tagliatelle - e queste son cose che non si dimenticano - e faceva un po' di sugo con dei pomodori, che non erano del nostro orto, ma che ci portavano, [visto] che mio padre aveva tanti amici. E allora cosa faceva? Faceva il sugo, faceva le tagliatelle lei a mano, e le faceva cuocere. A mezzogiorno pigliava le fettuccine e le condiva. Nella pentola del sugo, toglieva due o tre tagliatelle, le tagliava a pezzetti già cotte, e l'acqua dove aveva bollito le tagliatelle, la mischiava nella pentola del sugo e alla sera si mangiava la minestrina. Perché mia mamma faceva lavorare il cervello! Perché eravamo in cinque...Mio padre era in guerra anche lui - lo avevano richiamato -, mio fratello - il primo - era in guerra, ed eravamo in quattro e dovevamo mangiare, eravamo tutti piccoli, e lei faceva questo. Io tanta fame non l'ho patita - son sincera - però dobbiamo ringraziare mia mamma che aveva il suo cervello. [Infatti] mentre gli altri l'acqua della pasta la buttavano, lei la metteva nella pentola del sugo e alla sera faceva la pastina, ecco. Ma fame, fame...Mi ricordo - e queste sono cose che non si dimenticano!- che le portavano i cavolfiori. E allora lei prima faceva con le foglie, poi le bolliva e si mangiava la verdura cotta, mentre per fare le polpette le macinava e faceva le polpette. E poi i fiori erano per ultimi. Non è che eravamo sempre sazi, però non fame, no. Perché io vedevo gente che moriva gonfia fuori nelle strade, e anche se sei piccola, queste cose non le dimentichi."

9) In che senso gonfia?

R.: "Perché dalla fame si gonfiavano. Mi ricordo parecchia gente che li vedevi gonfi che morivano. E dicevano che dalla fame morivano, perché non c'era niente e forse bevevano solo acqua, non lo so. Queste cose [però] me le ricordo."

10) Mi ha detto, parlando di Rodi, che la città aveva quattro comunità. Vorrei sapere se ogni comunità aveva un proprio quartiere...
R.: "No, no, eravamo mischiati, non c'era un quartiere per ognuno, no. Cioè, ognuno aveva la propria comunità, però i quartieri erano pochissimo, solo nel centro. No, assolutamente [non è che gli italiani vivevano in un quartiere e i greci in un altro], vivevamo mischiati, vivevamo tutti quanti bene, tutti insieme. Noi siamo cresciuti insieme: i bambini, ad esempio, quando c'era la messa venivano, [perché] anche i genitori non è che li proibivano di venire alla messa perché tu sei musulmano, tu sei ebreo, sei ortodosso e non devi andare [alla messa]. Anche se va beh, tra ortodossi e cattolici c'è poca differenza. Però io mi ricordo che siamo cresciuti tutti quanti insieme tra le varie comunità, perché eravamo tutti quanti mischiati, perché ogni appartamento e ogni casa [aveva italiani, greci, ebrei e turchi]. Va beh che non c'erano appartamenti, c'erano delle villette che al massimo avevano due piani. Però noi abbiamo sempre vissuto insieme, non c'era quella divisione. Perché loro i loro figli li lasciavano [giocare con noi], anche perché venivano a scuola [italiana], e poi lì le scuole erano tutte dei preti e dei salesiani. Erano tutti di Ivrea: mi ricordo che le suore erano tutte di Ivrea. E solo quelle scuole c'erano, e basta. I rapporti tra le comunità erano buoni, non c'era differenza."

11) Parliamo un attimo del fascismo. Di quel periodo lei mi ha detto di ricordare la guerra. Io però vorrei chiederle un'altra cosa, e cioè che impatto aveva il fascismo sugli italiani di Rodi? Come era visto dagli italiani?

R.: "Eh, gli italiani in quel periodo, [specialmente] i giovani, erano un po' fanatici. Cioè, c'era un po' quel fanatismo tra i giovani."

12) In che senso?

R.: "Cioè, ad esempio, mi ricordo che anche noi piccoli...Perché poi noi eravamo sempre vestiti da balilla e tutte quelle cose lì. Cioè, a scuola si andava sempre con la divisa e man mano che si saliva fino agli avanguardisti. Perché là poi c'era il governatore, lì [a Rodi] comandava l'Italia e basta. E quando c'era il fascismo - ma era un periodo minimo - allora c'era un po' di fanatismo. Ma era una cosa minima, morta, non è che facevano."

13) Riesce a spiegarmi meglio?

R.: "Ad esempio mi ricordo una volta - che poi non so se c'era anche mio fratello -che uscivamo dalla scuola e avevamo visto dei fascisti che avevano fatto una bara. Cioè, c'erano certe dimostrazioni stupide possiamo dire. Con la bandiera del fascio e queste cose, ma poi non c'era - diciamo - quell'antagonismo. E anche perché poi quei giovani che avevano diciotto- venti anni, erano cresciuti tutti insieme agli altri, erano amici, perché la scuola era una e crescevano tutti insieme."

14) Vorrei però capire meglio una cosa. E cioè il fascismo nei confronti delle altre comunità, come si comportava?

