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CARTACEO: Intervista a Fernanda C.

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Intervista a Fernanda C.
Fernanda C., nasce a Fiume nel 1936. Figlia di un impiegato postale e di un'impiegata, lascia la città nel 1946 per dirigersi in Italia dove raggiunge il padre, partito nel 1945 e trasferitosi a Torino. Dopo una breve sosta a Venezia e al Silos di Trieste, Fernanda C. arriva a Torino, alloggiando alle Casermette di Borgo San Paolo, dove resta fino al 1951, anno in cui si trasferisce nelle Case Ceat, azienda nella quale lavora la madre. Sposata con un dipendente Lancia, lavora come puericultrice negli asili. Abita a Carmagnola, dove è stata intervistata il 5 novembre 2007. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove è nata e quando?

R.:"Io sono nata a Fiume, il 29 aprile del 1936".

2) Mi può parlare della sua famiglia di origine: cosa facevano i suoi genitori, quanti eravate ...

R.: "Mio papà era impiegato statale, alle Poste, e mia mamma, fino a che non si è sposata era impiegata."

3) E lei è figlia unica?

R.:"No, io c'ho un fratello che è nato a Torino. Lui di Fiume se ne frega, è andato a vedere, ma si sente torinese. Cioè, quando siamo andati via di Fiume, gli dicevo a mio fratello: eri già in pancia della mamma, sei quasi fiumano! Però lui ha un'altra visione, tutta differente da me. Io sono restata tradizionalista, vado ogni anno a Fiume, con il gruppo di Trieste, e di tutte le parti. Anche milanesi vengono, [tutti] meno che i piemontesi!"

4) Lei è di Fiume. Può descrivermi la sua città?

R.:"Guarda, ti dovrei far vedere un po' quello [indica un libro sulla storia di Fiume] perché c'è anche scritto lì... Dunque, prima avevamo un porto, e avevamo le navi e i sottomarini che commerciavano in tutto il mondo. Avevamo la Fabbrica Tabacchi, la cartiera, il zuccherificio, avevamo tutto. Avevamo tanta gente del bassitalia che lavoravano alla Posta e che venivano lì, avevamo tutto. Anche la fabbrica dei motorini, c'era la Atomos. Fiume faceva parte a sé, come San Marino. Poi, invece, dato che faceva gola a tutti, che faceva gola come acqua, come porto e come tutto, allora l'han sempre occupata. Gli stessi veneziani davano battaglia a Fiume, però, essendo al confine con la Croazia, la Croazia già nel 1841 - mi sembra - è arrivata a Fiume, nel comune. Io non so chi c'era, ma i fiumani li hanno sbattuti fuori. E a loro ha sempre fatto gola Fiume. Perché ci divideva solo un ponte: da una parte la Croazia - qui c'è il fiume, la Recina - dall'altra l'Italia. Adesso hanno distrutto il ponte, quindi è unico."

5) Quindi, possiamo parlare di una città industriale...

R.:"Molto industriale, si. Non avevamo bisogno di niente, avevamo tutto. Tutto, tutto, tutto. Qualsiasi attività venivano gli altri a Fiume. Era una città grossa, avevamo anche Standa, adesso non c'è più. Avevamo perfino la cioccolata che si fabbricava a Fiume, che io non lo sapevo, ed andava a finire fino in Giappone la cioccolata. Era una città che ha fatto gola a tutti; son venuti tutti lì!"

6) Mi diceva prima di questo ponte che divideva la città dalla Croazia. Ma la maggioranza della popolazione era italiana?

R.:"Si, fiumani. Però, diciamo che c'è anche l'incrocio, perchè c'è stato l'impero austro ungarico che è venuto lì, i croati - quelli che riuscivano a lavorare o qualcosa - son venuti lì, e c'era un miscuglio di razze. Mio papà si chiama [C.], mia mamma [F.], e mio papà è un vero fiumano. Il mio nonno non so perché dicono che forse, di parte di parentela, sarebbe di Vicenza, però da parte di mio papà son tutti fiumani. Mio papà è morto giovane, io avevo undici anni quando è morto. Era un anno che era venuto a Torino e si vede che non so, il mal di cuore... Un uomo grande e grosso... E' deceduto."

7) E la componente croata dove abitava, a Susak?

R.:"Si, bravo, a Susak. Da una parte c'era i croati, che si parlavano con gli italiani, però c'era - diciamo - una specie di astio tra italiani e croati. "

8) In che senso astio, me lo descriva...

R.:"Astio perché i croati volevano occupare le nostre terre, poi [ci] son stati i fascisti e gliene hanno combinate di tutti i colori anche a loro, e quando sono entrati a Fiume - c'ho anche le foto su un libro - sono entrati con tutte le divise. Dalla montagna penso che arrivassero, non si capiva, hanno preso tutti quelli che potevano della popolazione e li hanno internati con loro, perché avevano un odio verso gli italiani. Verso anche i fascisti che gli hanno fatto tante cose; naturalmente erano camicie nere, e si sono rivalsi su Fiume. Per dieci anni - io sono venuta via nel '46 - hanno tiranneggiato la gente là. Io dico: Tito sei entrato, sei stato lì, ma perché devi tiranneggiare le persone? Le ha messe nelle foibe, ne ha fatte di tutti i colori: gli uomini e i ragazzini di quindici sedici anni sparivano. E' stata una cosa atroce. Appena adesso si riesce ad andare, appena adesso io riesco ad andare lì, non prima."

9) Senta, lei mi ha parlato del fascismo. Posso chiederle cosa ricorda di quel periodo?

R.:"Poco. Io abitavo in una casa che aveva fatto la Posta, cioè il fascio. E di faccia c'era la Casa Balilla. E vedevo i piccoli italiani che facevano il saggio - andavo con mio papà, perché c'era la partita di calcio- che facevano i saggi ginnici. Mio papà - al sabato, mi sembra - doveva andare per forza a fare ginnastica, doveva andar con loro, non so, col partito. Lui lavorava alla Posta, era impiegato alla Posta, e allora aveva proprio la divisa coi gambali e tutto, e andava a farsi sti saggi ginnici, diciamo. Mi ricordo dei bombardamenti: io ho fatto a Fiume fino alla quarta, la quinta l'ho fatta qua."

10) E ad esempio della scuola cosa ricorda?

R.:"Scuola Gambieri si chiamava. Erano tutti nomi italiani, adesso non trovi nomi italiani, hanno quasi tutto distrutto, anche dei monumenti, che han fatto malissimo, perché quello bisognerebbe tenere. C'era, sul porto, il molo San Marco, ed era una cosa italiana e l'hanno buttata giù, cosa che non bisognava fare. Proprio l'odio e l'acredine che hanno. E ci hanno preso le nostre case! Perché hanno mandato via mio papà dalla posta, perché i croati le han detto: lei, signor [C.], deve optare per noi. Mio papà ha detto: io sono italiano! E avrà detto anche di più, perché mio papà si incazzava! Ah si? E allora l'han mandato via dal lavoro senza paga, e mi ricordo che mia mamma l'aspettava perché aveva bisogno di soldi. Non lavorava più mia mamma, perché c'ero io. E allora il direttore l'ha mandato a Udine. E noi per andare via non ci davano il visto; mia mamma, per mesi, andava a trovarlo. Col treno merci, che treno! Si è fino presa i pidocchi una volta! Io stavo da mia zia Irma che aveva una villa in collina - era bellissima - e io stavo lì, io stavo bene. Lei andava a trovarlo. E allora cosa è successo una volta? [Ci] sarà state cento donne che bisognava venire in Italia e sono entrate dentro l'ufficio dove davano questo visto - era l'OZNA si chiamavano quelli che comandavano - e le han detto che volevano questo visto. E lui le ha detto: no, neciu neciu - io non so parlare il croato, ma quello me lo ricordo, mia madre me lo raccontava - e le diceva che non dovevamo andare via e che dovevamo stare là perché noi dovevamo diventare croati. E cosa han fatto le donne? Erano in due in ufficio [gli ufficiali], han preso il quadro di Tito e lo han strappato! Cose da andare a finir dentro, eh! L'altro ha cercato di scappare fuori, [ma] le donne lo hanno acchiappato e afferrato: provi lei con cento donne in due! Son state matte, eh! Questo me lo raccontava mia zia Irma [che mi diceva]: tua madre voleva andare in galere, la prendeva l'OZNA e non usciva più! E li hanno obbligati: o ci date il visto o vi meniamo! E han dovuto dare i visti. Quando poi quello è riuscito a scappare, ed è ritornato, gli si sono messe contro: ti sarà croato, ma noi semo fiumane, prova un po' a venir qua! Anche in dialetto glielo hanno detto!"

11) Tornando al fascismo [mi interrompe]

R.:"Si, la scuola. A scuola sentivamo il discorso del duce. Il duce a Fiume è venuto una volta sola, non è mai venuto, noi ce ne fregava, e sentivamo lì [i discorsi]: eravamo tutti sull'attenti ad ascoltare. Io ero piccola, ero figlia della lupa."

12) Prima mi parlava del trattamento riservato dal fascismo agli slavi...

