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CARTACEO: Intervista a Renato L.

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Intervista a Renato L.
Renato L. nasce a Parenzo nel 1936. Al termine della guerra assiste all'esodo dei suoi concittadini, ma decide di restare in Jugoslavia insieme alla sua famiglia che però nel 1958 decide di partire e di trasferirsi in Italia nel vicino Friuli. L'anno seguente anche Renato abbandona Parenzo e, dopo aver attraversato illegalmente e di nascosto il confine, raggiunge i propri cari. Nel 1960 si trasferisce a Torino con il fratello e dopo pochi mesi va ad abitare ad Alpignano, dove lavora prima come operaio in una fabbrica della zone e poi come autotrasportatore. E' stato intervistato il 17 ottobre 2007. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
"Io sono dell'Istria, di Parenzo, sono proprio di Parenzo."

1) Posso chiedere quando sei nato?

R.:"Sono nato il 24 novembre del 1936. Ho settantuno anni".

2) Mi puoi parlare della tua famiglia di origine?

R.:"Io sono sportivo, te lo dico così, nel breve. I miei nonni sono emigrati friulani, noi semo friulani. In Friuli che c'era emigrazione, insomma. Per motivi di lavoro, che in Friuli c'era scarsità. Io dico Friuli, insomma, Udine, che c'è sempre stata un'emigrazione, per anni. Era [una terra] povera, e hanno emigrato. Insomma, son venuti in Istria che era sotto l'Austria, tempi che fu, sono andati negli Stati Uniti, dappertutto, insomma il Friuli Venezia Giulia è un paese di emigrazione. E niente, i miei nonni son venuti in Istria, gli è piaciuto il mare e si son fermati al mare, in Istria. E io sono nato in Istria."

3) I tuoi genitori che lavoro facevano?

R.:"Mio padre, buonanima, era perito agrario, faceva il perito agrario. Però allora non c'erano i notai, qui e là, cosa che, e allora faceva anche testamenti, divideva i terreni, faceva quel lavoro lì. Tempi che fu, non c'erano neanche i soldi, ci davano la farina, e qualche cosa in cambio invece di Lire. Ci davano farina, un pezzo di lardo, patate e cose da mangiare, così! La storia era quella. Poi quando sono nato poi io era balordo. Era balordo in tempo di guerra!"

4) Parliamo subito della guerra, allora. Cosa ti ricordi di quel periodo?

R.:"Mi ricordo che c'era molta povertà. Tedeschi, fascisti, partigiani, croati... Cose non tanto piacevoli, e scarsità di mangiare. Scarsità, molta scarsità di mangiare, purtroppo. D'estate c'era la cosa che si andava in campagna a offrirsi e a fare dei lavoretti, fare delle cose, offrirsi ad andare con le mucche e le bestie fuori. Si portava addirittura i tacchini, in pascolo, i tacchini! Che t magari dici: questo qui viene da un altro pianeta! Però no, la vita, purtroppo era così! Era vita dura, veramente. Non c'era da mangiare, purtroppo. Perché, anche mio padre, si è salvato la vita nascondendosi di qua e di là. Perché lui era un prigioniero in Germania, ha fatto sette anni in Germania mio padre, dopo il '15-'18. Lo hanno portato prigioniero in Germania, e tanti sono stati portati via dall'Istria in Germania, prigionieri. Li caricavano sul treno e li portavano via. Comunque, lui ha fatto sette anni di prigionia. Allora io ero piccolino, avevo sette otto anni..."

5) Prima mi dicevi che durante la guerra c'era tanta fame...

R.:"Purtroppo si. Io mi ricordo che durante la guerra c'erano le tessere di Mussolini. C'erano le tessere: andavi lì, ti tagliavano il talloncino e ti davano un pezzettino di pane. Mi ricordo che mi mettevo anche in fila, perché era la guerra, e purtroppo era così. Era così la cosa."

6) Hai parlato di tedeschi e di partigiani. Che ricordi hai di queste figure?

R.:"Non è facile... Purtroppo eravamo sempre battuti di qua e di là. Noi si viveva in campagna, in campagna e in città, e vedevi sti soldati, ma chi capiva chi era e chi non era? Da ragazzino, a sette otto anni. Ho quei ricordi lì, diciamo."

7) Mi hai detto che sei nato nel 1936, per cui durante il fascismo eri molto piccolo...

R.:"Eh si, mi ricordo poco, mi ricordo solo qualche cosa."

8) Posso chiederti cosa?