R.: "Ho capito [cosa vuol dire], ma là no, questa cosa non c'era, perché erano tutti cittadini italiani. Non ha proibito niente [il fascismo], l'unica proibizione era la scuola, perché ad esempio loro la chiesa alla domenica o al sabato - o al giorno che era - la potevano frequentare. Perché poi, sa com'è, l'isola era un po' una cosa a sé. Perché alla fine anche i militari che c'erano là, perché anche i greci facevano i militari. Poi quando son venuti i tedeschi [è successa la cosa di] chi è scappato a destra e di chi è scappato a sinistra, sennò il servizio militare la maggior parte l'ha fatto sotto l'Italia."

15) Mi ha parlato dei tedeschi. Si ricorda il loro arrivo?
R.: "Mi ricordo che alla sera c'era il coprifuoco, che passavano le ronde tutti i momenti, mi ricordo anche che se trovavano qualcuno lo portavano in carcere. Un po' poi sono scappati o si erano nascosti durante la guerra, perché lì i bombardamenti erano pesanti. E quando sono venuti i tedeschi c'era chi scappava come ad esempio i turchi. Gli ebrei no, gli ebrei li hanno portati via immediatamente."

16) Li hanno portati via tutti?

R.: "Li mettevano nelle navi e li portavano fuori come schiavi, quello me lo ricordo. Lo ricordo perché nella nostra via c'erano parecchi ebrei, che avevano i negozi - molti erano orefici - ed erano gente molto ricca. Ebrei molto ricchi. E i tedeschi venivano a prenderli, li portavano via legati e poi li mettevano sopra le navi. Certe navi poi le bombardavano, perchè dicevano che erano le navi dei tedeschi. Dicevano che le bombardavano, ma era vero, perché io mi ricordo che quando c'erano i tedeschi, ho visto dei cadaveri al mare."

17) Mi scusi, ma cadaveri di chi?

R.: "Eh, chi lo sa! Anche dei nostri soldati, anche dei nostri soldati uccisi. Perché mi dicevano che li portavano a distanza in nave e poi li bombardavano e il mare li riportava. E casa mia aveva [una] finestra sul mare e [se ti affacciavi] guardavi i cadaveri. Non esagerati, però, eh...Perché tanti poi li portavano in Germani. E poi c'era qualche italiano che magari sposava qualche ragazza ebrea ed allora rimanevano, anche se però si facevano sempre di nascosto queste cose. Non è stata una guerra tanto dura...Cioè, fame, bombardamenti e paura questo si, li abbiamo avuri anche noi."

18) Paura di cosa, mi scusi?

R.: "Dei bombardamenti. C'erano le sirene e quelle suonavano ogni cinque minuti. Anche perché Rosi è stata bombardata moltissimo, [anche se il motivo] non lo so. [Forse] perché c'era un porto grande e ben fornito. Il porto era grosso. Poi c'erano gli alberghi, e mi ricordo che i tedeschi hanno saccheggiato tante di quelle cose belle, come quadri, e altre cose. Li hanno saccheggiati e portati via."

19) Parliamo ancora un attimo di Rodi. La comunità italiana da dove proveniva? Cioè vorrei sapere se c'era una regione più rappresentata di altre...

R.: "Ecco, si...Allora, la maggior parte erano sardi. Erano sardi che erano [vivevano] fuori, nelle periferie di Rodi, e coltivavano aranci e pesche. Erano cioè dei grandi coltivatori. Cioè nelle campagne la maggior parte erano sardi. Non so come mai erano arrivati là. Non erano però a Rodi da tante generazioni, no. Diciamo che potevano essere lì dalla fine dell'Ottocento all'inizio del Novecento. C'erano emigrati sardi [ e poi] pugliesi."

20) I pugliesi erano pescatori?

R.: "No, no, i pescatori erano o turchi o greci. Poi c'erano le tipografie che quelle erano tutte degli italiani. Poi c'erano tanti alberghi coi camerieri e anche questi erano italiani. Però [tra gli italiani] la maggior parte erano contadini [nelle zone fuori Rodi, mentre] in città c'erano camerieri, topografi e queste cose qui. Poi c'era la ditta dell'energia elettrica - che allora si chiamava SIR - e anche quelli erano italiani [cioè coloro che vi lavoravano]. Anche se in realtà tutti quelli che vivevano lì erano italiani, perché avevano la carta d'identità italiana. Sotto il possedimento italiano, erano tutti italiani."

21) Le chiedo solo più una cosa sulla guerra. Mi parlava prima di aver avuto paura dei bombardamenti. E dei tedeschi aveva paura?

R.: "Mah, le dico la verità, in realtà neanche tanta, perché poi anche loro erano giovani. Poi erano pochi, più che altro erano gli ufficiali [a fare paura], ma il soldato no. Oddio, poi qualche fanatico ce lo abbiamo tutti, anche noi italiani! Cioè, anche i nostri italiani quando comandava l'Italia, facevano anche loro le loro cose, sa!"

22) Ad esempio?

R.: "Non so, qualche dispetto...Ma cose lievi, cose grosse no!"

23) Dispetti a chi, mi scusi?