R.:"Beh, quello si sa com'era il fascio. Cioè, io non lo so ma ho letto qualcosa e me lo han raccontato le stesse zie di là, che io ho una zia di novant'anni che è morta da pochi anni, che è rimasta a Fiume ed abitava in una villa. Lei era discendente di conti, abitava in una villa, ed avevano una villa anche in Ungheria. E l'hanno sbattuta in uno sgabuzzino e le han requisito la villa, requisivano tutto eh! I titini. Io mi ricordo poi i tedeschi quando sono entrati a Fiume, che poi c'erano anche tanti fiumani, camicie nere sfegatati, che ce l'avevano con i croati. Perché i croati, i partigiani, bombardavano, anche qua cercavano di fare. Quando sono entrati fino in Croazia i tedeschi, so che mi hanno detto che ne hanno combinate di tutti i colori, eh! Sia alle donne, perché i fascisti si sa già com'erano, anche se ero piccola sapevo com'erano, eran tremendi! E così cosa han fatto? Quando son riusciti han fatto la rivalsa: dicevano che noi eravamo tutti fascisti e hanno perseguitato Fiume. Poi, il loro seguire era che volevano Fiume a tutti i costi: la volevano anni e anni fa, e poi l'hanno avuta vinta. Infatti quei palazzi, il teatro Verdi, non l'han fatto loro, li ha fatti l'Italia con l'Ungheria."

13) Quindi, per tirare le somme, com'erano i rapporti tra italiani e slavi?

R.:"Non erano rapporti idilliaci, proprio per niente. C'era si qualcuno - come in tutte le cose - che forse pendeva per loro, però erano proprio cattivi. Infatti a noi ci avevano dato una bandiera, di loro, di Tito - non so com'era - da attaccare sui vetri e guai se non la attaccavamo, le avevan detto a mia mamma: ti mandiamo all'OZNA, ti fuciliamo. Mia mamma ha detto: ah si? Io non la metto. Loro l'hanno messa, ma mia mamma ha lasciato tutto il tempo la serranda giù, non l'ha mai alzata. Noi avevamo amor di patria: siamo italiani, siamo sempre stati italiani, nelle scuole si parlava sempre italiano. Mia mamma, in più, parlava anche il tedesco - mia mamma era del '15, eh!- e quando sono entrati D'Annunzio e tutto, la gente aveva la bandiera italiana, e l'hanno sventolata, l'hanno messa per tappeto a quelli che sono entrati."

14) Interessante l'episodio delle bandierine...

R.:"Venivano loro ad attaccartela dentro! E tutti noi della casa della Posta - chi non era ancora andato via - tiravamo giù le serrande. Non le abbiamo alzate, perché noi non siamo croati. Io, se non fossero stati... perché c'hanno quel carattere duro, parlavano in quel modo ... Poi quando sono entrati - io non lo sapevo - erano uno in divisa da marinaio, l'altro con un'altra divisa, e tutto quello che accaparravano... Non era una cosa... Son venuti dalle montagne, i primi che son venuti son loro, non conoscevano neanche il bagno. Poi c'era il direttore della posta croato che è venuto a casa nostra e ha detto che dovevamo andare via perché lui doveva requisire il ostro alloggio. Mia mamma ci ha detto: io non vado via fino a che non ho il visto che vado via in Italia. Quando che lo avrò, andrò. E han litigato, no. Lui era una persona, diciamo, istruita, ma quando hanno requisito l'alloggio sopra [il nostro], quelli che son venuti, non sapevano che cos'era il bagno, e hanno piantato la verdura, glielo giuro! Ce l'ha detto quella signora che poi è andata via. Dunque venivano dalle montagne, proprio, dal Montenegro, chissà da dove venivano, io non so. Puzzavano!"

15) Lei, ad esempio, si ricorda l'ingresso dei titini in città?

R.:"No, io non ho visto l'entrata, perché mia mamma sicuro non mi portava in quella confusione. Sono entrati nel '45, noi siamo andati via subito, nel'46, a ottobre '46. Però mi ricordo che sono andata con mia mamma giù, in via Roma, dove c'era la Standa, e quello era il corso principale. E c'era un grosso arco in mezzo al corso - come fosse via Roma a Torino - con un grosso quadro di Tito. Noi stavamo passando e lui [un titino] ci ha detto di passare [sotto il ritratto], e mia mamma gli ha detto: no, io son fiumana e non passo là. Era un po' prepotente mia mamma! E non è mai passata di là. C'erano due [titini] che ti obbligavano a passare, e mia madre ha detto: no, cosa mi vuoi fare? Sei tu venuta a occupare il mio posto. Proprio ti obbligavano... Infatti la quinta elementare a scuola, era venuta una maestra che parlava croato, e ci ha detto: noi abbiam detto che non ci interessa il croato, e lei ha detto che dovevamo imparare il croato e noi non ascoltavamo. Ah si? E mi ha dato zero nella pagella. Quando son venuta alle Casermette che c'era la maestra le ho detto: guardi cosa mi ha dato? E lei: noi non conosciamo quella lingua, siamo in Italia, così come in Italia eri te, non mi interessa!. Ma a Fiume la maestra ci obbligava a parlare croato, proprio ci hanno obbligato. Perché era una dittatura propriamente; adesso si è appianata, anche perché tra sloveni e quelli cosa è stata, una battaglia! Perché un pezzo ce l'ha portato via la Slovenia - mare e montagna - l'altro pezzo la Croazia, dimmi te! I posti più belli ci han preso!"

16) Parliamo adesso della guerra. Se le chiedessi qual è il primo ricordo che le viene in mente, lei cosa risponderebbe?

R.:"Uh! A parte le distruzioni... A parte anche Casa Balilla. Che a Casa Balilla, mettevano i prigionieri, prima gli italiani - perché i tedeschi avevano requisito i partigiani - e poverini. Erano proprio di faccia a casa nostra, e tutte le donne della casa portavano da mangiare a sti poverini, che loro ti chiedevano un pezzetto di pane e glielo davi. Quando è finita la guerra, è stato capovolto, sono stati i tedeschi ad essere prigionieri, e anche loro ti chiedevano. Io dicevo a mia mamma: ma non portarci, che a lei le facevan pena lo stesso, [mentre] a me non facevan pena. Non so, forse ero piccola e non capivo. E infatti i tedeschi lavoravano in mezzo a tutte le macerie nella città; io mi ricordo quello. E invece i tedeschi non volevano che ci dessi da mangiare, e allora ci allontanavano: avevano le baionette e dicevano porci italiani. Perché non c'è mai stato un buon rapporto tra l'Italia e i tedeschi, eh! Lo si sa già. Che Mussolini per quanto abbia fatto bene, e abbia fatto tante cose buone, è tutto da eliminare, perché si è messo d'accordo con quell'altro epilettico, pazzo. Diciamo il vero, dai! E io mi ricordo i tedeschi. Nell'alloggio vicino a noi c'erano i tedeschi, noi stavamo al piano rialzato e dall'alloggio dicevano: giù, giù. Che noi avevamo il rifugio sotto la casa, e pensa che se crollava la casa noi restavamo sotto: c'era la casa, le cantine e il rifugio."

17) Fiume è stata bombardata moltissimo. Lei se li ricorda i bombardamenti?

R.:"Altro che! Una volta mentre tornavo da scuola...Uh!! Guarda, mi fa impressione sentire quelle sirene... Mia mamma era venuta a prendermi a scuola, perché era vicino a casa la scuola Gambieri, e correvo, correvo che son persino caduta. E abbiamo visto, poco lontano, scoppiare vicino alla fabbrica - delle fabbriche non so di cosa - una bomba. Noi ci siamo coricate per terra, piangevo e non volevo più alzarmi. Piangevo, avevo paura, mi son coperta così [il viso], e poco lontano si vedeva il buco - vedesse che roba, me lo ricordo ancora - eppure andavamo a scuola lo stesso. E poi si correva subito in rifugio, non andavi neanche in casa, sentivi tutto tremare. Guarda, è terrificante, non vorrei mai riprovare!"

18) Lei quindi vedeva anche gli aerei...

R.:"Porca miseria! Io dicevo a mia mamma: corri, corri, che arrivano gli aerei e buttan giù quelle cose nere! Non è che le vedevo cadere, perché non le buttavano lì, però si vedeva. Vedevo l'incendio vedevo, ma è una cosa terrificante! Ho visto proprio la malvagità delle persone. Anche quando erano prigionieri. I tedeschi con la baionetta e si vedeva che li picchiavano, che gli davano. Per esempio, io a scuola avevo un'amica ebrea. E una volta non l'abbiamo vista - era una bella bambina - e si vedeva la chiesa tutta incendiata degli ebrei, abbiam visto la retata. E io dicevo a mia mamma: cos'è quello, perché vanno a prendere tutti quelli? Lei non me lo diceva, poi ho saputo che erano gli ebrei. Andavano casa per casa, dove sapevano che c'erano ebrei - c'eran le spie - e poi li vedevi uscire con questa gente. Io quando non ho più visto la mia amica - non mi hanno detto dov'era, penso che l'hanno requisita - mi son messa a piangere. Mamma mia, vedere dei bambini che si aggrappavano alla mamma e i tedeschi proprio con una ferocia li tiravano. Guarda, me li sognavo di notte. Quando sono venuta a Torino mi svegliavo di soprassalto e mia mamma mi diceva no, siamo qua, è finita la guerra. Mi ha scioccato. Ho visto ste scene. Come ho visto picchiare i tedeschi, i tedeschi che picchiano gli italiani, e a sua volta dopo gli italiani quando han preso i tedeschi loro era uguale; guardi, la guerra è sempre uguale. Eppure, forse facevano pena anche gli altri."