R.:"Ma, la povertà! Sono sincero, mi ricordo la povertà. Non c'era da mangiare! Durante l'estate si andava a raccogliere le spighe in campagna per sopravvivere, per fare quattro cinque chili di grano, per sopravvivere. E come dico, andavamo ad aiutare i contadini che ci davano qualche cosa di farina, lardo, qualche pezzettino di cose per sopravvivere. Io andavo a scuola, e quando andavo a scuola si andava addirittura a raccogliere dei pini. Questo parlo del '46, che si andava a raccogliere i pini per la semenza, per prendere i semi, che poi li mettevamo nei forni e facevano i semi per piantare poi delle piantine. Poi i ragazzi, crescendo, il sabato e la domenica si doveva fare il volontario. Si andava nelle collinette - che l'Istria non è tanto pianeggiante - e si faceva le buche. Chi faceva le buche, chi metteva la piantina dentro, e si faceva così, il sabato e la domenica. Questo sotto Tito. E poi oltre quello, che in tempo di guerra hanno tanto demolito, c'erano i bombardamenti e i miei fratelli che erano più grandi di me hanno fatto i volontari: facevano le ferrovie, facevano i ponti. Per due mesi, senza pagamento. Io parlo 1946, 47, 48. Anche '49 e '50."

9) Ma era proprio volontario oppure si era in qualche modo costretti?

R.:"No, no, ti costringevano, perché venivano lì e ti dicevano: signor [L.], i figli suoi dove sono? Ma sono qui, sono là, sono in giro. E allora ti dicevano: sabato si devono presentare alla questura o in comune che dobbiamo fare dei lavori. Lavori... Li portavano a fare le ferrovie, per due mesi senza pagamento, senza niente. Per costruire quello che avevano bombardato gli inglesi, gli americani o non so chi. Li era un partito solo, passava la polizia, adesso non mi viene il nome...L'OZNA, passava nei bar e se trovavano i ragazzi giovani ti prendevano - ti dicevano vieni un po' qui - e ti portavano a pulire le macerie, a costruire, a pulire. Fare, fare! Non eri lì a giocare a biliardo o alle carte, purtroppo! E così han costruito parecchie cose, han fatto, però non eri lì a fare il vagabondo, Ma ancora oggi è così, ancora oggi hanno sempre quella mentalità lì. Vai lì e non è che vedi dei marocchini o delle facce nere, non le hanno, non le prendono mica!"

10) E delle bombe cosa ricordi?

R.:"Eh, le bombe... Delle bombe mi ricordo che scappavo nei rifugi. Si scappava per la maggior parte nelle pinete, che lì a Parenzo ci sono tanti pini. La maggior parte veniva al mattino, bombardavano al mattino. E allora noi che eravamo vicino si scappava nelle pinete; uno si metteva sotto i pini, così che eri nascosto. Bombardavano le navi che erano in porto: c'erano tre navi grosse a Parenzo, che portavano la terra in Germania; bauxite si chiama, bauxite. Una terra che poi portavano là in Germania ed estraevano fuori alluminio. Una terra che è molto ricca di alluminio, e al portavano in Germania e lì facevano alluminio".

11) Quindi Parenzo è stata bombardata parecchio...

R.:"Parecchio! Uh, mannaggia! Tutta la città storica vicino al mare. Ci sono ancora oggi palazzi diroccati."

12) Abbiamo parlato dei titini, di loro cosa ricordi?

R.:"Ricordo si, e per questo ce l'avevano anche con noi. E per quale motivo? Perché mio padre essendo prigioniero per tanti anni in Germania, quando veniva durante il giorno... Mio padre essendo perito agrario, si incontravano al bar o in piazza ed erano gelosi i titini, erano gelosi che parlava insieme ai tedeschi, che parlava tedesco come in italiano. Ma facendo tanti anni in Germania, certo... Parlava meglio in tedesco che in italiano, e loro erano gelosi e durante la notte son venuti prenderlo parecchie volte, ma non sono riusciti mai. E, la gelosia! Perché pensavano non si sa di chi o di che cosa parlava. Di loro, dei titini, e sai, quando non conosci una lingua dici: di cosa parla quella persona? Di noi, contro di noi? Oppure [pensavano] che gli dava delle informazioni. Eppure era uno che ha salvato tantissima gente, parlando in tedesco. Facevano un rastrellamento, i tedeschi, e lui [mio padre] diceva: no, questo qui è un povero contadino, lavora in campagna. Mentre i tedeschi pensavano che era un partigiano. No, questo è un contadino, disarmato. E ne ha salvati parecchi parlando in tedesco. E loro chi lo sa? Erano superstiziosi che parlava in tedesco, che parlava cose male. Sono dei brutti ricordi. Poi è finita la guerra, e si doveva andare a scuola. Io ho fatto la scuola italiana, in seconda classe, e dovevo andare a scuola croata, in prima. Mio padre diceva: ma non scherzare! E' già in seconda! Ero in seconda italiana, e dovevo andare a fare la prima in scuola croata. Che alla scuola croata si doveva studiare in cirillo [cirillico], come in Russia. In serbo! Ce l'avevano con noi che siamo nati sotto l'Italia, e tutt'ora ce l'hanno con noi. Adesso se vado lì, guai se gli dico che sono ex istriano, non ti danno retta, non ti danno retta! Non devi dire di che nazionalità sei. Sono italiano e bom, perché altrimenti noi siamo puniti. Non eri tanto ben visto. Perché l'Istria si trova sulla frontiera: la voleva l'Austria, poi Tito e siamo sempre stati bersagliati da tutti."