R.: "Quando c'era il fascismo se non la pensavano come loro succedeva che si pigliavano a botte o facevano qualche dispetto, ma cose così. Poi, le dico, i giovani erano cresciuti tutti insieme, ed erano tutti amici. Perché l'isola era piccola."

24) Prima mi parlava di fame durante la guerra. C'era la borsa nera a Rodi?

R.: "Si, si, la borsa nera c'era."

25) E come funzionava?

R.: "Funzionava che chi aveva soldi comprava, chi non aveva soldi non comprava! Ecco, noi avevamo il cavolfiore, la farina e la verdura, anche perché erano amici, però se non avevi soldi [non compravi niente]. Cioè quelli che facevano i contadini - i greci e i turchi - venivano e ti portavano di nascosto le cose, però chi non aveva il soldo moriva. Ma anche i tedeschi morivano, perché ultimamente son morti anche i tedeschi di fame, eh...Perché non c'era più niente, loro avevano saccheggiato tutto. Io mi ricordo - perché ce lo dicevano a scuola - che Mussolini aveva fornito [la città]. Cioè aveva rifornito le gallerie sotto le montagne [con viveri sufficienti] per vent'anni, e se succedeva qualcosa non si poteva morire di fame. Poi però i tedeschi hanno portato via tutto."

26) A scuola le facevano un po' di propaganda fascista?

R: "Eh, non mi ricordo. C'era il saluto al duce, e al re. E noi al sabato mattina - dalla prima elementare fino all'avviamento professionale - dovevamo andare - obbligati - allo stadio a fare ginnastica e [a gridare] viva il duce, viva il re. Questo si, me lo ricordo. Cioè, lì c'era la dittatura e basta."

27) Mi diceva che suoi padre lo hanno richiamato alle armi...

R.: "Si, sempre all'isola di Rodi, anche mio fratello. Mio fratello era obbligato, [mentre] mio padre è stato richiamato. Quando però sono arrivati i tedeschi, mio padre si è trovato ammalato e allora lì è riuscito a imbrogliare [falsificare] le carte e tutto e allora è rimasto a casa due anni."

28) Dopo la guerra mi diceva che arrivano gli inglesi. Cosa ricorda di quel periodo?

R.: "Più che gli inglesi, io mi ricordo gli inglesi, ma tutti neri, la maggior parte di colore. Quelli erano gente che noi avevamo paura, specialmente i bambini. Anche perché poi sa cosa dicevano? Dicevano l'uomo nero, l'uomo nero, i nostri dicevano a noi bambini: guarda, arriva il ba bau, arriva il ba bau! E quando erano arrivati, la maggior parte [tra] noi bambini aveva paura. Invece no, erano gente per bene, che anche loro li vedevi piangere, perché anche loro avevano i loro bambini. Poi mio padre è stato richiamato [ a lavorare] quando che sono venuti gli inglesi. Come hanno trovato il suo nome, e hanno visto che per due anni non aveva lavorato coi tedeschi, l'hanno subito richiamato anche al lavoro al Circolo Italia. Che noi sotto gli inglesi siamo stati pochissimo, perché poi siamo subito venuti rimpatriati."

29) Parliamo di questa vicenda. Quando siete stati rimpatriati?

R.: "Nel '47. Si, si, nel '47."

30) Posso chiederle come mai vi hanno rimpatriato?

R.: "Perché poi i greci non li volevano più gli italiani. Perché il governo di Atene, non riconosceva più gli italiani e noi siamo rimasti in minoranza."

31) E quindi cosa è successo?

R.: "Niente, [è successo] che chi voleva essere rimpatriato è stato rimpatriato, l'Italia ha mandato le navi e ci hanno rimpatriato. Chi [invece] non ha voluto essere rimpatriato è rimasto, però come i greci avevano preso la cittadinanza italiana, gli italiani che son rimasti lì, hanno preso la cittadinanza greca. Tutta là la questione."

32) E voi non avete voluto prendere la cittadinanza greca...

R.: "No, mio padre assolutamente no."

33) E come mai?

R.: "E perché lui si sentiva italiano, italiano. Diceva io non posso prendere la cittadinanza greca- [E' stata una vicenda simile a quella di molti] greci, che quando c'era l'Italia si son detti che andavano a fare il campo di concentramento, piuttosto che cambiare la loro cittadinanza. Se uno si sente italiano, italiano è. Però la maggior parte [degli italiani] avevano i loro lavori, avevano sposato le greche - anche mio padre aveva sposato una greca - ma poi sa, quando uno è italiano è italiano, e quando uno è greco è greco, bisogna dire queste cose. E mio padre ha detto no, io torno in Italia, vada come vada. Perché poi non era astio, ma era il governo: come quando c'era il governo italiano che aveva detto che i greci dovevano essere cittadini italiani, adesso dovevano diventare tutti cittadini greci. E se non ci state, ve ne andate! Però non c'è stato tra di noi isolani dell'astio anche con i greci. Io mi ricordo che qualcuno si voleva ribellare: mi ricordo che c'erano due giovanotti che andavano facendo un po' di dispetti, cioè facevano quello che facevano [prima] i ragazzi italiani. E allora son capitati a casa nostra, mia mamma è uscita - mio padre non c'era - e gli ha detto: ah, sei tu, sei tizio, sei caio. E cosa sei venuto a fare qua? Quanti anni hai? Chi ti ha sfamato? Tua madre? Si. Tu padre? Si. E tua madre dove ha lavorato? A casa mia. Allora si diceva che le greche erano le serve, perché noi abbiamo sempre avuto - perché eravamo in cinque [figli] - sia la tata che la donna che veniva a fare le pulizie. Ed erano greche, perché gli italiani stavano tutti bene, bisogna dirlo. E allora questi due avevano i genitori che venivano a lavorare nelle case italiane. Ma questa cosa è successa tre o quattro giorni, perché come è successo a mia madre, è successo anche ad altri."

