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CARTACEO: Intervista a Walter

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Intervista a Walter
Nasce a Zara nel 1931. E' testimone diretto dei cinquantaquattro bombardamenti alleati che tra il 2 novembre del 1943 e il 31 ottobre del 1944 si abbattono sulla città dalmata, che abbandona con il padre e i fratelli nel 194 per dirigersi in Italia. Arrivato a Trieste, dopo una breve sosta a Fiume, è indirizzato al Silos e da qui al centro di smistamento di Udine da dove poi, nell'agosto del 1947, si dirige alla Caserma Passalacqua di Tortona. Da Tortona si trasferisce a Torino, dove vive tutt'ora. E' stato intervistato il 15 novembre 2005. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
"Mi chiamo Walter, il cognome non lo dico, e sono nato a Zara l'1 novembre del 1931."

1) Mi parli della sua famiglia di origine...

R.:"Mio papà è oriundo piemontese ed è venuto a Zara nel 1930 facendo il militare nei bersaglieri. A diciannove - vent'anni ha sposato una dalmata mia madre, [G.], classico cognome croato perchè g. vuol dire bevi l'acqua, godopia letteralmente tradotto vuol dire bevi acqua. Siamo nati noi, io e due sorelle più piccole e siamo stati lì bene, perché mio padre finito il militare ha aperto un'attività di decoratore. Siamo stati bene fino al 1943, quando è cominciata la disgraziata guerra e il bombardamento della città di Zara."

2) Senta, lei riesce a descrivermi la cucina della sua casa a Zara?

R.:"Si, mi ricordo che era la classica cucina con lo spaher in muratura. Noi abitavamo in una casa in affitto da un croato e noi si conviveva con questi croati, perché nel censimento del 1941, su 22-23.000 abitanti, c'erano 700-80 croati e si andava di amore e d'accordo. E noi avevamo in affitto un all'oggetto, che non c'era il riscaldamento, anche perché in città come Zara non c'era molto freddo, subiva un po' la temperatura della bora che arrivava anche a zara. Noi ci riscaldavamo con una stufa a centro casa a legna e cucinare si cucinava su questo spaher a legno o a carbone in muratura, come le classiche cucine economiche con tre o quattro fuochi."

3) Come conservava il cibo?

R.:"Noi non avevamo il frigo, questo me lo ricordo bene. Mi ricordo che però portavano di volta in volta in casa delle stanghe di ghiaccio. C' era proprio la fabbrica di ghiaccio e passava uno con un carretto a vendere una stecca, mezza stecca e allora lo mettevamo in uno scomparto tipo frigo ma con il ghiaccio sopra. Se no cosa si faceva, avevamo in città tantissimi negozi e si comperava quasi giornalmente tutto, perché tutti i giorni la mamma, la zia andava a far la spesa: andavi a comperare il pane tutti i giorni, il concentrato di pomodoro che adesso chiamiamo conserva e il pesce tutti i giorni in pescheria. Perché la città è una cittadina senza orti e senza niente, e allora la verdura, la frutta, il pesce e l carne ce la portavano tutti i croati, i serbi o i morlacchi che venivano dall'interno. E noi eravamo la loro salvezza, perché noi mangiavamo perché ce lo davano loro, ma loro vivevano perché c'eravamo noi. Ecco perché si andava d'accordo. Tutte le mattine da noi passava la mlekariza, quella che vendeva il latte. Mungevano il latte e lo portavano sulla testa in quei secchi di alluminio che ci sono ancora adesso, e ci portavano il latte. Oltre al latte vendevano anche il sabbioncino: per pulire le pentole sporche dal fumo della legna loro portavano dalle isole della sabbia finissima che la donna di casa con lo straccio sgrassava e puliva le pentole. Poi portavano anche la legna ora che mi ricordo. Avevamo tutto dai contadini o dai pescatori. E perciò noi eravamo tutte le mattine in piazza, che a Zara ci sono tre piazze e li c'erano i mercati, perché tutti i giorni si faceva la spesa, ed ecco perché non si conservava tanto, era fresco tutti i giorni. "

4) Quali erano i piatti tipici che si mangiavano a Zara?

R.:"La pasta asciutta poco probabilmente. Li si facevan tanti minestroni di verdura e poi si mangiava pesce, il famoso brodetto, le sardelle fritte e poi, dipende dalla stagione, agnello. L'agnello a Zara quando c'era una festa si mangiava, più che tacchino, pollame eccetera, agnello. Il piatto per eccellenza, quando invitavi a mangiare qualcuno era l'agnello. Invece il primo c'era sempre riso e bisi, riso e piselli. E poi tanti piatti prettamente poveri: polenta, anche se non tanta, e poi la panadella con il pane vecchio, che è una specie di zuppa di pane con olio e aglio. "

5) Senta, ma ogni piatto era legato a un particolare momento dell'anno?

R.:"Si, si. Agnello per pasqua, a natale il pesce come il brodetto o gli scampi alla busera, o lo spezzatino, perché carne c'era, la portavano, perché noi ricevevamo tutto dai dintorni della città. La fortuna negli anni miei era che Mussolini già allora per mantenere questa cittadina come esempio dall'altra parte, noi eravamo porto franco che significava che il governo ci rimetteva con noi pur di farci fare bella figura, perché lui voleva tenere bene noi per far vedere a quelli che venivano da fuori che ci teneva. E là costava tutto meno, le sigarette in particolare. Una piccola cittadina come Zara, aveva 3-4 fabbriche di tabacco, perché arrivava dalla Grecia, dalla Turchia e dall'Albania il tabacco e lo lavoravano a Zara. Difatti la maggior parte delle nostra donne che lavoravano, lavoravano tutte in fabbrica tabacchi. C'erano due fabbriche statali e due o tre private, e per quello davano lavoro alle donne. Non c'era turismo, noi si viveva di quel che si faceva."
6) Senta, ma c'erano anche dei dolci tipici?