13) Posso chiederti com'erano i rapporti tra italiani e slavi. C'erano oppure ognuno si faceva la sua vita?

R.:"No, no. Eh no! Eh no che non ti facevi la tua vita. Al tempo dei titini dovevi seguire loro. Dovevi fare quello che ti dicevano loro. Prima era Mussolini che comandava, era come qui da noi. I rapporti [tra italiani e slavi] era sempre battibecco, come diciamo noi alla triestina. C'era battibecco sempre, c'erano due cose che si dividevano, sempre. C'era delle risse qui e là; insomma, ce l'avevano con noi, inutile. E fatto sta, come è finita la guerra? A furia di buttarli in foiba, così è finita".

14) Ne abbiamo parlato prima, seppure tra le righe. Mi riferisco alle appendici di violenza che colpiscono l'Istria, Fiume e la Dalmazia, meglio note con il termine foibe...

R.:"Quando tu butti il nemico, non fa più resistenza, è una cosa elementare. Ti impossessi dei territori. Punto."

15) E lì a Parenzo si sapeva delle foibe, ne avevate sentito parlare?

R.:"Certo, si sapeva. Troppo tardi vi siete svegliati!"

16) E come si capiva della loro esistenza?

R.:"Si capiva, perché durante il giorno c'erano i tedeschi e i fascisti che giravano qui a là, mentre di notte c'erano i partigiani, di notte. Quando non giravano gli altri, di notte, ti venivano a beccare a casa. Dicevano: andiamo a prendere [L.], perché per loro era una persona non affidata, perché, come dicevo prima, si incontrava e parlava sovente con i tedeschi in piazza, al bar, in città. Parlava in tedesco e loro erano gelosi. Che parlava male dei partigiani e cosa, e allora dicevano che quello lì era da eliminare. Io faccio il mio caso di famiglia, ma così han fatto anche nelle altre famiglie: se uno non riusciva a nascondersi lo beccavano e lo buttavano in foiba".

17) E suo padre come ha fatto a salvarsi?

R.:"Mio papà si è salvato perché erano anche amici e gli dicevano Felice, stai occhio, non stare a casa perché ti puoi trovare qualche sorpresa. Io ero piccolino, ma queste cose me le raccontava mia mamma. Le foibe sono sempre esistite, è un dono di natura, sono sempre esistite per togliere dai piedi. Ti buttavano lì. C'era i partigiani che ai fascisti e ai tedeschi gli facevano fare la fossa, poi li ammazzavano e poi li sotterravano. Addirittura, capisci?"

18) E secondo te chi e perché finiva in foiba?

R.:"Solo perché eri italiano, solo perché eri italiano. Se parlavi due lingue eri malvisto da loro, purtroppo. E loro la gente che non gli piaceva cercavano di smaltirla via, di farla sparire. Come ripeto, per questo hanno vinto, a furia di infoibarli si sono impossessati dei nostri territori. Ci sono filmini su questo, non è che l'ho sognato! Dicevi: ma dov'è Giovanni? Eh, Giovanni... Chi l'ha visto l'ha visto. Per dire... Di notte, ti bussavano alla porta: c'è Giovanni? Si. Bene, lo chiami un momentino giù. Se eri a casa, venivi giù, ti prendevano e sparivi. No durante il giorno, di notte."

19) Dopo la guerra comincia per gli italiani un'altra pagina triste, che è quella dell'esodo. Che ricordi hai tu di quei momenti?