34) Cioè che i greci andassero dagli italiani...

R.: "E si, ma la gioventù eh, perché poi i genitori venivano a scusarsi. Mi ricordo che la mamma di quei due ragazzi è venuta a scusarsi piangendo, perché diceva che li avevamo sfamati. Perché quello che avanza [da mangiare] - ma non [in guerra], quando stavamo bene - glielo davamo a loro. Sono cresciuti con gli avanzi, ma neanche con gli avanzi, perché lei, lavorando [da noi], sfamava i suoi figli. Queste cose si, me le ricordo."

35) Gli italiani, mi ha appena detto, erano quelli che stavamo economicamente meglio degli altri?

R.: "Eh si, quello si. Era la classe dirigente, perché poi giustamente con le scuole italiane anche loro hanno incominciato ad avere i loro posti. Perché poi non c'era [differenza], non c'era tu sei italiano e lui è greco. Quello che c'era era per tutti, erano tutti insieme, ecco."

36) Lei quindi va via nel '47. Sta ancora due anni a Rodi dopo la fine della guerra...

R.: "Stiamo ancora due anni, perché poi sono arrivati gli inglesi e mio padre era andato a lavorare [con loro]. Via gli inglesi, quel circolo lì è stato eliminato, hanno fatto poi il comune di Rodi."

37) Parliamo del rimpatrio. Come è avvenuto?

R.: "L'unica cosa che non potevamo portare via erano i soldi: quelli che avevamo dovevamo dichiararli. Ne potevamo portare un tot, un massimo. Poi noi stabili da lasciare a loro non ne avevamo, e loro si sono confiscati le ville e queste cose qua. Mio padre quando aveva lavorato sotto gli inglesi, aveva parecchie sterline. E allora mia mamma cosa ha fatto? Le sterline non si potevano portare via, specialmente quelle d'oro. Quelle di carte le abbiamo cambiate, perché stavano nel tot del capitale, e invece [per] le sterline d'oro che erano fuori [dall'importo consentito], mia madre diceva adesso come faccio? Mia madre dice: ma questo è il sudore di mio marito, perché glielo devo dare a loro? Allora cosa ha fatto? Ha tagliato la fodera del cappotto - sotto - cioè il pezzo dell'orlo del cappotto, e si è fatta i bottoni di stoffa. E dentro ci ha messo le sterline con l'ovatta intorno. A ogni bottone ha messo le sterline [d'oro]. Quelle di carta [invece], ha fatto dei filoni di pane la penultima giornata prima che dovevamo imbarcarci. Allora, da una parte ha messo le sterline di carte avvolte nella carta e le ha impastata. Anzi, il fornaio le diceva Maria vai, che tanto io so quanti filoni hai portato, anche perché non solo mia madre ha fatto questo lavoro. Lei per paura che si bruciasse restava là, e le diceva: Emanuele, guarda che non si bruci il pane, perché poi per i bambini è duro. Perché lei aveva fatto i filoni per portarli sopra la nave: allora da una parte tagliava le fette e dall'altra aveva i soldi. Perché diceva: questi non li abbiamo rubati, son soldi nostri. Queste cose si, me le ricordo."

38) La partenza come è andata?

R.: "La dogana mandava a dire: domani arriva [la nave]. Loro avevano la lista dei rimpatriati, e loro dicevano: domani arriva la nave. E noi mi ricordo che la nostra nave si chiamava Toscana ed era del Vaticano. Perché sia il Vaticano mandava le navi, sia il governo italiano. E allora ti dicevano otto giorni prima che il tale giorno arrivava la nave e ti dovevi preparare. E noi qualche mobile e qualcosa ce lo siamo portati, perché sulla nave si poteva portare un tot di bagagli. E poi la mattina andavi alla dogana, passavi la dogana e partivi."

39) C'erano molti controlli prima di imbarcarsi?

R.: "C'erano i controlli. I controlli c'erano, si, si. Perché mi ricordo uno che aveva fatto inghiottire le sterline d'oro al cagnolino e lo teneva in braccio. E quando eravamo poi sulla nave si scoprivano tutte queste cose! A mia madre avevano detto: signora, cosa deve fare con tutti questi filoni [di pane]? E lei gli aveva detto: io ho quattro ragazzi dietro, cosa gli do [da mangiare]? Otto giorni [di viaggio] ci abbiamo impiegato, prima di arrivare a Venezia. Ci abbiamo impiegato otto giorni, che adesso si va in otto ore! E gli dice: cosa gli do ai bambini da mangiare? Il pane! Perché qualcosa sulla nave ci davano, ma un panino e poco altro. E lei, subito, per paura che la scoprissero, aveva detto [al soldato]: ne volete una fetta? Guardi fino a qua le ho già pronte, già tagliate...E invece ad altri gli scoprivano, invece mia mamma le era andata bene."