R.:"Si, c'erano le frittole, le frittelle e a pasqua le pinze e si andava a fare gli auguri alle famiglie, noi bambini, e si prendeva la mancia. La pinza si impastava in casa, erano le donne che sapeva no le dosi esatte e poi si andava a portare al forno dal fornaio e bisognava anzi prenotare per cuocere, questo me lo ricordo. Ah, e poi c'era le palacinke. Mia moglie, io adesso ho tre nipoti, quando vengono dicono sempre nonna ci fai le palacinke, che sono le crepes come le chiamiamo adesso noi. E in genere ci si metteva solo marmellata, ma adesso le fanno alla francese."

7) Senta le ricette zaratine lei continua a farle, e dove le ha imparate?

R.:"Fin che ho lavorato non cucinavo, ho fatto trentotto anni in banca e non avevo tempo. Poi da quando sono in pensione, sono quindici anni, mi dedico alla cucina, mi piace da morire cucinare specialmente le cose nostre, cerco i libri delle nostre parti e cerco di farli. Ad esempio faccio i rambasici, che sono dei capuzi, delle verze ripiene di carne. Quando uno voleva fare una bella figura, ancora adesso tra di noi, dice vieni a casa da me che ti faccio i rambasici, che sono degli involtini di verdure con sugo particolare. Poi si fa l'agnello arrosto, la classica pasta e fagioli e la panadella con pane fermo vecchio, aglio e olio per recuperare tutto, riso e bisi e i classici minestroni. La pasta asciutta io non me la ricordo, non era usanza nostra, poca pasta asciutta."

8) Lei sa meglio di me che Zara come Fiume e l'Istria è un posto di confine. Dal punto di vista del cibo c'è stata una sorta di contaminazione?

R.:"Senz'altro. Ad esempio noi la carne cruda non la mangiavamo, solo in Piemonte l'ho trovata, però per cucinare l'agnello o il pollo alla zingaresca, come lo chiamano loro, abbiamo imparato da loro perché si usava tantissimo gli uomini che stavano bene alla domenica o durante le feste, andare nei paesi e si mangiava il mangiare croato, perché pochi chilometri dalla città, c'era il confine e c'era un'altra vita lì, nel 1941-1942. Noi avevamo il confine a pochi chilometri e gli uomini andavano al di là del confine a bere il vino buono, a mangiare le patate e il pane cucinato sotto la pecca, che mio padre andava matto. E' una specie di come usavano in Sardegna, e fanno anche il pollo. Durante i bombardamenti del 1943 che eravamo sfollati a Nona, era una golosità di mangiare cucinando sotto la pecca. Cos'era? Nelle cucine basse in genere i contadini, con il fuoco acceso in terra, fuoco di legna, quando era caldo pulivano, mettevano l'impasto del pane, lo coprivano con una specie di campana di terra cotta, coprivano il pane e le patate, coprivano tutto con il fuoco, lo cucinavano e si cucinava sotto la pecca. E questa era proprio una specialità, che io poi l'ho ritrovata andando in Sardegna, che loro fanno il buco col mattone e mettono il maialino, lo coprono e lo cucinano. Diciamo che c'era una trasmissione nel cibo, anche loro venivamo a mangiare da noi magari qualcosa di più fine. C'era una convivenza, un affiatamento, che poi la guerra l'ha distrutto e loro l'hanno fatto con uno scopo, distruggere l'italianità, la venezianità e la romanità della città, con uno scopo: Tito, pulizia etnica. Anche perché noi con il croato, il greco, il serbo si conviveva, perché loro hanno lingua e religione diversa, il serbo è ortodosso, il croato è cattolico, l'altro è musulmano, perciò...Allora non lo capivo, ma adesso lo vedo e la realtà ce lo dimostra che scoppiano queste guerre per la religione. E' questo il punto, mentre noi si conviveva, non c'era motivo e si stava bene."

9) A Zara c'erano le osterie?

R.:"Si, ogni calle aveva la sua osteria, e vendevano il vino. L'osteria classica, anzi non c'era i bar, cioè c'era uno o due caffè di raduno per i signorotti o le signorine, dove andavano le donne, ma il resto che ancora adesso a Zara la chiamano le gostiona, e ci sono le osterie, dove vendono il vino a bicchiere. E l'osteria era un luogo maschile e adulto, non c'era come adesso il giovane che va al bar e beve qualcosa. Lì si andava per bere vino, l'uomo. E poi si giocava a carte. Ma l'osteria vendeva si il vino al dettaglio al bicchiere, ma vendeva anche il vino alle famiglie: io mi ricordo che mio padre mi diceva, vai giù a prendere il vino e portavo il vino a casa, perché ripeto la spesa era giornaliera, dalla carne, al pesce, al vino. Dovevi comperare quello che consumavi."

10) E la birra si beveva?

R.:"Poco, poco. C'era il liquore, perché oltre alle tre-quattro fabbriche di tabacchi, avevamo tre quattro fabbriche di liquori, mondiali: il maraschino di Lussardo, l'amaro Zara della Vlahov e della Orioli. C'erano tre quattro fabbriche mondiali, che ancora adesso sono vive, gli eredi hanno cercato di portarla ancora avanti. Loro la chiamano Marasca, il maraschino, ma è proprio roba del 1821 nata a Zara dalla famiglia Lussardo."