R.:"Mamma mia, sono andati via tutti, nel 1948. Nel 1948 hanno messo le votazioni, perché a furia di spingere in Comune, si diceva voglio andare in Italia. E mio padre ha votato per l'Italia e allora per questo siamo stati mal visti dai titini, purtroppo. Ma non solo mio padre, anche gli altri, perché non ci piaceva il regime, è vero. Non ci piace il regime, inutile stare lì, volevamo venire in Italia e siamo venuti in Italia. Han fatto le votazioni: chi vuole rimanere rimane, chi non vuole rimanere gli diamo il passaporto e va via. Mio papà gli han dato il passaporto. Ma cosa è successo? E' successo che le votazioni sono venute nel 1948, ma loro ci interessavano i maschi, loro ci interessavano i maschi e allora han chiamato mio padre e niente, lo han chiamato in Comune e gli han detto: signor [L.], se vuole andare in Italia - e mio padre dice si - però ci diamo il passaporto [a] lei, la moglie e due figlie femmine. I figli no, noi eravamo cinque fratelli maschi, e due femmine. Sette. E allora dice la moglie e due figlie le lasciamo, i figli no, i maschi devono stare qui. Loro ci interessavano i maschi per aiutare alla ricostruzione, ci interessavano i maschi per la manodopera. E gli hanno dato il passaporto dopo dieci anni! Mio padre ha fatto l'opzione nel '48, ed è partito nel '58, appena gli è stato accordato di venire in Italia. Dopo dieci anni. A furia di fare domande su domande. Perché il Ministero d'Italia era a Zagabria, e mio padre ha fatto parecchie domande, anche per gli altri, perché lui era perito agrario e sapeva come si scriveva, come si dovevano fare. Faceva tutto, come un notaio oggi. Era conosciuto. A loro interessavano gli uomini che avevano i figli. A mio padre gli han dato anche un lavoro in Comune; è stato otto giorni e poi è andato via. E' andato via perché aveva della gente non competente, mio padre ha visto le cose e diceva: preferisco stare a casa che avere a che fare con gli scarponi!"

20) Lei è andato via nel 1958, ma mi sembra di aver capito dalle sue parole che la prima grande ondata di partenza avviene subito dopo la guerra...

R.:"Si, dal '48 in poi. Io mi ricordo che si imbarcavano, che dovevano lasciare tutto lì, prendevano la valigia e si imbarcavano sulla nave e andavano a Trieste. Attraversavano la frontiera, venivano in Italia e finiva lì. Non ti lasciavano mica portare mobili, materassi o cosa. Avevi la valigia con le tue cose intime e buonanotte al secchio, venivi a Trieste. E a Trieste c'era gente che era fino all'ultimo giorno coi titini, e hanno preso delle botte dalla gente. Han preso delle botte e qualcuno è andato a finire anche in mare, perché dice: fino a ieri eri coi titini e adesso sei venuto in Italia! Amici stessi, paesani stessi ti buttavano in mare. Sono brutti ricordi, perché dove sei nato, abbandoni la tua casa e, porca miseria, non sono cose piacevoli! Non sono cose piacevoli. Per finirla così, non che voglia fare un giallo, dico: sono a casa mia e dico devo andare via, abbandonarla e vado a Trieste. E dove vado? Campo profughi. Ecco, noi abbiamo fatto quella fine lì, eh! Ed era duro. Noi poi cinque fratelli, siamo scappati oltre la frontiera, con la fifa. Perché dovevi andare pian pianino, strisciare qui e là; attraversare la frontiera c'era fifa. Tanti nostri coscritti, giovani, anche famiglie, hanno perso la testa lì. Perché mettevano un filo, non un filo spinato, ma un filo [nascosto]. E tu non lo vedevi, lo agganciavi sulla frontiera, partiva un razzo in aria e le guardie si giravano verso lì e ti sparavano, ti spianavano!"

21) Quindi nel '48 Parenzo si svuota.

R.:"Si, cominciavano a venire. No, ma un momento. C'erano anche i titini, c'erano anche quelli che erano a favore. C'erano anche simpatie, cittadini italianissimi che si sono adeguati alla cosa. La maggior parte han fatto l'opzione, ma metà - anzi anche meno di metà - hanno accettato come era la legg.."

22) Abbiamo parlato dell'esodo e ora ti faccio una domanda. Secondo te, perché la gente se n'è andata?

R.:"Ma, come ho detto all'inizio se n'è andata perché non gli piaceva quel tipo di vita, non gli piaceva quel tipo di regime. Il partito comunista non gli piaceva. Noi, essendo nati sotto l'Italia - i nostri genitori, non io - c'era il papà che era il capo e dice: no, non mi piace questo tipo di vita. E poi, parlando chiaramente, abbiamo visto i risultati: li infoibavano quelli che erano italiani, li hanno infoibati tutti. Poi la paura... Chi si è salvato pace all'anima sua e si è salvato, e chi no è stato infoibato. La paura c'entrava per andare via, e certo! Perché i nostri genitori e quelli che siamo venuti via non gli piaceva quel regime lì. La storia è quella. Ma tutt'ora adesso: loro non vogliono avere affari con noi! Sono teste dure così! Ma se siamo amici di frontiera, per favore! Loro hanno paura che noi ritorniamo lì e che ci impossessiamo delle cose sue che hanno fatto e costruito. Certo, han costruito e han fatto, a furia di fare volontariato hanno costruito! E poi tutti i pescatori di Parenzo li ha fatti andare a Rovigno, e i suoi yacht si sono messi a Parenzo. Vai a Parenzo e sembra di essere a Monte Carlo!"

23) Ora ribalterei la domanda. Secondo te, chi è rimasto lì, perché lo ha fatto? Forse anche per motivi politici?