40) E chi veniva scoperto?

R.: "Eh, niente, si fermava e poi partiva la volta dopo, dopo però che gli avevano portato via la roba."

41) Riesce, a grandi linee, a dirmi quante famiglia sono partite da Rodi?

R.: "Eh, tanta gente è andata via, perché alla fine lì noi italiani eravamo la maggioranza."

42) Siete partiti a scaglioni, immagino...

R.: "Si, a scaglioni. Una volta al mese arrivava una nave."

43) Lei in che mese è partita?

R.: "Alla fine di aprile del '47, che siamo arrivati a Tortona a maggio."

44) Che ricordi ha del viaggio?

R.: "Brutto! Ogni tanto ci fermavamo e ci dicevano: mettetevi i salvagente! [Lo dicevano] perché c'erano ancora le mine: ecco perché ci abbiamo messo otto giorni ad arrivare fino a Venezia, nell'Adriatico. Perché c'erano le mine, e questo me lo ricordo, tantissimo. Dalle cuccette, ogni notte, sempre ci dicevano scendete e mettete i salvagente. La nave si chiamava Toscana e avevano detto che era del Vaticano, cioè che era mandata dal Vaticano."

45) Mi ha detto una cosa interesante, e cioè che sopra la nave vi davano qualcosa da mangiare. Si ricorda chi?

R.: "Si, c'era l'assistenza. C'era il medico, c'erano le infermiere, c'era tutto. Però c'era poco da mangiare! Era appena finita la guerra...Ci davano un piatto cotto e ai bambini alla mattina davano il latte. No, no, su quella nave l'assistenza c'era, poi [sulle] altre non lo so."

46) Oltre alla sua nave ce n'erano delle altre?

R.: "Si. Loro dicevano che un mese mandavano la nave dal Vaticano, e un mese dallo Stato. E noi abbiamo caricato tutto quanto sul Toscana e ci abbiamo messo otto giorni. E [poi] ci abbiamo messo tre giorni da Venezia a Tortona."

47) Arrivate a Venezia. Lì trovate qualcuno che provvede alla vostra assistenza?

R.: "Si, si. C'era una delegazione che ci hanno accolto, e ci hanno messo su questi treni merci. Ci fanno sbarcare, e c'era un treno pronto, e c'erano sti vagoni merci e abbiamo caricato sia le masserizie, sia noi, sopra sto treno. Perché noi eravamo [inizialmente] destinati ad Alessandria, però ad Alessandria non c'era il campo profughi. [Allora+ siamo arrivati ad Alessandria [e lì] c'era gente che ci aspettava con panini, acqua, e questo me lo ricordo, perché siamo arrivati che era quasi sera. E poi quando siamo arrivati là, questi qui di Alessandria hanno detto: no, dovete tornare indietro a Tortona, che c'è il campo profughi. E lì al campo profughi, c'era chi ci ha ricevuto, e la prima notte abbiamo dormito sulla paglia."

48) Mi ha detto di essere arrivata a Venezia. Una volta arrivati al porto, siete stati accolti e trasferiti in una struttura - dove magari siete assistiti- o siete subito saliti sul treno?

R.: "No, no, [ci hanno portato] direttamente sopra il treno. Che ad Alessandria c'era ad accoglierci à gente del Comune, che ci ha detto di andare a Tortona. E noi va beh, in mezz'ora siamo tornati. E là c'era poi chi è venuto a prenderci e ci hanno portato al campo profughi e la prima notte abbiamo dormito sulla paglia."

49) Posso chiederle come mai siete andati a Tortona? Cioè, eravate voi che avete scelto oppure siete stati destinati dagli organi competenti?

R.: "Si, [abbiamo scelto noi]. A Venezia dicevi la destinazione, decidevamo noi. Mio padre ha deciso per Alessandria - perché Tortona è uscita dopo - per il semplice fatto che lui aveva dei parenti a Genova, [e quindi scegliendo Alessandria] pensava di potersi poi andare a Genova a sistemarsi. Però, finita la guerra, anche a Genova non c'era niente, e allora poi siamo stati al campo profughi e [dopo qualche tempo] hanno aperto una cooperativa, che c'era dentro mio padre e mio fratello. Ecco [poi un altro motivo per cui] abbiamo scelto il nord, è stato per il semplice fatto che mio fratello, dopo che è finita la prigionia coi tedeschi perché lo avevano poi preso gli inglesi, lo hanno mandato in Italia, ma noi ancora non sapevamo dov'era. E lui era s Sondrio. Poi a furia di [scrivere] lettere col consolato, abbiamo saputo che lui era a Sondrio. E allora mio padre ha detto: Sondrio è più vicino all'alta Italia, e l'unico campo profughi era Alessandria, e siamo venuti qui. Lui con l'intenzione di andare a Genova, ma a Genova non c'era sfogo per poter stare. Anche i parenti erano anziani e non avevamo dove andare, e così siamo stati al campo profughi."

50) Lei arriva a Tortona nel '47, quindi...