11) Lei si ricorda qualche mercato?

R.:"Si, piazza delle erbe. In piazza delle Erbe, anche se poi c'erano i vari mercati quando c'era il patrono, come non so, la festa di San Simeone, e allora aprivano un mercato nel rione di san Simeone che si andava tutti là. Il mercato di Piazza delle Erbe era giornaliero, invece la fiera di san Simeone oppure quanto c'era la fiera di Sant'Anastasio patrono di Zara, c'era i mercatini."

12) Lei che ricordi ha del fascismo?

R.:"Allora, a parte il lavaggio del cervello che facevano ai ragazzini a scuola, che io quando ho visto il duce con quel cappelletto tedesco che si nascondeva, io bambino che me lo immaginavo col petto fuori che tagliava l'erba e faceva il grano così come ce lo facevano vedere sui libri di scuola, perciò...Il fascismo cosa ha fatto? Non a noi bambini, ma a quei diciottenni e diciannovenni, come tutte le dittature, vedi Stalin in Russia, vedi Hitler, loro spingevano l'atleta a dare il massimo acconsentendo loro gli allenamenti per migliorare, era l'orgoglio del giovanotto. Perché noi ci ricordiamo l'Italia del 1934 e del 1938 campione del mondo di calcio? Loro agevolavano i giovani a andare in campi dux, si allenavano, li facevano star bene, perché il ragazzino di 18 anni, se lo mandi in albergo...la stessa cosa che ha fatto la Russia. La dittatura è così, Hitler forse ha fatto poco. Io poi ricordo che al sabato, il sabato fascista, si doveva andare alla GIL, si andava là e si faceva la marcia vestiti da balilla, io avevo undici anni e ero balilla moschettiere. Io non sono mai andato nelle colonie, non sono mai andato in giro, ma tanti andavano, agevolavano. E a Zara in particolare, adesso Tito ne ha uccisi parecchi ma non per fascismo tremendo, ma più che altro per far fuori italiani, il prefetto eccetera è gente che ha salvato gli ebrei, che li nascondeva, i preti anche, poi anche lì c'erano già allora dei partigiani che erano antifascisti, ma italiani. E quando è successo che i vari battaglioni italiani antifascisti che volevano prendere l'Istria, Tito li ha fatti fuori. Però erano anti fascisti. Poi c'erano, poverini li ricordo, tanti ragazzi che sono andati volontari in Africa in prima linea che a 18 anni sono morti. Però quella lì è l'idea, si voleva scappare, atti di eroismo."

13) Ma senta, a scuola come vi presentavano il duce?
R.:"Il capo supremo, il nostro benefattore. Poi le paludi pontine, l'INPS, le colonie marine, le colonie montane...è stato il momento che lui ha sfruttato da buon socialista, poi ha girato e ha sbagliato andando con quei là, lui era il Nenni, il duce con Nenni era il vero socialista, perché il popolo italiano on fin dei conti è socialista per natura. Ha sbagliato dopo, però lui ha messo in pratica le sue idee socialiste, poi se uno le chiama fasciste e l'altro le chiama social comuniste...Lui l'idea socialista l'aveva, lui era un vero socialista, inutile che mi vengano a dire."

14) Il fascismo intraprende nei confronti della popolazione di origine slava un'opera di italianizzazione e snazionalizzazione. Lei si ricorda queste cose?

R.:"Non per la città di Zara, perché nella città di Zara, anche sotto il governo austro ungarico, c'erano sempre queste comunità italiane rispettate. C'era sempre il nazionalismo slavo che cercava di spingere, però noi avevamo settecento anni di veneto, perché noi parliamo veneto, mille anni romani e cento anni sotto l'austro ungarico. Però il regno austro ungarico ha rispettato, lui non ha ucciso nessun italiano perché sapeva che eravamo tutti italiani, sotto l'Austria italiani."

15) No, però io mi riferivo all'azione del fascismo contro gli slavi. Pensi non so, al cambio dei cognomi per esempio...

R.:"Recentemente ho discusso di questo. Tantissimi non hanno italianizzati e non li hanno uccisi. Noi abbiamo i vari Alacevic che sono rimasti così. Come quando il fascismo ha emanato una legge non era una legge, dicendo ai professori universitari di giurare. Su mille quattrocento - mille cinquecento dodici hanno detto no, ma gli altri li hanno mica uccisi. Hanno giurato sarà, per la bobba, sarà perché volevano insegnare e dodici han detto no, ma non è che li ha uccisi. Li logicamente la propaganda fascista che dice conquisteremo il mondo, andremo in Grecia, andremo in Albania, dobbiamo tutti diventare italiani, c'era, ma non era lui secondo me. Io direi che a Zara forse c'è stato un tentativo di italianizzare, ma non mi ricordo. Per esempio anche la lingua, i vecchi parlavano tutti slavo, i vecchi austriaco e croato lo parlavano, parlavano tutte le lingue, mentre i croati parlavano italiano, non c'erano scuole croate, i croati facevano scuole italiane."

16) C'erano degli stereotipi riguardo agli slavi e viceversa?