19) Gli altri chi?

R.:"Anche quando vedevo i tedeschi che chiedevano da mangiare, io dicevo a mia mamma: non gli dare! Io dicevo a mio papà che era a Udine che la mamma era cattiva perché ha dato da mangiare ai tedeschi. Io già inconsciamente dicevo: no, i tedeschi sono cattivi, perché hanno fatto tanto del male anche alle mie compagne di scuola. Mi è restato impresso quello, che hanno portato [via] una bambina, poi da un'altra classe un'altra, proprio venivano là. Una volta è venuto un tedesco a scuola - non nella mia classe, era la quinta, penso - e ha detto il nome di una Rose Marie, non ricordo come si chiamava. E la maestra gli ha detto: veramente non ho capito cosa mi dice, e invece l'aveva capito - sapeva il tedesco più dell'italiano - e lui le ha fatto vedere un foglio, e lei ha dovuto accompagnarlo. E lui parlava metà tedesco e metà italiano: accompagnare, subito, raus! E lei è andata, e c'era fratello e sorella - quello l'ho visto, perché noi bambini eravamo curiosi, avevamo paura ma volevamo vedere- e lui ha preso questi due bambini, li ha tirati, son persino caduti e li ha portati via. E la maestra gli ha detto: no, lasciali, perché li dovete portare via? Chiudere porta! Ha dovuto chiudere e li ha trascinati via, e da allora non li ho mai più visti. Dunque, quello è inumano. Io non so se gli italiani erano così feroci, però non li ho mai visti. Guardi, son scene che si ripercuotono dentro di me. Io odio i tedeschi. Mia nipote: portami in Germania. No, io in Germania non ci andrò mai, te puoi andare [io non ci vado]!"

20) Sempre relativamente alla guerra, lei ha patito la fame?

R.:"No, non ho partito la fame, perché mio papà, che è andato via subito dopo, per quello... Perché, quando che c'erano i tedeschi, lui essendo della posta aveva conoscenze e andava anche in Croazia. Aveva un dottore e un ingegnere che lo aiutava: diceva la bambina non sta bene, e ci dava lo zucchero. A parte che andava a comprare anche a borsa nera, mia mamma andava a borsa nera! Aveva comprato del pane bianco, perché mi ricordo sempre che c'era del pane brutto, non come questo scuro, e non mi piaceva. E allora diceva [a mio padre]: Mario, sei andato dal tuo amico? Ma, non c'è, perché è andato a procurare in Kranjia che era dove sono sti contadini che stavano abbastanza bene, ed è andato a vedere. Se una volta metà agnello ha portato a casa: le ha pagato qualcosa - mio papà comunque lavorava prima ancora di andare via, finchè non son venuti i croati - e allora procurava [da mangiare]. E poi c'era una zio di mia mamma anche, che navigava, era comandante di una nave, e allora alle volte ci diceva: Nerina, vuoi del pesce, te l'ho portato. Perché con quello che ti davano non è che potevi... C'era la tessera, mia madre andava con la tessera: tanto pane e tante cose... E mi ricordo - c'era ancora mia sorella, che è morta a due anni, una volta non c'era tutte ste cure, è morta di tosse convulsa - che una volta [mia madre] ha portato del pane bianco - io sono ancora adesso patita del pane, forse perché ho patito, non avevo mai pane - e allora lo tagliava e diceva: questo pezzo lo do a te e a tua sorella e questo a papà. Poi lei è andata a comprare, non so dove è andata, e mia sorella mi fa: io ho fame. Allora mi sono alzata in piedi con la sedia - ero piccola - ne ho preso un pezzo e gliel'ho dato. Quante botte ho preso! E poi l'altro l'ho nascosto su, per dirti la fame, avevo fame di pane, io. Si, c'era roba, c'era dei giorni che non c'era però, c'era dei giorni che non avevi tanta roba, dico proprio il vero, eh! Mio papà non riusciva sempre a procurare [cibo], anche se aveva amicizie, era tanti anni che era alla posta. E quando è venuta [mia mamma], è andata dentro, e mi ha guardato: chi ha preso il pane? Solo io potevo, perché mia sorella era troppo piccola. Gliel'ho dato a mia sorella - perché io ero più per darlo - e a me sembrava che ne avevo lasciato tanto, invece... Mi ha dato tante di quelle botte, mi ha chiuso anche in bagno, me lo ricorderò sempre. E bene ti sta! [C'] era la fame, pativamo qualche giorno, ti dico il vero, però molto poco, perché mio papà si arrangiava. [La fame] l'ho patita più a Torino quando son venuta, ecco!"

21) Ma la borsa nera come funzionava? Si pagava con i soldi oppure scambiando con oro?

R.:"Io non ti so dire... Si, so che mia mamma aveva dei braccialetti e delle collanine, e andava dalle contadine. Mlekaritze si chiamavano, che venivano dalla montagna e ti portavano patate, roba... So che mia mamma è andata là: sa, mia dia un poco di questo... No, quanto mi dai? Così, c'era questo contratto. Loro venivano dal Montenegro, da su di là, e, diciamo, non erano proprio fiumane. Il latte, perché il latte lo facevano su e lo portavano, e contrattavano. Però non trovavi zucchero. Il caffè, brutto, cicoria, una cosa nera che mia mamma beveva e a me non me l'ha mai data, [era] schifosa. Però il latte per darlo a me, doveva faticare: non glielo volevano dare, lo portavano. E qualche volta pagava coi soldi, ma anche si è privata di braccialetti che aveva, di perle che erano state di sua mamma - di mia nonna - e così non aveva più niente di oro mia mamma. A parte la fede, che ha dovuto darla a quello stronzo di Mussolini che le scioglievano. E io sono andata con mia mamma: c'era un grosso affare così, e tutte le donne si toglievano la fede e la buttavano. Io ero piccola, e facevo a mia mamma: voglio vedere! E lei: stai zitta! E le ho detto, allora: perché hai dato l'anello, te lo ha dato papà! Perché bisogna darlo per la patria. Io non riuscivo a capire allora. E allora sono andata dalla maestra e le ho detto: senti, non ce l'hai neanche tu l'anello? No. Perché? Sei sposata? Si. E l'anello? Eh, ma l'ho dato alla patria, perché abbiamo bisogno di fare le munizioni per combattere la guerra, perché ci sono i nemici che ce l'hanno con noi. E poi sono andata da mia mamma a dirle quello che mi ha detto la maestra. E lei: ma perché te lo ha detto? Perché io ce l'ho chiesto, visto che te non me lo hai voluto dire! Ma perché dobbiamo dare la roba nostra a loro, sono loro che ci devono pensare. Poi la guerra è brutta mamma, andiamo via, andiamo lontano. Me la ricorderò sempre quella storia".

22) Perciò sua mamma per procurare il cibo si privava dell'oro.

R.:"Si, per forza. Quando mia papà riusciva a procurare con gli amici, ma non è che procurava dall'oggi al domani, eh! E quando ti davano la tessera, era poco tutto. So che mia mamma diceva che era poco: la carne quando la vedevi? Mai! Già a Torino , quando siam venuti, la vedevamo una volta o due all'anno!"

23) A Fiume, così come in Istria, il dopoguerra conosce un'appendice di violenza decisamente pesante. Mi riferisco alla foibe. Lei quando ne ha sentito parlare e in che termini, oppure non se ne sapeva nulla?

R.:"No, perché io son stata poco lì. Nel '45 sono entrati e io dopo pochi mesi, nel'46, sono andata via. Però a parte che so che han requisito le case di tutti che li mandavano a sbattere chissà in che posto, però vedevo che andavano, sentivo parlare - non che lo dicevano a me - han portato via mio figlio, han portato via mio marito, dicono che era per lavoro e che sono andati a Sussak. Ma veramente li portavano dentro quei boschi, dentro quella roba lì. Ma io non sapevo se erano foibe, io ho sentito mia mamma che diceva: ma guarda che li avranno ammazzati. Ma questo, parlando tra donne, sai come si parlava...Portavano via i ragazzi di quindici sedici anni, li requisivano, perché eran maschi. E chi si ribellava, dice che addirittura su, nelle colline dove era più nascosto, sfondavano la porta con il calcio del fucile. E quello lo so: han sfondato la porta. Questo me lo diceva zia Irma, che lei abitava in collina; non son andati da lei, combinazione, ma sono andati da altri e requisivano tutto quello che avevano di mangiare - che poi allora non c'era neanche tanto - requisivano tutto. Non so, gli piaceva un coso d'argento? Lo prendevano. Ti obbligavano a darci da mangiare e fargli da mangiare. Anche l'uomo, non poteva mica difenderla la moglie. Hanno trattato certi anziani, che non gli hanno fatto il saluto e che non li hanno rispettati,.. Col calcio del fucile gliene davano, lo hanno buttato per terra e ancora lo calpestavano con le scarpe. E certi son morti per questo, eh."