R.: "Nel maggio '47. e mi ricordo una cosa, che c'era ancora la neve. Mi ricordo solo questo, e cioè che era la prima volta che avevo visto la neve. C'erano ancora i mucchi di neve!"

51) Tortona, la Caserma Passalacqua. Riuscirebbe a darmi una descrizione del campo?

R.: "Si, quella era la caserma. Era fatta a quattro padiglioni, e a tre piani. E poi noi siamo arrivati e la prima volta ci hanno fatto dormire [per terra]. Poi alla mattina c'era un direttore, c'era la polizia, è come se fosse stata una cittadina. E poi facevano una selezione: lì c'erano delle camerate grosse, molto lunghe, e noi abbiamo fatto il giro, e [abbiamo visto] che le camere erano tutte divise. Cioè c'erano famiglie divise con le coperte da militare. Noi, neanche a farlo apposta, sempre per il cognome - che è un cognome il mio che non è tanto pratico - sopra all'ultimo piano ci stava un generale in pensione e la moglie. Combinazione, quando arrivava la gente, la moglie scendeva e ha sentito che facevamo di cognome come il mestiere di suo marito, e ci ha preso in simpatia. Sotto a dove stava lei - che lei stava al piano di sopra che era più riservato, perché c'era la cappella, il cappellano, la polizia - c'erano due stanze piccole: una era il posto dove che mettevano i militari in consegna e l'altra era la posta [l'ufficio postale]. Erano due stanze piccole, e lei tanto ha fatto che ci ha dato quelle due camerette. Cioè, c'era gente che aveva i camerini da soli: è il caso dei Ventura, che erano in nove e avevano un camerine da soli. Erano nove figli più la zia: dodici o tredici persone, e forse erano gli unici che avevano un padiglione da soli. Però quelli che erano singoli, mi ricordo che c'erano tutte queste coperte. Poi nel campo c'era anche la scuola: c'erano le suore, e c'erano anche gli insegnanti che arrivavano da Tortona, da fuori. No, no, come servizi c'era tutto. C'era tutto, c'erano anche i bagni che erano in comune. Perché prima là c'erano i militari, e quelli non è che andavano [separati]. Invece adesso il comune ha tutto rimodernato!"

52) Nel centro di raccolta c'era tanta gente che viveva tutta insieme in uno spazio ridotto. Com'era la quotidianità in campo? Credo difficile e delicata...

R.: "Ma no, eravamo tutti una famiglia. Perché poi c'era il rancio."

53) Ecco, questo mi interessa molto. Parliamo del cibo...

R.: "I primi mesi a mezzogiorno si andava a prendere il rancio con la pentola, e poi ogni famiglia - cioè il capofamiglia o la mamma - aveva il suo tavolo, come quello che abbiamo portato da là [dalla Grecia], mentre invece i letti e le brande con i materassi ce li avevano dati. Insomma, era una comunità [dove vivevamo] tutti assieme, ecco. [Poi mi ricordo che] c'erano due cucine, [anche] perché quattro caserme, [cioè quattro padiglioni, non potevano essere soddisfatte] da una cucina sola."

54) A Tortona qual era la provenienza degli ospiti del campo?

R.: "Là c'era fiumani, istriani, greci e basta. Ma noi greci eravamo in minoranza, [eravamo meno numerosi degli altri], saremmo state una decina di famiglie."

55) Ho visto delle fotografie relative al campo di Tortona, che ritraggono i profughi durante feste, balli. Quindi c'erano anche momenti di socialità...

R.: "Si, si, perché poi ci hanno dato quei saloni che poi erano quelli dove tenevano i cavalli, dove adesso hanno fatto la chiesa, anche se prima la cappella era sopra. Invece adesso è sotto. E ci avevano dato questi spazi, dove noi facevamo le feste: si ballava, si rideva. Poi uscivamo anche, eh! Non è che eravamo [confinati lì dentro]. Si, c'era un orario [di uscita e di entrata da rispettare] però uscivamo. Perché poi c'erano anche parecchi politici, cioè profughi politici, ma quelli però erano più controllati. Noi greci eravamo pochissimi, potevamo essere dieci famiglie, ma forse neanche. Poi c'era la scuola di taglio e cucito, poi le scuole elementari, l'asilo che c'erano le suore."

56) C'era un punto di ritrovo, che so una specie di circolo interno al campo?

R.: "No. Poi solo dopo un po' di anni, che la gente ha incominciato a trovare lavoro e tutte queste cose, mio papà, Ventura, altri due greci, due dalmati, tutti assieme gli hanno dato un locale molto grande e lì hanno aperto uno spaccio di generi alimentari. C'era mio fratello, mio papà e altri profughi. Allora mi ricordo però che già lavoravano tutti."

57) Parliamo dell'assistenza in campo: avevate un sussidio?

R.: "I primi anni si, ci davano il sussidio. Lo davano a chi non lavorava, anche se i primi due anni lo davano quasi a tutti, perché non si trovava [lavoro]. Poi, man mano che la gente riusciva a lavorare, toglievano il sussidio."

58) Ha introdotto un argomento interessante, e cioè il lavoro. Quali erano le professioni svolte dai profughi?