R.:"No, perché erano comunisti no. Pian pianino si sono adeguati. Dicevano: ma dove vado in giro per il mondo che ho casa mia qui. Io lavoro... Chi è morto, perché tanti come sempre dico sono morti infoibati. Quelli dell'età di mio padre son venuti via e si sono salvati la pelle, altri no e li hanno infoibati. I giovani invece hanno preso il sistema dei titini, si sono adeguati. Come dicevo prima, mio padre che era perito agrario faceva le domande, ha fatto la domanda a tantissima gente, perché dovevi fare la domanda per fare l'opzione, per prendere il passaporto. E allora lui ha avuto a che fare con tanta gente. Però, come dico, tanta gente ha rinunciato a venire, hanno preso il suo sistema di vita e si sono adattati. Ma tutti giovani. Hanno preso quell'idea lì. E tutt'ora sono ancora oggi là che vanno avanti, però hanno sempre quella testa lì. Sono sempre militari: c'è un partito solo, non è come qui in Italia che uno dice gira il vento e vado di qua, oppure vado là. Lì c'è un partito solo".

24) Tu hai vissuto a Parenzo fino al 1958, per cui hai vissuto in prima persona il passaggio dall'Italia alla Jugoslavia. Cosa cambia maggiormente secondo te?

R.:"Son brutti ricordi. Son brutti ricordi perché mio padre è venuto via nel '58, dopo dieci anni dall'opzione, io ero militare. Io ho finito militare nel 1959, ho fatto tre anni in Marina, sono entrato nel '56 e nel '59 sono uscito. Io avendo tutta la famiglia in Italia, avevo sempre nostalgia a venire in Italia, perché me lo aveva già imposto mio padre, da ragazzino. Diceva: non mi piace sto regime e vengo in Italia. La cosa è molto elementare: se non mi piace il regime, ci hanno dato la possibilità, o andare o restare. Ci hanno detto così nel 1948. E avevo sempre la nostalgia io. Io mi sono anche salvato, sono scappato via nel 1959. Però volevo scappare via quando avevo due anni di naja, attraversare la frontiera per mare. Io ho fatto il marinaio in Montenegro, vicino all'Albania, ho fatto lì due anni e mezzo. Ma una paura a scappare".

25) Scusa, torniamo un attimo sul passaggio da Italia a Jugoslavia che comporta per gli italiani l'essere soggetti a cambiamenti e a pressioni. Penso ad esempio al discorso della religione della chiesa che è solo un esempio per chiederti cosa ha voluto dire passare dall'Italia alla Jugoslavia.

R.:"Non avevi tutta la libertà di andare in chiesa. A Pola in chiesa hanno messo balle di fieno e paglia e mucche dentro, a Pola. Poi tutte le chiese, e allora è già tutto detto. Loro non volevano vedere. E poi quanti preti han fatto fuori! Poin qualcuno ha cambiato bandiera dicendo che era a favore loro, e uno si guardava la pelle. Anche i preti erano comunisti, però dicevano noi abbiamo la nostra religione, ma a quei tempi lì era così. Se tu non cambiavi l'idea o ti facevano fuori o se riuscivi a scappare scappavi."

26) Parliamo delle tue vicende familiari. La tua famiglia mi dicevi che è partita nel '58...