24) Torniamo per un attimo alle foibe [interruzione]

R.:"No, perché fino a che ero lì, si sapeva che portavano via sti uomini come sono entrati. Cioè, dall'oggi al domani non c'erano più. Ma tanti sono andati via, tantissimi. Però, poi noi siamo andati via, e allora quello... Mia zia, che è venuta a trovarci due volte a Torino, ci diceva a mia mamma qualcosa: sai l'han buttato in un buco, però io non è che ascoltavo, sai a una bambina non è che mi interessava tanto, mi interessava dopo. Li han portati via e non tornano più, quella povera donna ha cinque figli e non può vivere, gli han portato anche via la casa, ha dovuto andare non so dove, e che fine faranno? Mia zia diceva: li avran pure ammazzati e diceva che c'era una storia che aleggia su tutta Fiume, che non si sa dove son finiti. Ma io lo so, perché i croati sono perfidi. Perché li mandavano in galera, e dalla galera non uscivano più. Non so che fine avranno fatto. E le mogli, quando venivano, non li lasciavano vedere i congiunti, non lasciavano venire, anzi le trattavano male, le davano gli spintoni e le mandavano via, eh!"

25) E secondo lei, anche con la lucidità dettata dagli anni trascorsi, cosa stava alla base di queste violenze?

R.:"C'era ostilità con gli italiani, c'era quasi odio di loro con gli italiani. Proprio trattati male: perché prima gli interessava questa città . Per esempio sotto l'impero austro ungarico si stava bene, diceva mia zia Irma, che lei è campata cent'anni e ne ha viste di cose. Sotto l'Austria non ha tolto le chiese come han fatto quelli di Tito. Perché han bruciato le chiese, e quello proprio non bisognava farlo! La chiesa dove andavo io - Chiesa Cappuccini - c'è ancora, sono andata a rivederla. Preti hanno preso, suore; alle suore han combinato di tutto. Io [lo dico] per sentito dire: li sbattevano in prigione, perché loro non sono cattolici e hanno impedito di andare in chiesa. Che dovevano essere come loro: hanno incendiato e hanno fatto di tutto. Adesso, oramai, dopo sessant'anni, abbia pazienza, si va anche lì. Però si va con astio; io quando sento parlar croato, mi viene un nervoso!"

26) Parliamo ora dell'esodo. Lei cosa si ricorda?

R.:"Ah, io si! Io si, perché dopo che ha avuto il visto mia mamma siamo partiti."

27) Mi scusi, perché suo papà nel '45 era gia ad Udine?

R.:"Mio papà è stato a Udine, non veniva più a Fiume, naturalmente. Mia mamma andava a trovarlo. Subito [è andato via], perché l'han mandato via dal lavoro; come sono entrati i croati, gli han detto: o con noi, o via. E lui ha detto arrivederci. E poi il direttore italiano di Udine gi ha detto: signor [C.], venga su, venga ad Udine. Poi se voleva stare a Udine poteva stare, lo han fatto scegliere, o Udine, Roma o Torino. E' venuto col lavoro [a Torino], direttamente col trasferimento. Che un piemontese mi ha detto a me - e mia mamma mi ha picchiato perché gli ho risposto - : voi siete venuti a mangiare il pane nostro, la roba nostra, a portare via la roba nostra! Io ci ho detto: tu, brutta piemontese, che non capisci niente! Mio papà è venuto col lavoro, capito? Prova a dirlo un'altra volta! Voi siete ubriacone... Perché, ti dico un aneddoto. [Alle Casermette] c'era il camerone diviso con le tende - poi ci han messo il compensato - e allora madre e figlia bevevano, e una volta han rovesciato il vino ed è venuto fino da me. Ed io ero tremenda, e allora le dicevo: cosa è questo vino? Che madre e figlia traballavano... Io ero piccola, ma vedevo. Poi veniva il fidanzato di lei e dicevo: è venuto quel signore anziano con quella vecchia brutta. E mia madre diceva: ma cosa ti interessa a te, stai zitta! Io già immaginavo cos'era, ero ingenua perché non era come adesso. E allora le ho detto: tu, io e mia mamma non beviamo vino, tu bevi tanto di quel vino e poi l'hai rovesciato perché sei caduta sulla bottiglia ed è venuto tutto sotto da me. Stai zitta, ritorna a Fiume! Ma io ci andrei a Fiume, basta che non vedo te! Quando l'ha detto a mia mamma, mia mamma ha picchiato me e io le ho detto: perché ci deve dire che rubiamo il mangiare, non è vero, perché papà è stato trasferito, non son venuta a mangiare la roba sua! Con ragione, scusa: noi siamo esuli italiani venuti in Italia. Non che mi prendono come marocchina o come coso, mai! Quando mi dicono che son croata divento cattiva, guarda. Adesso, che mi conoscono, non me lo dicono più. Mi dispiace, ma se ero croata stavo là, perché avevo mare, montagna e stavo bene. Avevamo tutte industrie e non mi mancava niente. Qua, il Piemonte è bellissimo - io son già da sessant'anni in Piemonte - e mi piace il Piemonte perché son quasi nativa di qua, però non è detto che tu devi disprezzare me o dire delle cose".

28) Torniamo a parlare dell'esodo. Mi diceva che sua mamma ha ottenuto il visto e poi...

R.:"Poi abbiamo dovuto impacchettare la roba, e il direttore veniva sempre a bussare: signora [C.], quando va via lei? Non ancora, e mancava due giorni. L'ultima ora prima di andare via, mia mamma ha lasciato ancora le tendine della cucina, perché da lì si vedeva la finestra di dove lui provvisorio abitava. E lui diceva: questa non va via, e veniva sempre a bussare. E mia mamma diceva: questa casa me l'ha data la Posta, e io non ci vado via, sto ancora qui. Poi all'ultimo momento le ha tolte [le tendine] e siamo andati via. E mi ricordo che siamo andati al portone, di faccia c'era casa Balilla - perché Fiume è tutta a scalinata, su e giù come i cosi [i posti] di mare - e allora c'era una scalinata e noi dovevamo andare giù, e io piangevo, non volevo andare. E dicevo a mia mamma: andiamo a casa, andiamo da zia Irma a stare in villa. Non possiamo - diceva - papà ci aspetta a Udine. Io non volevo, e allora mi son girata - e questo me lo ricordo - e ho detto: ciao casa, io ti amo! Ho lasciato tutto lì, ho lasciato ancora un gioco, mamma torniamo indietro, e piangevo! E lei mi tirava e io avevo la mia borsa e non volevo; me lo ricordo ho pianto per tutta la strada fino alla stazione. Alla stazione dico: mamma, senti, torniamo indietro. Non possiamo, vedi che la roba... Perché, la roba, non abbiamo potuto portare tutto via."

29) Ecco, cosa siete riusciti a portare?

R.:"Abbiamo portato solo via la camera da letto, e basta. La cucina, la macchina da cucire, la radio, tutto è stato lì. Allora mia mamma per non lasciarli lì, li ha dati alle zie, però mia zia - anche lei - un anno dopo son venute via e così è andata persa. Era la macchina da cucire ancora di mia nonna. Ancora grazie che abbiamo portato la camera, qualcuno non ha portato niente. Io non mi ricordo mia mamma come ha fatto, si vede che sarà venuta a prenderla con un camion. So che poi alle Casermette è venuto un camion e ci ha riportato la roba. Avevamo proprio il nostro letto, l'armadio, la camera. E non ci hanno voluto dare più niente, solo la camera."

30) Lei è andata alla stazione, quindi l'ha fatto in treno il viaggio?

R.:"In treno da Fiume. Mio papà ci è però venuto incontro a Venezia. Siamo scesi a Venezia, e Venezia siamo andati due giorni in un campo profughi, e a Venezia - per la verità - mi ricordo solo quello. Io non volevo andare, per la verità in campo profughi, perché da un alloggio, andare [in un campo], un bambino si sciocca, dai! Da un bell'alloggio, sano, normale, tu devi andare lì! E io non volevo entrare, mio papà faticava. E poi da lì siamo andati a Trieste, perché mio papà aveva già avuto il trasferimento. Quando è venuto a prenderci, noi siamo andati direttamente poi a Torino, un viaggio lungo che non finiva più, sempre in treno. Siamo andati a Trieste, e anche a Trieste siamo stati qualche giorno in un campo profughi, era una scuola, siamo andati in una scuola perché siamo stati pochi giorni, non dovevamo stare tanto lì. E mi ricordo sta scuola, sti cameroni e tutti questi lettini e io, mamma mia, quanto ho fatto dannare i miei genitori! Non ci volevo [stare], volevo tornare a casa. E mio papà [mi diceva]: dai, vedrai che adesso andiamo a Torino, che Torino è una bella città. E noi avevamo un libro di Torino, mi piaceva, ogni tanto lo sfogliavo con mio papà a Fiume e gli dicevo: che bello, andiamo. Combinazione ci son venuta!"

31) Quindi lei ha fatto Fiume-Venezia, Venezia - Trieste [interruzione]

R.:"E Trieste - Torino."

32) Ed è partita quando?

R.:"Nell'ottobre del '46".