R.:"E' diverso, questa cittadina di Zara è una cosa a sé. Perché in Istria c'era questa distinzione, da noi no, perché si viveva tutti bene. Eravamo in maggioranza assoluta italiani, e si conviveva: sarà perché a loro conveniva oppure perché a noi piaceva. C'era lo sfottò, forse. Quello che posso dire è che durante la guerra a scuola con noi, quelli che avevano i aprenti in Croazia, sapevano quando venivano gli inglesi a bombardare, il giorno prima i genitori venivano e li portavano via, erano avvisati dai partigiani di Tito, che dicevano togliete i vostri figli da là perché domani bombardiamo. Questo è importante, capisce? Però questo si è saputo dopo. Il figlio del padrone di casa mia, il 28 novembre 1943, che era san Simeone e c'era le giostre, il padre gli ha detto di non andare in città domani, e il ragazzo è venuto, una bomba gli è caduta vicino e gli ha tagliato una gamba, è senza una gamba, l'ho rivisto dieci giorni fa. Perciò lui sapeva, il padre sapeva, glielo aveva detto, ma lui è andato lo stesso. Erano avvisati i croati, ma loro a noi non lo dicevano, era la guerra. Ma sa perché lo sapevamo? Perché il maresciallo Tito, alleato degli inglesi e degli americani e dei russi, aveva un comando che erano già sbarcati gli americani in Sicilia che avevano un aeroporto a Bari o giù di là. E lui diceva che Zara era piena di militari, tremila militari. Bene, ci saranno stati duecentocinquanta militari, non c'era un deposito di armi. Lui dava gli ordini e gli inglesi lo ascoltavano e ci hanno distrutto. Ma era tutto solo per distruggere l'italianità, solo per quello. E quello che dispiace è che quando tutti hanno ricordato i sessant'anni dello sbarco in Normandia, nessuno ha pensato a noi. E allora io scritto una poesia in dialetto:
Sessant'anni se passadi dal fatidico 43
Tutti quanti semo scampati, senza contar fino a tre;
I ga distrutto la nostra Zara, con cattiveria e viltà
Solo per cancellarglie la sua italianità;
Ogni anno vado a Zara e me sento un forestiero
Poco mi importa però, vado in cimitero;
Un baso e due preghiere e qualche ave maria sulla tomba de mia mamma e da la cugina ia.
Capito? Questo per dire che c'era proprio un disegno."

17) Senta, se non ho frainteso le sue parole, zara sembrava un'isola felice. Da quando allora si incrinano i rapporti?
R.:"Mio padre, ripeto vedovo con tre figli, viveva bene. Mio papà non era fascista, era ben voluto anche dai nuovi arrivati. E lui diceva sempre io sto qua e stiamo benissimo, però dovete lasciarci restare italiani. No. E come no? Io sono italiano e non mi lasci qua? Loro no, no. E allora io voglio andare via. E loro no, no, adesso tu resti qua. Non ci hanno fatto andare via per tre anni. Perché? Perché mio padre era decoratore, un altro era elettricista, l'altro idraulico, e loro avevano bisogno della manodopera specializzata per ricostruire la città Perciò non ci hanno fatto ricostruire la città e ci hanno lasciati italiani per tre anni là e poi han detto adesso che è sistemato tutto, 1947, se non opti per noi vai a casa, vai nella tua Italia. Ecco perché siamo andati via, per l'Italianità. Infatti Ciampi dice una cosa bella quando dice voi siete doppiamente italiani, nati italiani e scelto poi di rimanere."

18) Cosa ricorda della guerra?

R."Io della guerra ricordo i bombardamenti perché li ho subiti quasi tutti, li ho subiti tutti, cinquantaquattro - cinquantacinque bombardamenti. Bombardavano tutti i giorni, perché quando andavano a bombardare Berlino, quando gli avanzava un po' di bombe le buttavano sulla nostra città. Noi abbiamo avuto duemila- tremila morti per i bombardamenti. E quello che ricordo della guerra è i bombardamenti, tremendi. Che c'erano dei rifugi e noi andavamo in cantina; una volta sono rimasto sotto un palazzo di quattro piani, ma ci siam salvati, son venuti quelli dell'UNPA a salvarci. Invece i due rifugi erano fatti come una piccola metropolitana, un buco con il cemento armato e una bomba li ha schiacciati. Tremendo. Poi l'ultimo bombardamento, quello del 16 dicembre, ogni giorno ci conquistavano: i tedeschi e ci bombardavano gli inglesi, venivano i partigiani e ci bombardavano i tedeschi, e così via. E siamo tornati dopo, convinti di rimanere ancora nella nostra cittadina se ci lasciavano vivere come italiani."

19) Senta, durante la guerra lei ha patito la fame?

R.:"Cosa si mangiava durante la guerra? Siccome noi siamo rimasti là fino alla fine, erano già andate via più di diecimila persone, italiani, c'erano campi abbandonati nei dintorni. E io mi ricordo benissimo mio papà che mi diceva andiamo a raccogliere i fichi, e poi li facciamo secchi per mangiare. C'era qualcuno che aveva delle stalle in giro e papà raccoglieva non so quali acidi e faceva il sapone in casa e lui dava ai contadini il sapone e quelli ci davano la gallina. Lui lavorava per una società tedesca e gli davano una pagnotta di pane nero, una al giorno come stipendio, e cosa facevamo? La portava a casa, con il martello la rendevamo polvere e nel latte mangiavamo quello. Non c'erano negozi, ci arrangiavamo. Mi ricordo questo del papà, che faceva il sapone con degli acidi e lo andava a vendere ai contadini per il cambio, che c'era il famoso cambio. Poi non ne parliamo, dava un lenzuolo per un litro d'olio. Poi mio papà dal mare faceva il sale, non so come. Mancava il sale."