R.:"Nel '58, si, ed è venuta a Trieste. A Trieste è andato in campo profughi, sono stati quarantotto ore a San Sabba, dove c'era il campo di concentramento. Loro sono venuti tranquilli, insomma, l'Italia, era la cosa che si sognava sempre! E poi sono andati in campo profughi a Udine, che io ero ancora militare, perché sono venuto via nel '59 e mio papà era già a Udine nel campo degli istriani. Hanno fatto lì un anno e poi pian pianino siamo venuti via e ci hanno dato del terreno a Maniago, in provincia di Udine. Che Maniago è una piccola cittadella che fanno i coltelli, che adesso la chiamano il paese dei coltelli ed è in provincia di Pordenone. E ci hanno dato lì un podere di campagna da coltivare; siamo stati lì un anno e mezzo e poi siamo venuti via, perché non c'era tante cose... Mio padre era già anziano, noi fratelli avevamo altre idee, non volevamo andare via di là e coltivare la terra, e allora chi è andato via di qua e chi di là. Uno dei fratelli è andato a lavorare fuori in campagna, un altro è andato in Svizzera, un altro è andato a Roma. Siamo un pochino emigrati! Abbiamo lasciato il podere e siamo venuti a Torino che c'era richiesta di lavoro. Di tutti i fratelli non siamo andati a lavorare alla Fiat! Ma comunque eravamo una risorsa. Allora ci siamo sparsi. Ma siamo tutti morti, siamo rimasti solo io e le mie due sorelle. Una a Benevento che da maniaco è emigrata in Svizzera dove ha conosciuto questi ragazzo di Benevento e si sono sposati e adesso sono pensionati e vivono a Benevento. L'altra mia sorella vive a Condove. Ma ti dico una cosa: noi essendo nati sotto l'Italia avevamo quella cosa di venire in Italia, e loro ci guardavano con occhio storto, come si dice in istriano. Ti guardavano con occhio storto: dice [L.], dove vai in Italia? Che noi eravamo famiglia numerosa, eravamo in nove. Dicevano dove vai in Italia a mangiare scarafaggi? Dammi il passaporto che io vado a mangiare scarafaggi, te non ti preoccupare! Io vado in Italia a mangiare scarafaggi, ma che te ne frega a te! Dammi il passaporto! Ti scoraggiavano, ti facevano delle battute e delle frasi e se rispondevi male, ti mettevano anche in galera. Anche mio padre, quando c'erano le votazioni del '48 ha fatto due mesi di galera. E' venuto uno dei titini e dice: [L.], come mai non vai a votare? E mio padre: ma non è mica scaduto l'orario, non sono mica le otto. E l'altro gli ha detto: ah si, si, [L.] tanto non va a votare perché era fascista, portava la camicia nera. E mio padre gli ha detto: si, ma fino a ieri l'hai portata anche tu. Anche tu avevi la camicia nera. Ha preso due mesi di galera, perché l'ha offeso. Ed era vero, perché era ferroviere, lavorava a Trieste e loro la camicia nera ti costringevano, ti costringevano a prendere la tessera. Era così la costituzione. Se no non lavoravi. L'ha offeso e ha fatto due mesi di galera. Fortunatamente - perché lì c'è la galera che lavori, anche oggi - mio padre ha fatto la galera facendo il cuoco, è andato in galera facendo il cuoco. Si è salvato lì, facendo il mangiare. Dice: sono punito, però almeno sono in cucina e mangio ciò che voglio. Non c'era tanta scelta, [ma] patate e crauti non mancavano! Ha fatto due mesi di galera perché gli ha detto che fino a ieri portava la camicia nera. Mannaggia la zia!"

27) Mi hai detto che arrivi in Italia nel 1959. Puoi raccontarmi il tuo percorso?

R.:"Io sono scappato nel 1959. I miei fratelli fortunatamente sono ben scappati, mentre io ci ho impiegato quasi una settimana a scappare, perché io sapevo già in dove c'era la frontiera. Mi ha dato uno strappo un signore che è passato con la moto - madonna, mi ricordo ancora - ha alzato la mano, si è fermato e mi ha dato un giro fino a Capodistria. Mi ha detto dove vai? Vado a Capodistria. E va beh, vado a casa io. E allora mi ha portato a Capodistria. E dopo ho girovagato a sinistra e a destra, e avevo già un'indicazione più o meno di dov'era la frontiera a Capodistria. Allora mi sono inserito giù in campagna, ho girato per la campagna finché son riuscito a venire alla frontiera; la frontiera in campagna, sul confine. E lì ho attraversato il confine. E attraversando il confine, fortunatamente sapevo già i segreti che mi dicevano gli altri amici e le voci di papà di non inciampare su queste cose qui, perché la frontiera non era filo spinato, ma era questo filo che inciampi, parte il razzo e la guardia si gira e ti spara, e niente, son riuscito a scappare. Però passare la frontiera mi son detto: questa è la nostra patria, che sia quel che sia. Non vado a vivere in Russia eh! Poi son venuto in Italia e son venuti a pescarmi a Trieste i genitori. Io son venuto, ho telefonato al bar e dico papà sono a Trieste. Sono venuti a pescarmi e mi hanno portato a Udine che avevano già il podere a Maniago. Erano già sistemati loro. In Italia io non ho fatto campi, son venuto direttamente a Maniago da mio papà."

28) Ma i tuoi genitori del campo ti hanno mai raccontato qualche cosa? Non so, ad esempio di che tipo di vita facevano e cose così?

R.:"Ma, la vita nel campo... Fortunatamente mia sorella era già cresciuta, e loro lavoravano in cucina in campo, gli davano da mangiare. Ai profughi ti davano la stanza da dormire e da mangiare, si viveva finchè ci hanno dato questo podere, questo terreno. Nei campi erano in stanze divise, c'erano le pareti. C'erano le ex caserme dell'Austria e di Trieste italiana, e li han fatti lì sti campi. Avevano delle pareti, andavano a mangiare, in cucina e in mensa, come a militare. Gli davano da mangiare, finché sono riusciti a trovare i posti di lavoro dopo un anno, due e tre. C'erano due miei fratelli che sono andati a Latina in campo, ma adesso non so il nome preciso. Han fatto cinque, sei mesi o un anno, perché loro sono riusciti a scappare nel '58."

29) E non si sono ricongiunti con la famiglia?