32) Della sua famiglia, sono partiti tutti?

R.:"Noi per primi, le zie di mia mamma - una lavorava alla Fabbrica Tabacchi a Fiume, un'altra aveva altre cose - son partite dopo. Un anno dopo. E due son venute a Torino, e un'altra invece è andata a Genova. Quella della Fabbrica Tabacchi a Torino, lavorava a Torino al Regio Parco. Io per trent'anni ho abitato lì [a Regio Parco], perché mio papà è morto dopo un anno, e mia mamma lavorava alla Ceat, non come impiegata ma come operaia, perché doveva per forza mantenermi. Io mangiavo il mangiare lì delle Casermette che non mi piaceva; mio fratello che era più piccolo gli davano invece il mangiare più buono, andavo a prenderglielo io. C'era le docce da andare... Certo , come ragazzina poi ti abitui là. Quando mio papà che io non volevo entrare...Quando sono arrivata a Torino, che ho visto sta caserme, io son scappata via, che mio papà è venuto a prendermi, ha dovuto prendermi in braccio per entrare dentro le Casermette. Quando poi ho visto che ci han dato quella specie di stanzone - intanto era già arrivata la nostra roba, l'avevano già fatta pervenire - io non volevo dormire. Ho fatto dannare mia mamma e mio papà tutto il tempo, non li ho fatti dormire, non volevo stare lì, perché per un bambino è forse più scioccante che per un grande."

33) Lei si ricorda com'era Fiume durante i giorni dell'esodo? Era una città che si svuotava?

R.:" Ah, ecco! Si svuotava ancora poco. A Fiume vedevo... Perché requisivano tutto. Non so se c'era anche le macchine, ma penso di si, le avevano. So che con la bici avevano dei pacchi grossi e li portavano, perché han dovuto lasciare lì tutto. Tanti han lasciato lì anche il mobilio, tutto, noi siamo ancora stati fortunati. E andavano con la bicicletta e la caricavano pure sul treno. Che una volta un croato ha sbattuto una bicicletta giù dal treno. Due ragazzi giovani erano con dei zii, perché il papà e la mamma erano già andati via, e sono andati in bicicletta con due borsoni con [dentro] la roba che han potuto prendere e sono arrivati al treno, lì dove c'era la stazione. Lì stavano le guardie, quelle dell'OZNA - disgraziati - che guardavano chi andava. E uno ha detto in croato - io non lo so - e ha preso le bici e così, gliele ha sbattute giù, che stavano già per salire nel treno ste bici, gliele ha sbattute via. Sti bambini a urlare e a piangere e lo zio fa: state zitti - avranno avuto undici o dodici anni - perché ancora vi fanno restare qua. Han dovuto stare zitti e sono andati via. Non ti facevano portare via tutto. E quando eri dentro il treno - prima di passar di Fiume e andare via - lo andavano pezzo per pezzo a visitare, a guardare le borse, a guardare tutto. Io non glielo faccio vedere apposta: avevo - non c'erano le bambole - avevo delle cosine piccole che mi aveva dato mia zia e le tenevo così [sotto la maglia], e uno mi fa: ueh! E io non volevo farle vedere e mia mamma mi diceva: ma dai, fagli vedere, guarda che poi ti devono mandare giù e non guardi papà. Allora si, perché se no non vedevo papà."

34) Ma quindi quando lei è partita Fiume non era ancora vuota...

R.:"Vuota no. Si vuotava già ma non era vuota. Le guardie erano dappertutto, ste guardie di Tito erano in tutte le parti della città. Erano, precisamente, verso la stazione, o quando ti vedevano con pacchi venivano lì e guardavano, ti dicevano di aprire la borsa. Mi ricordo che a mia mamma gliel'ha detto, ma già prima di partire, il giorno prima di partire. Che era andata a prendere, non so se da sua zia qualcosa, [le han detto]: apri! E lai doveva aprirla. Una volta le han tutto rovesciato, che la zia le aveva dato qualcosa, le aveva detto: prendi i biscotti per Fernanda, poi mi aveva dato anche un vestito, e tutto, le avevan buttato tutto per terra. E lei si è arrabbiata, le rispondeva, ma non poteva neanche tanto... E la zia le faceva: fai attenzione, perché tu non parti da qui. Era una dittatura."

35) Quando è partita lei aveva appena dieci anni, quindi ha seguito la sua famiglia senza poter prendere decisioni in merito. Ora le chiedo questo: secondo lei, perché la sua famiglia ha deciso si partire?

R.:"Perché? Perché non essendo croata, ed essendo che entrava sto Tito, una dittatura che ti proibiva di essere... Non eri più te, dovevi essere croato, dovevi ragionare come loro e fare la strada che dicevano loro. Mio papà l'aveva detto: mi son fiumano, son italiano e io con voi non voglio niente a che fare! Questa è una storia che dura da una vita, che volete entrare [a Fiume]. Siete entrati, siete riusciti? Bene! E mio papà diceva: qua rischiamo. Perché anche alla Posta lo tiranneggiavano per quel po' che è restato, poi l'hanno sbattuto via senza una lira in tasca. Poi è riuscito a recuperare a Udine dal direttore italiano. Essere italiani per loro era un odio, era un odio per gli italiani. E lo dicevano pure."

36) Cioè?

R.:"Zia Irma quando sono andata una volta a salutarla prima di andare via, che il croato ci ha detto cosa faceva e dove andava - lei era anziana, poverina - lei le ha risposto in croato, perché era l'unica che sapeva qualche parola. E poi le ho detto: zia, cosa ha detto quello lì? Ha detto che io che sono vecchia e te che sei una bambina, potremmo anche morire, che tanto non serviamo a stare qui a Fiume, che tanto i fiumani s'è gente stronza! Lei me lo ha detto così, quello che aveva scoperto che aveva detto lui."

37) La sua famiglia è dunque andata via perché si sentiva italiana...

R.:"Per sta tirannia, perché non si poteva. Mio papà non poteva stare senza lavoro, prima di tutto. E poi ci tiranneggiavano: volevano prendere il nostro alloggio, e dove andavamo? Mia mamma non lavorava, io ero piccola, come si faceva? Porci italiani ci hanno detto, scrivilo! Sai cosa facevano i ragazzi, i ragazzini più grandi? Quando hanno messo la foto di Tito, che dovevamo riverire in croato - io non so, perché non sapevo il croato - loro la strappavano e le guardie le correvano dietro. Ma le facevano correre, i ragazzi correvano, neh! Una volta erano sopra un tetto, e mente attaccavano quei manifesti, gli han tirato giù non so che cosa in testa - non so se acqua o che cosa - e non son riusciti a prenderli. Era proprio ste cose... I ragazzi poi son sfegatati a quell'età lì, sai tredici, quattordici anni, che dovevano andare via e non li lasciavano andare. Han strappato tutti i manifesti, e tanti sono finiti in galera. E dimmi se li han visti uscire? Gli stessi amici han detto: non l'ho mai più visto. Tirannia era. Un tiranno contro un popolo inerme. Che oramai il popolo aveva perso, perché devi tiranneggiarlo?"

38) Ora provo a ribaltarle la domanda. La gran parte della gente è andata via da Fiume, però c'è anche chi è rimasto. Secondo lei perché?

R.:"Guarda, è restato pochi. Più che altro, forse, molti anziani. Anche mia zia Irma, aveva ottantacinque anni e non è venuta, è poi venuta due volte a Torino a trovarci. Io abitavao a Torino a Regio Parco, che mia mamma aveva le case della Ceat, è venuta a trovarci mia mamma le dice: ma perché, Irma, non sei venuta? E lei: cosa vuoi che vado? Mi hanno fregato tutta la roba! Tutto l'oro che aveva le hanno fregato, perché era anziana e venivano dentro queste donne croate -schifosacce- andavano lì e dicevano ah questo mi piace, ah questo serve a me. E lei era inerme, non poteva far niente, ed è morta a più di novant'anni. E lei aveva una cugina che abitava a Trieste, che ogni tanto andava ad aiutarla che non le portassero via tutto. Quando poi lei è mancata, e la cugina ha dovuto andare via, mia zia aveva nascosto anche dell'oro a mia mamma, le diceva: vieni giù, anche a me diceva vieni, han preso tutto. Una volta si usava quei bauli - questa zia di mia mamma era di famiglia ricca - e fino il baule le han portato via, con tutta la roba. Ma non solo l'oro, anche l'argento, tutto, tutto. E sai cosa facevano a quelli che morivano? Tiravano via anche i denti d'oro. Facevano come facevano i tedeschi, se guardi bene. Guarda che li mandavano nelle foibe vivi, neh! Questo me l'ha detto il figlio - che è più vecchio di me - , che suo padre prima gli hanno fatto tirare via i denti d'oro o d'argento - non so, una volte però si mettevano i denti d'oro - e poi lo hanno requisito. Lui è riuscito a salvarsi perché? Perché mentre li han portati su queste foibe - adesso si chiamano foibe una volta non so come si chiamavano, era proprio un bosco e io ho visto passando col pullman com'è questo bosco - e ti legavano uno con l'altro, vivo-morto, vivo - morto, vivo - morto. Lui, combinazione, ha franato, è caduto giù prima che lo legassero, e non se ne sono accorti. E quando sono andati tutti via, lui con fatica - ma non so come ha fatto -, piano piano e senza denti - che non li aveva più - è riuscito ad andare, fino a che non ha trovato qualche contadino o qualcosa che lo hanno aiutato - ha detto che una volta lo ha aiutato anche un croato- , è riuscito e lo hanno salvato. E' stato un miracolo, perché se no li legavano vivi. Dice che il suo amico, vivo, urlava lasciatemi andare e lo hanno buttato lì dentro questo buco, e deve essere stato tremendo. Poi li legavano anche tanti con le catene alle braccia, tremendo. Dice che suo padre - adesso è morto - se lo sognava di notte e gridava."