20) E si ricorda se c'era la borsa nera?

R.:"No, borsa nera no. C'era questo cambio, il baratto, io se non sbaglio mi ricordo che [mio padre] ha dato una macchina da cucire per un agnello, per vivere. Infatti il pane bianco lo abbiam visto quando sono arrivati gli inglesi nel '45. Dopo tre anni ho mangiato un po' di pane bianco. Quando poi siam tornati in qualche casa in piedi dopo i bombardamenti, che siam tornati in città, alla fine della guerra, con Tito, papà è andato ad abitare in una casa di un suo amico che conosceva, perché la nostra era bombardata, distrutta. Eravamo sopra un forno e c'erano i partigiani di Tito. Tra questi c'era un dalmata, croato ma che ci voleva bene e allora di notte ci portava delle pagnotte di pane con la farina. Era un partigiano e ci voleva bene, era un dalmata proprio, e perciò abbiamo ricominciato a mangiare e a rivivere. I pescatori ci portavano di nuovo il pesce, si andava in giro a prendere galline. Noi isolani stavamo bene. Ad esempio mia moglie è dell'isola di Veglia e loro non han sentito niente della guerra. Erano proprietari di terra, avevano il maiale, avevano l'olio, le patate e l'orto, il grano..."

21) Senta, lei prima mi ha parlato di partigiani. Lei si ricorda l'arrivo dei partigiani a Zara?

R.:"Si, si. C'è da distinguere bene. Il partigiano dalmata, quello che ci conosceva era fraterno. Cosa ha fatto invece Tito? Ha fatto venire su il serbo, perciò quello ce l'aveva non solo con noi, ma anche coi croati, e l'hanno dimostrato anche adesso. Perciò era diverso: spaccare tutto, con uno scalpello scalpellare i San Marco dalle statue, ma è documentato questo eh. Perciò era diverso, il partigiano...un po' come hanno fatto anche qui in Italia. Solo che qui erano partigiani italiani e fascisti italiani, di là invece c'erano italiani, non fascisti, e i serbi che non ci potevano vedere. Anche se dopo la guerra, i serbi dicevano se ci date una mano ammazziamo i croati e vi restituiamo le nostre terre. Sono arrivati a questo punto eh. Il serbo, pur di far fuori il croato, si sarebbe alleato di nuovo con noi, una cosa assurda. Mentre invece Tito li ha fatti arrivare giù, e allora professori, poliziotti, ministeri, tutti serbi. Zara, ventimila abitanti nel censimento del 1941, nel censimento del 1950, ottantamila, sessantamila persone in più, tutti serbi, tutti serbi. Poi come in tutte le guerre, ma probabilmente non erano i partigiani dalmati, anche i partigiani hanno fatto fuori impiccando e buttando giù in mare personaggi noti che non c'entravano niente col fascismo, perché buttare in acqua con una pietra al collo in mezzo al canale di Zara i Luxardo...Era il padrone della fabbrica, è vero, io son comunista tu sei capitalista e ridevo uccidere. Al farmacista, anche lui con la moglie e i nipotini, via., in barca, andiamo che vi portiamo e li han buttati in mare con una pietra, e questo qua è riuscito a portarsi dietro anche un partigiano che è affogato con lui. Noi ad esempio non avevamo la storia delle foibe come in Istria. Hanno fatto fuori questi dieci - quindici personaggi, non fascisti, italiani, però capitalisti. Siccome sono italiani, erano i padroni e li han fatti fuori. Ma lì non è il partigiano, lì è proprio una cosa politica."

22) Ma l'arrivo dei partigiani lo ricorda?

R.:"Benissimo, 31 ottobre 1944, il giorno prima dei morti. Di notte sentiamo un'esplosione completa di tutta la città. Hanno fatto saltare ponti, il porto, le navi , i piroscafi. E sono andati via i tedeschi, mogi mogi verso l'Istria. Hanno abbandonato completamente la città. Il 1 novembre, mi ricordo che io e mio padre usciamo dalla casa, non eravamo in città, eravamo in periferia. Usciamo e non c'era più un tedesco. Papà, dove andava a prendere ogni tanto un po' di latte e una gallina, dai croati, gli dice: guardate che non ci sono più i tedeschi. Voci di popolo e tan tan tan, avvisano i partigiani, e sono scesi i primi 10, 15, 20. I partigiani non dell'esercito regolare, ma quelli che avevano il fucile in casa contro i tedeschi, e sono scesi in città. Il colmo dei colmi, siccome a zara tutti i giorni ci bombardavano, e chiamavamo le mlekarize, quelle che portano il latte, due Spitfire che ci mitragliavano, e allora hanno visto questi militari che facevano festa in città, perché gli inglesi non sapevano ancora che i tedeschi erano andati via e allora gli hanno presi per tedeschi e li hanno mitragliati dall'alto. Hanno ucciso i partigiani di Tito. L'assurdo degli assurdi, io sono andato adesso al cimitero il 2 novembre a zara, con il console generale di Spalato, è che c'è una stele in cimitero che dice, in croato, in ricordo dei valorosi caduti partigiani per la liberazione della città di zara. Falso. Erano caduti, si, ma non che han combattuto contro i tedeschi, gli hanno uccisi gli inglesi, gli amici, perché non c'era stato il collegamento. E poi sono arrivati in gruppo e allora lì tutte le piazze a ballare siri colo siri colo con la stella rossa sulla fronte, perché erano allora amici di Stalin. Allora, nella via che ho abitato io, nel '47 si chiamava via Serven Armia, via dell'armata rossa, poi è stata Zvarda callia e poi un altro nome ancora, perché come cambiavano amici, cambiavano le strade. "

23) Ma la popolazione italiana come ha accolto i partigiani?