R.: "Andavano nelle ditte. Per esempio c'era Orsi che [era una fabbrica] e quando c'erano le assunzioni i profughi avevano come adesso gli handicappati, e cioè [ad esempio] su duecento operai [nuovi assunti] ci dovevano essere trenta profughi di qualunque nazionalità. Poi c'era chi faceva il barista, e altri mestieri, però quando c'erano le assunzioni nelle fabbriche, le fabbriche avevano l'obbligo dell'assunzione [di una certa quantità di profughi]."

59) A proposito di fabbriche, a Tortona c'era la Liebig...

R.: "Si, c'era la Liebig e ci lavorava parecchia gente, più che altro le donne. C'era la Liebig, c'era la plastica - anche se questa fabbrica è venuta dopo - , c'era Orsi che faceva i trattori, c'era anche un pastificio in corso Alessandria. Si, c'erano parecchie ditte, e i profughi lavoro lo trovavano, si, si."

60) Le chiedo solo più due cose. La prima è questa e riguarda il campo profughi. Vorrei sapere com'erano i rapporti con le altre comunità...

R.: "Erano buoni, eravamo tutti amici. Oddio, qualche volta, tra ragazzi, succedeva che si litigava, anche tra vicini nelle camerate, però poi passavano. Una volta sola è successo - nel periodo di maggio - che tre profughi alla festa di Santa Croce [che dei profughi hanno litigato con dei tortonesi]. Che poi c'era lo scandalo di sti profughi. Cioè sti tre ragazzi - erano dalmati - si sono attaccati coi tortonesi alle giostre, che c'era la fiera del paese, e c'è scappato il morto. E allora lì un po' il profugo ha cominciato ad essere visto male, un po' come facciamo adesso con gli extracomunitari. Però poi è passata anche quella sfuriata."

61) Quello che appena detto, mi fa venire in mente un'altra domanda. E cioè quella relativa alla vostra accoglienza. Come siete stati accolti a Tortona voi greci? Le chiedo questo perché ad esempio i giuliano-dalmati non hanno ricevuto una buona accoglienza, soprattutto perché a loro si legano alcuni clichè - ovviamente errati - , uno su tutti quello dell'istriano fascista. C'era questo stereotipo, al quale se ne legava spesso un altro e cioè quello del profugo che arrivando sottrae il lavoro alla manodopera locale...

R.: "Si, questo è successo, però i primi periodi, dal '47 al '49. Poi c'era chi diceva ai bambini di stare bravi altrimenti ti faccio mangiare dai profughi. Questo c'era, questo si. Però io [dopo] non mi ricordo [che accadessero queste cose]. Ad esempio, noi andavamo fuori e nessuno ci ha mai insultato. L'unica volta che poi è successo - che noi ci siamo anche molto risentiti - è quando c'è stato questo scandalo [della festa che le ho detto prima], che sempre quando succedeva qualcosa era colpa dei profughi. Perché i profughi avevano ammazzato, che quello era un tortonese. Cioè, è successo che a pugni ci è scappato il morto, ma non è che l'hanno ammazzato proprio. E poi qualcuno si rivoltava dicendo: ma guardate che le carceri a Tortona le hanno fatto mica quando c'erano i profughi...E allora con queste battute hanno cominciato a scemare, perché poi alla fine era una lite, mica era altro."

62) Quindi, per lo meno all'inizio, il profugo non era visto benissimo dalla popolazione locale...

R.: "No, no. Però erano quelli del '46. Poi vedevano che male fuori non ne facevano. Poi fuori [dal campo] non uscivano, perché c'era sempre il blocco di polizia dentro [al campo] che tu quando uscivi dovevi dire che uscivi. Poi però dopo no, anche perché oramai si conoscevano tutti e allora uscivi ed entravi, anche se però c'era sempre un orario di uscita e di entrata."

63) Rimaniamo sempre sul campo profughi. Posso chiederle che impatto ha avuto con questa realtà?

R.: "Eh, brutto, brutto."

64) In che senso?

R.: "Eh, brutto perché rimani scioccato a vedere quelle coperte e quelle famiglie, che poi c'erano anche famiglie un po' disagiate. Cioè, ci è voluto tempo prima di abituarsi. Ma noi eravamo anche piccoli ed era diverso. I grandi però un po' si, per loro è stato difficile]. Però non [per tutti, forse]. Io ad esempio mi ricordo mia mamma che uscivano, si mettevano sotto i portici - perché là [intorno al cortile del campo] erano tutti portici - e stavano tutti insieme a chiacchierare, ricamare e lavorare. Poi quando c'era una lite , c'era una lite. Però si, l'impatto è stato più diccele per l'adulto, perché noi bambini [ci divertivamo anche]: c'era tutto quello spazio, chi giocava a palla, chi altro e alla fine- devo essere sincera - anche quando c'erano le feste, non sono mai mancati i giocattoli. Le feste non sono mai mancate sia per i bambini e sia per i grandi. Però l'impatto per i grandi...E quello si sa, quando uno lascia casa sua [è sempre brutto]. Come la stessa cosa è successa a me quando ho lasciato Tortona e sono andata al paese di mio marito [in Basilicata], prima di abituarmi ce n'è voluto, ho sofferto."