39) Quindi, chi è rimasto secondo lei perché lo ha fatto?

R.:"Un po' perché era anziano e tanti perché forse pensavano di trovare il meglio là. Forse pensavano che i croati non erano come pensavano. Io una volta a Fiume mi sono bisticciata con una croata, anzi no, con una fiumana. Mi ha detto: siete andati via e sono venuti tutti i croati giù. Per forza, perché non dovevate lasciare la terra. E io ho detto: scusa eh, ma mio padre non aveva il lavoro, ci volevano mandare via dall'alloggio perché doveva entrare il direttore, mia mamma non aveva il lavoro e dove andavo? Ha detto no, io ho amici croati. E allora perché non sei andata in Croazia ad abitare? Ci ho litigato, che una mia amica mi ha tirato via. Di tutto le ho detto, di tutto! Ma come si fa? Voi vi siete abituati ai croati perché non vi è successo niente - le ho detto - perché né padre, né madre e nessuno ti ha portato via, ma se ti portavano via, non eri a dirmi questo, perché lo sai che non sono buoni i croati. Adesso sono passati gli anni, non c'è più Tito, ma sotto Tito, come stavi? Ah, lasciamo perdere. Lasciamo perdere? Per niente, mi vergogno d'esser fiumana quando incontro gente come ti! Non hanno fatto amicizia coi croati, quasi nessuno. Devono vivere, devono vivere, e per vivere ha dovuto parlare sempre e continuamente croato. Come la maestra a scuola, che ci diceva: dovete parlar croato, dovete parlar croato, e noi che eravamo in dieci che dovevamo andar via, ce ne fregava!"

40) Quindi come è il rapporto tra voi che siete andati via e chi invece e rimasto?

R.:"Perché quelli che sono lì sono abituati, quasi han preso l'andazzo di là. Perché vivono male eh! Quelli che hanno l'Associazione con noi il rapporto è bellissimo. A Fiume in via Roma hanno la sede in un palazzo bellissimo che è la sede dei fiumani, che son riusciti a tenere, e son tutti fiumani. C'è un buon rapporto, non si ragiona sempre tanto bene, però sempre ce l'hanno un po' coi croati, perché non può essere un rapporto idillico. Ci sono due mentalità differenti. Però adesso questi giovani croati, son meno strafottenti, anche loro cambiano. Perché? Perché vanno a Trieste, vanno in Italia, e non sono più quello che erano sessant'anni fa. Capisci perché c'è più d'accordo coi giovani? Però sempre cercano... Se tu parli italiano in un negozio, loro ti parlano in croato, e allora tu esci. Perché non ci parli in italiano? Noi ci siamo arrabbiati e non siamo mai più andati in quel negozio. Ci detestano, anche se è passato sessant'anni eh!"

41) E a Fiume cosa è cambiato, secondo lei, nel passaggio dall'Italia alla Jugoslavia?

R.:"Per Fiume è cambiato poco o niente. Tengono Fiume sporca, via Roma è bella, le case belle son restate, i monumenti son restati. I croati fanno qualcosa, ma non sono all'altezza. Non hanno la simmetria, neanche di architettura, hanno rovinato Fiume, tutti lo diciamo quando andiamo là. Che io per quarant'anni non son più andata eh! Sono andata una volta con mio marito -prima ancora che morisse - , e non sapevo il croato, e allora ho chiesto a uno -son stata stupida lì - e gli ho chiesto: scusi, sa dov'è via Segantini? Perché di strada italiane non c'è ne son più, rare son restate. E lui borbottava qualcosa, forse [c'] era ancora Tito quando sono andata, perché appena sono entrata dall'Italia ho visto quelli con la stella rossa e ho detto torniamo indietro, disgraziati, in galera vi farei andare! E il signore mi dice: dov'era questa via Segantini? E io: dov'era la casa Balilla. Non gliel'avessi mai detto! Mi ha guardato e gridando in croato è andato via, e mio marito ha detto: andiamo a finire dentro!".

42) Parliamo dell'arrivo in Italia. Lei mi ha detto che è stata in campo profughi. Mi racconta com'era la vita in campo?

R.:"Io son stata alle Casermette di Borgo San Paolo, per cinque anni. Ma guarda, lì c'era le crocerossine che ci aiutavano, le suore, e poi avevamo la sede dei giuliani che quando siamo venuti, sai dove c'è la Gran Madre a Torino? Lì c'era un castello di faccia, un giardino - non so cos'era - e ci ha fatto andare due volte là a giocare, e ci han dato da mangiare, ci han dato le magliette, i pantaloncini, han cercato di aiutarci. Poco, ma intanto ci hanno aiutato. E poi le Casermette, niente... Le Casermette andavi lì, c'era la mensa che ti davano la brodaglia e quello che c'era. Poverini, facevano quel che potevano, ero io che sono schizzinosa e non volevo mangiare. E al mio fratellino gli davano le cose buone. Fin che è stato vivo mio papà, che lavorava, però dopo... Per un anno c'era i soldi, si poteva mangiar bene, si poteva comprarci da vestire, e poi però lui è morto e cosa si faceva? Non è chi ti aiutavano tanto, mi han dato due o tre volte questi pacchettini e sta roba, e poi mia mamma ha dovuto andare a lavorare. E quindi io non è che mi sono subito trovata bene, eh! C'erano di tutte le nazionalità: tunisini, piemontesi - perché i piemontesi che avevano la casa rotta [sinistrata] andavano lì - tutti eravamo. Eh, insomma... Solo che io come bambina - c'era il campo sportivo, mi prestavano la bici - mi sono adattata, mia mamma non più, eh. E poi io andavo dalle suore, perché le suore ci davano il gelato, le gallette - dovevano essere quelle americane , sai quelle gallette grosse - e io andavo lì solo per quello! E andavo lì e poi ci facevano andare a messa. Poi io facevo teatro dalle suore - mi piaceva il teatro e anche qui all'Unitre faccio teatro - e per il resto mi sono trovata bene. Cinque anni! Poi mia mamma ha cominciato a lavorare, io poi - non c'era il pullman - andavo a piedi in via Cumiana a fare l'avviamento professionale dalle suore, me lo ricordo ancora. Poi ci han messo il pullman, e portavo il mio fratellino all'asilo dalle suore, allo stesso collegio dove andavo io. Lo sai dov'è via Cumiana? In borgo San Paolo. E ho fatto tutti i tre anni là. Poi ho cominciato la prima magistrale, e poi dopo non ho più voluto andare, perché avevo troppi impegni: dovevo guardare sto fratello, ero alle Casermette, mia mamma faceva i turni mattina e sera, e io andavo a comprare, pulivo quella specie di casa che avevamo, avevo tutte le incombenze e non avevo più voglia di studiare. Poi ho studiato privatamente, dopo. Io, alla fine, mi sono trovata abbastanza bene, poi abbiam preso le case della Ceat, in via Petrella, sai dov'è? Son stata tanti anni, che lì c'era poi sotto anche mia suocera, che ho sposato suo figlio. A Torino son stata tanto, trent'anni."

43) Può parlarmi di queste stanze delle Casermette?

R.:"Non erano stanze, era un camerone grosso. Sai un camerone grosso? Diviso. Pensa, noi avevamo metà finestra, e l'altra signora metà. Dato che erano due quelle lì che ho detto che erano due ubriacone - erano piemontesi - , un pezzo era stato dato a un'altra signora e al suo bambino che avevano un'ltra finestra. E i più fortunati avevano le stanzette. Poi quelle due piemontesi sono andate via ed è venuta un'altra signora, non di Tunisi, ma era sfollata a Tunisi ed era lì. Aveva due figli maschi e metà finestra. Mi ricordo perché io saltavo dalla finestra perchè mi picchiavo con suo figlio, sai, le solite cose da ragazzi! E io poi mi sono abituata lì. Poi c'era anche le vasche fuori da lavare la roba, o anche i gabinetti, tipo soldati. Una caserma dei soldati era. "

44) E queste camere erano divise una dall'altra?