R.:"No, per noi era un'offesa. Io ero bambino, ma assistevamo, guardavamo ma niente. Poi ci han lasciato in pace, finchè non sono arrivati proprio i poliziotti cattivi, l'OZNA, e allora lì...Anche mio padre l'han messo venti giorni in prigione. Lui fa: ero bersagliere, sono italiano, e infatti qualcuno l'ha riconosciuto e gli han detto vai a casa. Qualcuno c'era, qualcuno della milizia,che anche lì, senza aver fatto niente, forse qualcuno l'han fatto sparire. Hanno ucciso i capitalisti, quando sono arrivati loro. Ma dopo la guerra, che dicono la liberazione, ma loro non ci hanno liberato, eravamo già liberi da soli."

24) A Zara l'esodo comincia prima, nel senso che la città si svuota molto prima, a guerra in corso. Come mai?

R.:"Beh, intanto per salvare la vita, poi quasi tutti avevamo qualche parente non so, ad Ancona o a Trieste, e si scappava quasi tutti. Eravamo in trappola, povera cittadina. Saputo poi che volevano distruggerla, perché lì salvavi la vita eh. Militari non ce n'erano. Mi sembrano che siano arrivati, dopo l'8 settembre 1943, in città duecentocinquanta tedeschi. Eravamo noi tre - quattromila, li facevamo fuori no? Invece loro lì l'hanno cantata dicendo dovete distruggerla perché è piena, piena."

25) Cosa cambia, e lo chiedo a lei che è partito tardi, nel passaggio dall'Italia alla Jugoslavia?

R.:"Cambia tutto. Mia suocera poverina, nel ricordare la sua vita dalle nostre parti, diceva quando ero viva. Lasciando la propria terra, lei è stato un po' come sia morta, ma l'ha fatto per lasciar crescere il proprio figlio e la propria figlia come italiani. Il cambio è stato anche la lingua, che io ho fatto il ginnasio croato e adesso parlo croato come l'italiano e loro mi rispettano di più. Sono andato adesso in un ufficio statale con mia figlia che non parla tanto bene e allora le ho detto all'impiegata, guardi signorina, lei parla solo croato, anche se so che parla e capisce l'italiano, ma lei ci tratta male perché sa che siamo qui per chiedere delle informazioni, a maggio di quest'anno è successo, perché l'astio c'è sempre, rimane. Lì Tito poi ci ha detto guai se parlate italiano, e noi parlavamo apposta italiano e a quindici anni mi hanno messo per quello anche in prigione, alla vigilia di natale, che con Tito era proibito festeggiarlo. Che anche la messa non si diceva né in latino né in italiano, solo in croato. Hanno fatto quello che noi si voleva fare di là, perché anche la messa in croato non è che si voleva dire, ma solo in italiano. Però ripeto, sono stati i serbi quando sono calati che hanno voluto portare questo cambiamento, perché il croato, il dalmata, ha le stesse abitudini nostre, sia nel mangiare che nel vivere che nella religione. Solo la lingua è diversa. Anzi i preti croati sono nazionalisti, troppo. Infatti non ci sono tanti vescovi croati in Vaticano, perché sono nazionalisti. Non so come mai non abbiano fondato un partito cattolico croato."

25) Parliamo dell'esodo. Lei quando ha lasciato Zara e che ricordi ha dell'esodo?

R.:"Tardi, nel 1947. Avevo sedici anni e mi ricordo che noi si viveva bene. C'era soltanto questo piccolo punto negativo che non dovevamo essere italiani. Perché noi si faceva i nostri bagni, era una bella cittadina, oramai quelli che avevano fatto fuori li avevan fatti fuori e ci lasciavano in pace. Però han detto no, se volete restare qua dovete optare per la nazionalità croata. Al che abbiam detto, no e allora siamo andati via. Andare via con i venti chili di roba che ti potevi portare dietro, e a parte il fatto che a noi la bomba ci aveva distrutto tutto, papà guadagnava, avevamo delle cose, e venire via senza niente, come un pidocchioso, lasciando la tua città, era solo un pianto. Poi ti ritrovi che arrivi in Piemonte e arrivi a Bologna e ti gridano fascista torna di là..."

26) Della sua famiglia siete partiti tutti?

R.:" Si, non è rimasto nessuno, solo la tomba della mamma."

27) E quali sono state le tappe del suo viaggio?

R.:"Da Zara a Fiume con un piroscafo. A Fiume siamo stati imbarcati con un camion fino a Trieste, al silos, e poi da Trieste a Udine. Due notti. E allora lì ci han chiamato in direzione e mio padre gli ha detto che mestiere aveva. Loro han chiesto lei cosa preferisce? E lui ha detto ma, in Piemonte ho dei parenti e allora ci han dato Tortona, destinazione Tortona. Il 5 agosto 1947 siamo partiti e l'11 agosto eravamo a Tortona. Siamo stati in campo fino al 1952, cinque anni. Però abbiamo avuto la fortuna di avere una cameretta e ci siamo sistemati da soli."

28) Lei prima mi parlava di Bologna...