65) Quindi lei resta a Tortona in campo dal '47 fino a quando?

R.: "Al '52. Poi ci hanno dato le case popolari a Tortona, in via Cesare Saccagi. Che lì han fatto tre palazzine lunghe, ogni scala sei appartamenti, e ci hanno assegnato le case. E lì eravamo tutti profughi, sempre mischiati. Le case erano in periferia, anche se Tortona è piccola...Là non eravamo proprio fuori, perché c'era la fabbrica di Orsi e poi c'erano i terreni che hanno fatto ste case. Però [non erano proprio lontane dal centro], perché facevamo [per fare un esempio di Torino] come da qui a Santa Rita [cioè davvero pochi passi] ed eravamo già nel centro."

66) Mi diceva che i profughi hanno trovato lavoro a Tortona. Posso chiederle la sua famiglia che percorso professionale ha fatto?

R.: "Mio papà e mio fratello quando siamo usciti [dal campo], il fornitore dei formaggi che forniva il campo profughi, gli aveva proposto se volevano gestire un negozio di generi alimentari. E allora mio papà e mio fratello hanno gestito questo negozio di generi alimentari. Anche io poi ho sempre lavorato nel negozio di generi alimentari: ho lavorato per mia mamma e per mia cognata, non percepisco pensione! Perché essendo che il negozio era a gestione familiare, quando è andato in pensione mio papà, è andata mia mamma e lui aveva la pensione, quando è andato in pensione mio fratello è andata la moglie e lui aveva la pensione...Io ho lavorato, ma poi mi sono sposata. Mi sono sposata con un poliziotto, un maresciallo capo, che l'ho conosciuto fuori dal campo. Lui era della Polfer, e passeggiando ci siamo incontrati. Poi lui ha fatto tanto e detto tanto - io non avevo intenzione di sposarmi!- che mi son sposata. Poi abbiamo preso casa a Tortona, abbiamo avuto una figlia. Poi [dopo] sedici anni, la mamma di lui è rimasta vedova, la sorella è rimasta vedova senza figli, e lui mi ha detto: cosa facciamo? Mia mamma era morta, mio padre era morto - si, avevo i fratelli, però [non è la stessa cosa] - e lui allora ha detto: sono tanti anni che non mi godo mia mamma - perché è sempre stato [in servizio fuori] a Bologna, Palermo e Tortona - e ha detto andiamo a Sapri. Cioè lui poteva avere il trasferimento a Sapri e siamo andati giù. Però, prima che mi sono abituata, è passato davvero tanto tempo!"

67) Le chiedo ancora una cosa. E parto ancora dai giuliano dalmati. Qui a Torino loro sono molti e hanno una forte presenza sul territorio che li ha accolti, cioè a Lucento dove lei sa meglio di me che sorge il Villaggio di Santa Caterina, al cui interno abitano anche dei profughi greci. Ebbene, la presenza dei giuliano-dalmati si nota anche sul territorio da cose molte semplici: se si va al mercato di corso Cincinnato i banchi vendono i crauti sotto sale, le pasticcerie hanno le pinze - tipico dolce pasquale - e altri dolci. Quindi loro hanno mantenuto le loro tradizioni e abitudini alimentari. Vorrei capire se anche voi come greci avete continuato a mantenere le vostre tradizioni alimentari anche arrivati qui?

R.: "Eh si, il tipico cibo italiano: spaghetti, lasagne, verdure, questo è. Poi anche il mussaka e queste cose le abbiamo sempre fatte. Io mangio sempre come mangiavo a casa mia: cioè mio padre era italiano e mangiava italiano, ma mia madre che era greca faceva la sua mussaka e le altre cose che si fanno, e noi si mangiava uno e l'altro. Però io ho sempre cucinato tutto. La mussaka non la faccio più da quando è morto mio marito, però mia figlia la fa ancora adesso al marito. I piatti li facciamo, continuiamo a farli. I fagioli anche, che i greci mangiano tanti fagioli."

68) Lei oggi ha nostalgia di Rodi?

R.: "No, perché quando sono andata nel '90, mi son delusa."

69) Come mai è rimasta delusa?

R.: "Perché ho visto tutte quelle villette fatte a casa...Cioè, io sono andata a vedere la casa dove son nata, e quando ci sono passata davanti mi ha deluso. Quella a fianco ho visto di nuovo la casa a tre piani...Perché noi eravamo tutte ville, ognuno era singolo, e sono rimasta delusa e quindi no, non ho nostalgia. L'unico che ha nostalgia è mio fratello di novant'anni, che però anche lui l'ultima volta che è ritornato dalla Grecia non mi ha più detto che ci vuole tornare. A me le cose che mi han deluso son state la casa e il caffè, che lì bevono acqua e ti dicono che è caffè! Tanto che ho detto che la prossima volta che mi capita di andare a Rodi, mi porto il mio caffè da casa e la mia macchinetta! Però dire che ho la nostalgia no, forse anche perché sono andata via da piccola, a undici o dodici anni."
25/05/2012;


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Miletto Enrico 28/06/2013
Pischedda Carlo 28/06/2013
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Come citare questa fonte. Intervista a Elena G.  in Archivio Istoreto, fondo Miletto Enrico [IT-C00-FD16248]
Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019