R.:"Prima da coperte, poi ci han messo il compensato. Si, compensato tutto intorno, ma era come se fossi stati tutti in una stanza, perché sentivi, sentivi tutto. C'era il corridoio in mezzo che ti portava nei bagni, nel gabinetto. E a me faceva anche paura, da sola non volevo mai andare nel gabinetto. Perché una volta ci eravamo spaventate, mi ero spaventata con uno. Era di pomeriggio, mi ricordo. E lì ti dovevi andare a lavare, oramai ero ragazzina, avevo tredici anni. E mi lavavo le gambe, ed era sai, diviso: in metà c'era come un muro che erano i lavandini, e dall'altra parte...Era diviso di qua e di là. Come [se] fossi io qui che mi lavavo e cantavo: ho sentito una presenza dietro di me. Ho fatto un salto come l'ho visto, che non ti dico! Io ero ingenua, sono scappata dall'altra parte e ho urlato per tutto il padiglione. Son corsa da mia mamma che riposava perché aveva fatto il turno del mattino e l'ho svegliata. Da dove sei uscita, cosa è successo? E' andata dai carabinieri: possibile che mia figlia non può andare al gabinetto? Perché questo qui si era nascosto nel gabinetto e poi era scappato dalla finestra e poi l'han cercato. Ci son sempre state ste cose. Non volevo più stare in Casermette e ho detto a mia mamma, cerchiamo, volevo avere una casa. Poi han dovuto scrivere, far domanda alle case della Ceat, [ma] non ce la davano, perché [la] davano prima a quelli più numerosi. Andiamo [via], avevo proprio paura, non volevo [stare]. E il carabiniere chiede a mia mamma: quanti ha sua figlia? Tredici. Eh! E cosa poteva pensare! Ma lei non conosce mia figlia, è una bambina, ancora con la bambola gioca a momenti. Ed era vero, allora non era la gioventù di adesso. E allora poi siamo andati via, ci han dato l'alloggio e non vedevo l'ora."

45) Ma alle Casermette, c'erano delle strutture interne? Lei prima mi parlava della scuola...

R.:"La scuola, si. Io ho fatto fino alla quinta elementare lì, perché non l'ho fatta a Fiume. Poi c'era ste suore che ti raggruppavano, e poi andavamo da un prete che c'era una villa dei preti - che adesso non mi ricordo più dov'era - e ci portavano lì, ci davano il gelato o qualcosa, c'era il giardino, c'era il salice piangente. Le suore ci raggruppavano tutti lì. Poi i preti ci portavano a fare dei viaggi, se volevi andare. Non so, andiamo ad Asti col furgone. Io una volta non sono andata, che mi mamma non mi ha lasciata, perché per vestirmi presto ero caduta con la gamba dentro la bacinella, e non avevo un'altra calza e un'altra scarpa più, e allora mia mamma non mi lasciava andare. E combinazione quell'anno, quel pullman ha battuto e son morte tante mie amiche. Neanche apposta, che sono andata a finire nella bacinella; per prendere la roba che avevo nella cosa... Guarda, quella non era una casa, era un casino! Allora, per prendere -mia mamma non mi lasciava andare, ma io volevo andare lo stesso - son caduta e mi son bagnata le scarpe."

46) Parliamo ora dell'arrivo in Italia, e anche a Torino. Posso chiederle voi esuli come siete stati accolti?

R.:"No, ci ha accolto le crocerossine - parlo di Torino - . Si, ci han trattato bene, non era di quelle che comandavano, no erano abbastanza brave, anche i preti e le suore, per carità. E' il dopo che, frequentando, la gente ti guardava un po' così. Io non sono quelli che vengono e che scappano, io son venuta regolare qui. Chi non aveva lavoro... Non erano solo i piemontesi, ma anche tanti altri: siete venuti qui a rubare il pane e cosa, ma non sta bene dire quelle cose. Perché, se si sa la storia, noi avevamo tutto, avevamo industrie, avevamo tutto. E quelli non lo capivano questo qui. Perché mi sono arrabbiata con quella lì che quando mi dicono che sono croata - sei croata stai in Croazia - mamma mia, l'avrei picchiata! Non bisogna dire così! A parte che - io le ho detto - se andiamo a vedere, tutta l'Italia è imbastardita, ci son sempre stati stranieri dappertutto. Comunque... Mi hanno accolto abbastanza bene, discretamente. Ecco, diciamo discretamente. Ci hanno portati lì: qui è il pezzo che dovete stare. Prima quando c'era mio papà eravamo in un campo, poi quando è morto siamo andati in un altro padiglione, a seconda di com'era posto. Poi mio papà stava male, gli abbiamo chiesto se avevano una cameretta, ma no, la davano prima ai raccomandati, è sempre stato così. Io allora ero grandina, però niente da fare. Io però sono stata bene, forse più io che mia madre, perché stare tutto lì... Non è un alloggio, dai! Caserme così... Io quando passo col pullman che vado così giù di là all'IKEA, guardo sempre, che da una parte [il pullman] incrocia la via dove si va alle Casermette e dico: guarda un po' quanti anni! Però come ragazzina te la prendi bene, come adulti forse no. Da quando è morto mio papà io non me la son più presa, non avevo più nessuno che mi proteggeva, mia mamma lavorava e io ero sola con questo fratellino di un anno e mezzo e doveva andare a scuola, guardarlo, fare tutto in casa: la mia vita è stata sacrificata. A sedici anni son già stata fidanzata, a venti ero sposata, quindi ciao!"

47) Io come accoglienza intendevo anche il trattamento ricevuto dalla popolazione, dagli italiani in generale...

R.:"E' la popolazione che non si comportava bene. E' lo stesso come...Tu non puoi fare il paragone da noi che siamo italiani venuti in Italia - anche se lì non è più Italia, per forza - e mi dicono perché sei venuta? Per forza, una città di confine... Come qui finisce il Piemonte che lì c'è la Francia, e anche lì se vogliono conquistare... Come son venuti gli spagnoli, come a Napoli son venuti i Borboni... E' sempre stata conquistata l'Italia, no? Se io stavo in una città di confine è logico che per lucro, le popolazioni altrui cercano di afferrare quello che gli interessa."

48) Quindi non siete stati accolti bene?

R.:"No, no. Ci hanno sempre detto: voi, neanche italiani siete, e siete venuti qua in questa terra nostra, bellissima. E noi rispondevamo: la nostra era più bella, c'era anche il mare! Non ci hanno trattato mai bene, mai, mai. Venivamo a rubare il lavoro, poi qui il Piemonte era una cosa solo loro... Ma vaffanculo volevo dirci - scusa l'espressione - ma chi ti vuole rubare niente! Io penso per me. Poi fascisti... Non a me...Ma a un assessore qua a Torino che era anche lui alle Casermette, a lui glielo dicevano e lui si arrabbiava. Diceva: se son venuto qua... Se ero fascista, andavo in Germania, stavo con loro!"

49) Quindi ve lo dicevano...

R.:"Ma si che lo dicevano, si. A mio papà, quando lavorava alle Poste, diceva che certi glielo dicevano. Io non lavoravo, quindi non me lo potevano dire, ma me lo dicevano alle Casermette: ah, croata, tutti fascisti sono venuti qui a rovinare. E io una volte le ho detto: l'Italia era tutta fascista, perché se non eri fascista non trovavi lavoro né niente - l'ho detto a uno più grande - è inutile che mia mamma mi dica di star zitta, perché tanto lo dico lo stesso! E lui: non come a Fiume. Eh certo, Fiume... Ti leccheresti le dita se venissi a Fiume, come stavi bene! Anche le mie stesse compagne, ecco. Che io ero la più povera, forse, del collegio: mia mamma faceva i sacrifici a pagare la rata, per non lasciarmi andare a scuola pubblica - anche perché portavo il mio fratellino in asilo - e mi dicevano: cosa sei venuta a fare qui? Loro venivano con la macchina, l'aprivano. Perché il collegio costa eh! Poi le suore mi avevan fatto qualche agevolazione, non mi facevano pagare tutta la rata. Mia mamma non poteva. E loro mi dicevano: chi ti credi di essere? Noi abbiamo questo e quell'altro, ma io non rispondevo in collegio, per educazione. Beh, le dico, son venuta a portare via qualche cosa a te? Si, sei venuta a portare via i soldi a mio papà! Mio papà è direttore - non so di che banca mi aveva detto - e dice: guarda questi pezzenti che son venuti. E io le dico: guarda io pezzente... Avevo un bell'alloggio che adesso non ce l'ho ma lo avrò, avevo un padre e una madre, e avevo tutto, perché ero in una città. Io non vengo dalla montagna, da un cucuzzolo, come qualcuno. Le stesse bambine, diciamo, sentendo i genitori, si sono scioccate vedendo tutta questa popolazione. Che in tutto il mondo siamo andati a finire, alla fine. E io non parlavo, perché mi sentivo sottomessa, non lo so... Sapevo che non era casa mia, però doveva essere casa mia un domani. E allora ti senti male e dicevo a mia mamma: vedi cosa mi hanno detto mamma? Perché non siamo stati a Fiume? Perché non si poteva - mi diceva - non potevamo."

50) Lei è una donna, ed ora le chiedo questo. Nel corso dei miei lavori mi è capitato di sentire che le donne istriane, forse per il loro fare spigliato e aperto rispetto ai canoni delle donne italiane dell'epoca, venivano spesso scambiate, in maniera errata e dispregiativa, per donne dai facili costumi. A lei è mai capitato niente di simile?