R.:"No, perché non era posto adatto, non avevano spazio, ma tanto erano lì tranquilli come profughi!"

30) Parliamo ora dell'accoglienza che avete avuto in Italia. Come è stata?

R.:"Era un altro mondo! Siamo venuti in Italia e siamo stati tranquilli. Si, poi c'erano anche parole che volavano: adesso vengono qui i titini e ci portano via il lavoro. I triestini dicevano: adesso vengono i titini qua e ci portano via il lavoro. E i titini eravamo noi dell'Istria, è un dispregiativo, un disonore. Perché dice: vengono qui e perché non potevano stare lì? Si, c'era casino a Trieste. Io sentivo la voce, sentivo che i triestini non erano tanto contenti che arrivavamo lì. C'era a Trieste la paura che rubavamo il lavoro, purtroppo si. A Trieste c'è solo lavoro d'estate, al porto e sulle navi, durante l'inverno c'è poco lavoro, anche oggi. In estate si lavora in porto con le navi, non c'è tanto lavoro, e per questo anche noi, nel '60 siamo venuti a Torino, che c'era richiesta. Uno dei fratelli più vecchi è andato via nel '47. E' andato via da Pola. Si è imbarcato assieme ai militari americani ed è venuto a Trieste. Perché mio padre aveva una sorella che aveva un bar a Pola e lui si è imbarcato con gli americani quando si sono ritirati da Pola. Ed è venuto in Italia. Poi, siccome c'era richiesta di lavoro, l'hanno portato in Belgio. Mio fratello ha lavorato tanti anni in Belgio, in miniera. C'era richiesta in Germania, in Belgio, in Australia."

31) Quando arrivi a Torino?

R.:"A Torino io arrivo nel '60. Non l'ho neanche visitata, nemmeno il tempo di visitare Torino: sono arrivato la domenica e il lunedì sono andato subito a lavorare!"

32) E dove sei andato a lavorare?

R.:"Sono andato a lavorare alla Pistone Borgo, ad Alpignano. Una fabbrica che faceva pistoni per auto. Lavorava per la Fiat, per la Mondiale, per la Lancia. Faceva pistoni ed ultimamente, nel '65, eravamo 1.000 operai, come la Philips di Alpignano che c'erano 2.000 dipendenti".

33) Quindi tu hai vissuto sempre ad Alpignano?

R.:"Si, si, son venuto qui. Ho abitato un anno a Torino, poi son venuto ad Alpignano e mi sono fermato ad Alpignano. Poi, non mi piaceva lavorare in fabbrica e nel '70 ho fatto l'autista. Autista di camion, io dico pilota! Ho fatto sempre l'autista finché sono andato in pensione, da autista.
Nel 2000 sono andato in pensione, e sono contento così: non ho avuto incidenti, sono qua e sto parlando con te!".

34) Posso chiederti qual è stato il tuo primo impatto con Torino?

R.:"Torino...Quando sono venuto a Torino, Torino era la fine del mondo! Grande città, ma come ti ho detto prima non l'ho neanche visitata: son venuto domenica e il lunedì son andato subito a lavorare. E dico: ma come, non mi fate neanche visitare la città? Ero contentissimo io. Io abitavo dove c'è il dazio, dove c'era la Finanza dei camion, in via Giordano Bruno. Ho abitato lì, che c'era mio fratello più vecchio, che dal Belgio è venuto qui i Italia. Che si è sposato ed aveva una bambina. Dice basta della miniera, ed è venuto qui a Torino. Dice voi vi togliete via di lì che non vi piace lavorare la campagna e venite qui. Che io da giovane, proprio nella mia infanzia facevo il panettiere, nel '55, nel '54. Portavo il pane. I primi lavori, da giovane, sotto la Jugoslavia. Poi son venuto qui a Torino e sono andato subito a lavorare, non c'era problemi. Poi mi sono sistemato qui ad Alpignano, con un altro fratello che è mancato, mentre l'altro è mancato a Maniago. E anche con l'altro fratello che è mancato si lavorava alla Pistone Borgo."

35) Posso chiederti come passavi il tuo tempo libero?

R.:"I miei tempi liberi li passavo sempre con gli amici: veneti, anche meridionali, senza offese, siamo italiani... Andavamo in giro, dappertutto! Le avventure dei giovani: a ballare a Rivoli, in città a Torino, al cinema. [Andavamo a ballare] all'Edera, al Carnino, che adesso hanno cambiato tanti nomi, poi anche nei sottoscala. Quasi tutti le domeniche lì al bar c'era qualche stanza libera e ci divertivamo così. Abbiam fatto qualche conoscenza, poi crescendo qualcuno si è sposato altri sono single come me. Ma io sono contento della mia vita, ho fatto l'autista e mi passava."

36) Quindi avevi rapporti oltre che con i piemontesi anche con i veneti e gli immigrati del sud Italia?