R.:"Si, perché a Bologna c'è stato il treno, mai non c'ero. A Tortona no, Tortona anzi. Io avevo fatto seconda ginnasio di là, e ho dovuto ridare l'esame di ammissione alla terza media qua e ho fatto la ragioneria, e ho trovato degli amici che mi hanno accolto molto bene, ci han trattati bene."

29) Lei è stato in corso Alessandria?

R.:"Si, era un campo grosso, c'erano duemila persone, e noi si manteneva le nostre solite festività: a giugno San Vito e Modesto, San Simeone. C'era il momento buono, il boogie-boogie, gli amricani...Anche se eravamo in un campo profughi, un po' come qua a Torino alle Casermette, la vita incominciava a riprendersi per noi giovani. Ripeto, anche se mi ricordo, 1949, 1950, un inverno tremendo, si pregava sempre in giro: fai che nevichi stanotte, perchè gli uomini andavano a pulire i binari per 2.000 Lire facendo la notte, per spalare la neve. E mio suocero, che era padrone di otto pescherecci a veglia, andava a Spinetta Marengo a portare i sacchi per 1.000 Lire al giorno alla Montecatini. Perciò, era dura, però i nostri vecchi ci hanno dato un esempio bellissimo, che hanno affrontato la vita dura per farci studiare e farci star bene. Perché almeno abbiamo potuto. A Tortona, abbiamo affittato un alloggetto..."

30) Senta, cosa mangiava in campo?

R.:"E me lo ricordo...Era umiliante per me, andare con la gamella come al militare. Mi ricordo la fetta di mortadella, un pezzo di pane, come al militare. Infatti quando nella mia vita lavorativa mi dicevano, hai fatto il militare? Io rispondevo si, cinque anni, alla Caserma Pssalacqua a Tortona, e rimanevano tutti di stucco. Perché invece noi, nati nel '29, '30, '31, una legge ci ha esonerato dal fare il militare, perciò almeno quello."

31) In campo c'era un cucina oppure vi cucinavate da soli?

R.:"No, no, all'inizio c'era una cucina come in caserma. C'era l'orario, si andava là in fila, ognuno con la propria gamella, con il proprio recipiente, si prendeva là e si mangiava a casa. Ripeto, in Caserma Passalacqua son passati tantissimi, che poi son venuti anche a Torino perché c'è stato il boom per entrare alla Fiat e tanti venivano qua. Iio ho avuto la fortuna di avere una cameretta tutta nostra, avevamo il bagno in comune, poi appena abbiam potuto siamo andati in un alloggio fuori. Poi in realtà c'era anche lo spaher, cioè qualcuno si cucinava qualcosa, perché c'era problema, specialmente nei padiglioni lunghi dove c'era la divisione delle coperte tra famiglia e famiglia e la promiscuità era tremenda."

32) Chi cucinava in campo, continuava a farlo alla zaratina?

R.:" Si, si alla nostra, per forza. Si è mantenuta la tradizione, anche dopo, ancora adesso. Ai miei figli, io ho un figlio e una figlia sposati, anche loro vogliono mantenere la tradizione mia, perché non son cose brutte o cattive!"

33) Nel campo di Tortona, lei ricorda se c'erano dei pacchi dono per i bambini o cse di questo tipo?

R.:"Si, si, allora c'era l'UNRRA, c'era il piano Marshall che ci portava della roba e ci davano qualcosa, non mi ricordo bene cosa ma qualcosa, dei pacchi ce li davano. E anche dei pranzi organizzavano. Ma poi nella comunità degli istriani, dei fiumani e dei dalmati, anche greci, si era formata la squadra di pallacanestro, si andava in giro. Insomma, tre o quattro anni buoni, si cercava di vivere. Il boogie-boogie, tutti i sabati mi ricordo che facevano in una sala il ballo e i diciottenni e i diciannovenni andavano là che c'era il ballo nel dopoguerra, come in tutte le altre città."

34) Nella realtà, difficile, del campo, il cibo serviva a socializzare e a unire?

R.:"No, no, perché è come al militare, prendi la tua gamella e vai a mangiare. Dopo, con il passare degli anni, dopo uno o due anni, allora uno si organizzava, si fraternizzava. Ripeto, durante le festività, guarda che faccio mi l'agnello, guarda che faccio le frittole, si scambiava, però era un periodo che avevamo bisogno di soldi, di tutto. Non mi ricordo se a mio padre gli davano 300 Lire."
35) In questo processo di condivisione del cibo, le è mai capitato di venire a contatto con cibi nuovi? Mi riferisco agli altri profughi (greci o libici) presenti nel campo.

R.:"No, no, secondo me no. Noi si, tra di noi giuliani e dalmati si, ma ad esempio tripolini e greci, anche se poi si è diventati amici, ci son stati anche matrimoni tra giuliani e greci, però per quello no. Eravamo usciti appena dalla guerra e avevamo tutti fame, ed era umano cercare di avere, di possedere qualcosa più dell'altro. Ad esempio, andare una volta al cinema era un sogno. C'era gente che dava, poverina, la mortadella per un biglietto del cinema."

36) Lei mi ha parlato del cinema, e ora le faccio una domanda. Come erano viste le donne profughe dai tortonesi?