R.:"E perché pensavano così? Io non ho mai sentito questo alle Casermette. No, sai cos'è... Io avevo la mamma di una mia amica, che era una bella signora. Noi siamo differenti. Perché ogni regione ha un determinato tipo. Noi venendo da lì - che molti diranno siamo un incrocio coi slavi e con tutti - si vede che magari non sembriamo neanche italiane. A me una volta, quando ero giovane, mi hanno addirittura preso per finlandese, perché ero rossa di capelli. Ma ero italiana, invece. E allora chissà, qualche uomo deficiente, allora forse attirava il tipo di persona. Vuol dire che siamo stranieri, per loro. Allora magari c'è l'uomo, e c'era quella donna quella più seria e quella meno seria - come il mondo è - che magari ci stava. Io faccio questo paragone, così. Capisci perché? Perché forse ti attrae la roba che non è nostrana. Pur essendo italiana... Però siamo differenti, forse, in una maniera, che non lo so."

51) Secondo lei, qui in Italia, gli italiani avevano idea del dramma che stavate vivendo?

R.:"La gente di qui? No. Non hanno capito: va beh, se è stata occupata, potevate star la. Senza pensare che ci hanno mandato via, senza pensare che...Non bisognerebbe parlare se non si sa la storia."

52) Lei arriva a Torino nel 1946. Che impatto le ha fatto la città appena arrivata?

R.:"Era più grande che Fiume, perché Fiume era un'altra cosa. Ma, come siamo entrati, niente... Ci han preso con dei... Sai che non mi ricordo come siamo andati in Casermette... No, no, ci ha portato qualcuno in un pulmino, erano quelli della nostra associazione a Torino, dei giuliani. Dunque io ho visto poco appena uscita, ho guardato la stazione un po' così, imbambolata. Quando sono entrata sulla soglia, che non volevo andare... Io non ero abituata a stare fuori città ero sempre stata in città... E vedere sto portone, poi una guardia e mi sono spaventata, non volevo entrare. Mio papà ha dovuto prendermi in braccio, io non volevo entrare, mi son buttata per terra! Mi ha fatto una brutta impressione che ho pianto tutta la sera. Poi dopo un anno o quasi, che ho cominciato le medie - perché la quinta l'ho fatta in Casermette - andavo a Torino, per forza. E lì, va beh, andava bene, ho fatto amicizia, andava tutto bene. A me mi piace Torino, mi è sempre piaciuta, per carità."

53) Prima mi ha parlato di case Ceat. Quando è andata ad abitare lì?

R.:"Dunque...Al '51."

54) Posso chiederle che effetto le ha fatto avere una casa?

R.:"Eh beh, dai, ero contenta! Avevo il mio bagno, avevo la mia camera, avevo tutto avevo! Mia mamma dove le aveva l'azienda le han dato la casa, e c'è n'era tanti lì delle nostre parti. Beh, all'inizio ero contenta: avevo la mia stanza, avevo il balcone, avevo il cortile, ho respirato. Anche se mi ero abituata lì; però non ci si può abituare, sembrava che stessimo tutti assieme, non avevi la tua intimità. Non è che sono... Gli zingari si abituerebbero, ma non noi."

55) Posso chiederle come passava il suo tempo libero. Non so, andava al cinema, a ballare...

R.:"No, non sono mai andata a ballare, io. Ascolta, son stata cinque anni alle Casermette, poi a quindici anni avevo già l'alloggio. Poi, niente. Mia mamma lavorava, io guardavo sto fratello e mia mamma con me era severa, non mi lasciava andare da qui a lì. Anche in cortile, quando si parlava con i ragazzini e così, mi sgridava: cosa fai? Poteva andare ad abitare nelle caverne! E allora, niente, dopo un anno, c'era anche mia suocera, che era sfollata alle Casermette anche lei. E io avevo fatto la quinta lì con il mio attuale marito che avevo, ma lui guardava le ragazze più grandi. Lui è tre anni più vecchio di me: io ne avevo dodici e lui ne aveva già quindici, e non guardava me, mi tirava solo le trecce, mi diceva pel di carota e io gli tiravo dietro le pietre. Una lite continua, e mia mamma mi correva dietro con la scopa! E poi quando son andata ad abitare in queste case, mia suocera che lavorava alla Ceat era amica di mia mamma, lei abitava al primo piano, e io al terzo. Mia suocera era separata: mio suocero abitava a Moncalieri col figlio, e lei teneva tutte le figlie. E allora il figlio veniva a trovare la madre e mi ha visto e dice: chi è quella rossa? Mi ricordo che una mia amica mi dice: vieni al cinema? Io andavo mai al cinema... Si , una volta son andata, alla Lancia, che c'era il cinema della Lancia e pregavo mia madre, le dicevo di lasciarmi andare, che avevo sempre sto mio fratello tra i piedi tutta la settimana, ma tientelo! Mi chiamava mamma mio fratello addirittura. Allora è venuto e gli han detto: quella è Fernanda. Ah, è Fernanda quella? E da allora non mi ha più lasciato. Io sedici anni avevo. Avevo ancora le calze corte, che mi fregava a me? Avevo un'altra mentalità, era un'altra cosa, non era come adesso."

56) Quindi suo marito era piemontese?
R.:"Si, però un momento. Lui è nato a Torino, ma i genitori sono pugliesi! Io dicevo: fuggi da Foggia, non per Foggia, ma per i foggiani. Lei è venuta a Torino piccola, però la mentalità... Non si è mai aggiornata, una mentalità che... Niente, niente."

57) Poi lei si è sposata...

R.:"Si, cinque anni di fidanzamento e quarant'anni di matrimonio."

58) Complimenti. Poi arriva a Carmagnola...

R.:"Si, un momento... Io sono arrivata perché mio marito, prima lavorava come capo alla Lancia."

59) La interrompo, mi scusi, perché invece lei faceva la maestra.

R.:"Puericultrice all'asilo nido, da zero a tre anni. La maestra per i bambini piccoli, da zero a tre anni. Ho pianto quando sono andata via di là, poi mi è venuta la bronchite asmatica. Diciotto anni ho fatto all'asilo nido, poi sono andata al Comune di Torino, in un ufficio, e ho finito lì. E oramai sono dieci anni che sono in pensione."

60) E qui a Carmagnola quando è venuta?

R.:"No, prima di abitare a Carmagnola, abitavo a Sommariva Bosco. Perché avevamo in gerenza un distributore di benzina e ho fatto la tavola fredda, poi hanno fatto l'autostrada e c'è stato meno affollamento. E poi guadagnavamo poco, perché non era nostro quello. Poi mio marito è andato a lavorare alla Lancia, e da Sommariva siamo venuti qui. Era...oddio, che anno... Più di trent'anni."

61) Le chiedo ancora un paio di cose. Gli istriani, i fiumani e i dalmati, penso siano radicati alle proprie radici. Lei cosa pensa di aver trasmesso in proposito ai suoi figli?

R.:"Oh, guardi, mio figlia non ne vuol sapere... Lei è tutta particolare, mia figlia. Invece mio figlio è condiscendente: io ogni anno a maggio vado a Fiume, anche se quest'anno non posso perché la finanziaria mi ha fregato! A mio figlio si, ne ho parlato, ma mia figlia no, non ne vuole sapere, forse perché con lei c'è più ripicca, lei è in una maniera e io in un'altra."

62) L'ultima domanda che le faccio è questa. Lei ha detto di ritornare spesso a Fiume. Ha nostalgia di Fiume?

R.:"Si, io ho nostalgia della mia terra. Io quando vedo il mare, io faccio una passeggiata a piedi da Laurana, che è dopo Abbazia, fino a quasi ad Abbazia. Non a Fiume, perché andiamo in pullman a Fiume. Io mi perdo quando andiamo lì, perché io ho conosciuto tutti i luoghi che non conoscevo quando ero lì. Ad esempio non ero mai stata al camposanto di Fiume, non ero mai stata in tanti posti. E i primi anni ho patito, perché l'ho vista brutta [Fiume], perché non mantengono; certo, ci va anche dei soldi a rimodernare e tutto, lasciano anche andare loro. Solo via Roma... Via Roma è bella: c'è i bar, c'è tutto. C'è delle vetrine dei negozi di vestiti che io non vedo neanche in Italia, e non so come fanno a comprare, non hanno i soldi! E allora ho cominciato a conoscere le persone, e adesso anche i giovani, che loro scherzano con noi. Però è cambiata, ed è andato [c'è andato] tanto per riabituarmi."

63) E lei quando torna cosa prova?

R.:"Ah, mi sento a casa mia, dai! Io, questa sarebbe casa mia, perché sono sessant'anni che son qua."

64) Quindi quando torna è contenta.

R.:"Io si. Giro a Fiume, anche da sola, però non mi trovo tanto perché non conosco il croato. Non posso andare in un bar che non capisci. Mi faccio capire, si, ma io non so, anche se c'è chi parla italiano, comunque. Però so che non è più casa mia. Cioè, io un domani tornasse Italia, non vado più lì, perché oramai il mio paese è questo, è questa la mia città. Oramai mi sento in parte piemontese, però c'è sempre un po' di nostalgia. Quello che per mio fratello non sarà mai, perché lui è nato a Torino. Lui è andato a Fiume, ma non se ne frega niente. Io invece vado, perché mi piace e mi sento ancora di andare. Io son fatta così."
05/11/2007;


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Miletto Enrico 02/07/2009
Pischedda Carlo 02/07/2009
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Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019