R.:"Io sono sempre stato sportivo, dico sinceramente. Sempre sono stato amico di tutti, io sono un tipo così. Io sono del sagittario e sono amico di tutti. Io passo sopra, dico sempre: ma perché devi crearti dei problemi, fregatene!"

37) Ti chiedo ancora questo. Tu sei ritornato qualche volta a Parenzo oppure è tanto che non ci vai?

R.:"Sono sincero: io sono andato nel '99, ed era la prima volta che tornavo, perché ci voleva il passaporto, qui e là. Io però ho visto che non ha cambiato nulla, come tipo di regime e di cose. Non puoi mettere la macchina qui, non puoi metterla lì, pagamenti qui, pagamenti là. Poi non devi farti conoscere, non devi farti vedere che sei cittadino italiani. Italiani siamo malvisti lì da loro, lo dico sinceramente. Poi se sanno che siamo di lì... Perché mia sorella è andata lì, e ha chiesto: ma, possiamo comprare una casa? E' andata all'immobiliare -che lì è tutta roba statale, non è roba privata - e dice: si, si può comprare. Ma da dove viene lei? Dall'Italia, sono italiana. E dove è nata? Sono nata a Parenzo. Non può comprare, è nata a Parenzo, non può comprare."

38) Come sono i rapporti con chi è rimasto in Istria?

R.:"Ma sono buoni rapporti! Io lì ho dei parenti, ho i cugini a Parenzo. E i rapporti sono buonissimi. Anche loro avevano intenzione di venire, poi hanno cambiato idea: essendo giovani, mio zio, fratello di mio padre è mancato, e loro hanno preso le sue idee. Io ho un cugino che dice: Renato, parla sotto voce, perché non voglio che qualcuno mi spia che parlo l'italiano, che è uno che lavora in banca, un perito. Ancora oggi non possono alzare la voce, essere liberi, esprimersi nella sua lingua. Quando vedevano una macchina italiana in una casa privata... Se la mettevi in un parcheggio va beh, sei turista, ma in una casa privata! Credevano che eri una spia, erano maliziosi, [gli italiani] sono ancora oggi malguardati. Non è cambiato nulla, non ha cambiato nulla."

39) Tu ora hai nostalgia dell'Istria?

R.:"Di Parenzo? Si, ho nostalgia, però dico subito che ho buttato una pietra in acqua e basta, sto dimenticando tutto. Perché è inutile fare resistenza, mangiarsi il fegato a dire vorrei tornare lì. Non c'è modo di tornare lì, non c'è più modo. Non siamo accolti bene, ancora oggi ce l'hanno con gli italiani. Oltre che con gli italiani, ma noi che siamo nati lì in Istria...Devono lasciare i nostri beni. Noi dobbiamo ancora prendere i beni abbandonati: avevamo due case. Sono sincero, qualche cosa ci hanno pagato, ma proprio delle cose minime. Purtroppo! Non so, c'è lo stato italiano, o se li è mangiati lui, oppure... Non ci vengono incontro! Sul terreno di mio papà, hanno costruito dieci ville. Sul terreno nostro, dieci ville! E son tutti croati lì. Vengo io e dico: ma sapete signori che questo qui era il terreno mio padre? Ti sparano ancora oggi. Non devi fare resistenza, non devi fare niente, c'hanno sempre quel sistema lì. Sono addestrati, non ci guardano bene a noi italiani, soprattutto a noi che siamo nati lì. [Con noi] ce l'hanno peggio, non ti danno retta. Se fai uno sgarro sei punito, ti mettono anche in galera. Se fai qualche discorso, così, ad offendere qualcuno, fare qualche parola, ti portano in galera!"

40) Posso chiederti cosa hai provato quando sei tornato?

R.:"Come ho detto anche all'inizio, noi abbiamo avuto la cosa di venire in Italia, niente da fare. Io sono come mio padre: mi piace l'Italia, son nato sotto l'Italia e voglio venire in Italia. E sono venuto in Italia. Io son venuto in Italia e sono contento, mi sembrava di aver trovato il mio territorio normale e sono contento così. Io ritornare indietro, non torno indietro! Torno indietro se spostano le frontiere che comanda l'Italia, andrei subito e direi questa è casa mia mio caro, l'ha comprata mio padre e smamma! Farei anche io un po' il tedesco, un po' regime militare. E' così. E invece non spostano le frontiere, e allora che stanno pure lì, che se la fanno a modo suo che io cerco di dimenticare. Oramai sono più di là che di qua ma non mi piacciono, perché sono sempre titini. Titini, titini, titini."
17/10/2007;


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Miletto Enrico 17/07/2009
Pischedda Carlo 17/07/2009
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Come citare questa fonte. Intervista a Renato L.  in Archivio Istoreto, fondo Miletto Enrico [IT-C00-FD9362]
Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019