R.:"La fortuna nostra secondo me, e l'ho capito dopo, non quando avevo tredici - quattordici anni, è stata che noi non abbiamo avuto prostitute. Si, c'è stato qualche caso, ma piccolo. Però diciamo che i tortonesi cercavano di abbindolare, di attaccare, qualcuna si è anche sposata, parecchie. Ma una cosa si, le nostre sono più espansive, erano più emancipate, aperte e per i piemontesi in particolare vuol dire che quella là è donna di facili costumi, invece non è vero, però un po' si, nel pensiero comune si, perché eravamo forse più emancipati noi là, perché ad esempio la mula triestina è come le nostre, oppure nel Veneto vai ancora adesso e ci sono le donne al bar che devono e fumano, qui è diverso, ancora adesso nel 2005 trovi poche donne al bar che bevono vino eccetera, ma perché noi eravamo così di spirito, la nostra donna era più libera. E per qualcuno libera vuol dire che possiamo attaccare."

37) Dal punto di vista della abitudini alimentari, voi istriani cosa avete portato a Tortona?

R.:"Il pesce. Tortona, non so quanti abitanti avesse allora, ma arrivano duemila profughi e tutti quanti hanno iniziato a chiederlo. Anzi, qualcuno dei nostri ha aperto addirittura un negozio di pescheria, perché il tortonese non conosceva il pesce, più che la trota o il salmone affumicato niente. Abbiamo incominciato noi e adesso in tutti i supermercati trovi il pesce e anche loro adesso mangiano il pesce. Secondo me è stato così, ma anche nella stessa Torino. Poi un altro fatto è stato il nuoto. C'era un fiume vicino a Tortona, lo Scrivia, e noi si andava d'estate, che era un surrogato del mare, si andava a piedi a fare il bagno. Nessuno sapeva nuotare, mentre adesso hanno aperto piscine, perché l'abbiamo portato noi secondo me. Lo stesso dicasi per la pallacanestro, perché la pallacanestro non era conosciuta in Tortona. La squadra del Derthona era fatta quasi tutta da gente nostra. Abbiamo avuto il professor Messina, che poi ha fatto nazionale anche, allenava la nostra squadra, che poi è andato a Varese e ha portato su il Varese in serie A, campione d'Italia. Perciò noi a Tortona abbiam portato pesce e pallacanestro. Il calcio c'era già, perché nel calcio il Derthona era già forte, ma la pallacanestro, come il tennis, nessuno lo conosceva. Il pesce perché noi ne mangiavamo parecchio, eravamo abituati e chiedi una volta, ciedi due e chiedi tre e alla fine gli dicevi ma perché non lo porti? Così qualcuno andava a Genova o se lo faceva arrivare da Venezia e lo vendeva e noi si mangiava. Un'altra cosa che era come il pesce sono i crauti, che nessuno li conosceva, li abbiamo portati noi, crauti e luganighe, la luganiga famosa. Se non sbaglio a Torino, ancora adesso, ci sono due o tre posti, uno qua vicino in via Sansovino, c'era un negozio, da Enzo, che tutta Torino andava a comperare là, e lui sotto natale faceva tutta roba nostra. Mentre invece a Venaria, c'è uno che fa le famose paste creme dalmate e le pinze di Pasqua. Un ragazzo che ha fatto l'allievo pasticcere da uno di Fiume e ha aperto lui un negozio e noi le pinze andiamo a comperarle da lui, prenotandole, sia le pinze che le paste creme."
38) Qual è invece il suo rapporto con la cucina piemontese?

R.:"E' ottimo, ottimo. Io oramai l'ho assorbita, è trent'anni che sono qua. L'altra domenica siamo andati a mangiare a Biella la polenta concia che da noi non esiste, da noi facevi sempre col pesce, polenta e baccalà. Oppure gli agnolotti e la carne cruda, da noi quando mai abbiam mangiato così? A me la carne cruda piace da matti."

39) Quindi lei cucina anche i cibi piemontesi?

R.:"Si, oramai faccio uno e l'altro. Si fa la cucina nostra per le festività, quasi a ricordare le nostre origini, mentre invece nei giorni normali si mangia oramai come tutti: i tortellini alla bolognese li mangi anche a Napoli, il pesto lo mangiamo anche noi qua, anche se è solo genovese. Oramai è cambiato. Comunque il cucinare caratino è rimasto."

40) Senta, ora le faccio l'ultima domanda: lei ha raccontato ai suoi figli e ai suoi nipoti l'esperienza dell'esodo? Quella dell'esodo è una memoria che trasmette, oppure la tiene per sè?

R.:"Appena posso parlo. I figli e i nipoti devono sapere quello che noi abbiamo passato. Anche per fargli capire che a tutto questo siamo arrivati solo per rimanere italiani. Perché io ho lascito là un ragazzo, orfano di padre, la madre due bambini piccoli, lui ha optato per la Croazia, e lui poverino ha fatto una fine. E ancora adesso che è croato gli dicono porco italiano, e son passati cinquant'anni. Capisce? Perciò faccio capire ai miei e quando vado giù aiuto appena posso, andando a un supermercato italiano, con cinquanta euro riempio un carrello e lui è felice tre mesi. Prende 300 Euro di pensione al mese. E ai figli devo fargli capire che con il sacrificio dei genitori, e il sacrificio nostro, abbiamo superato e sopportato l'ignoranza di chi ci stava vicino. Sei nato a Zara? Ah, sei croato. Ma vaffanculo! E' la più grande offesa per me. Io ho fatto questo per essere italiano e tu mi dici che sei croato: cretino, ignorante! Ancora adesso le nostre istituzioni: sulla patente c'è scritto nato a Zara, Jugoslavia. Gli ho sputato addosso appena l'ho visto, me lo cambiate, c'è una legge che parla chiaro. Così come quando vado a zara e quella dell'ufficio mi dice Zadar. Ma perché devi dire Zadar se siamo a Zara. E' proprio nel DNA loro, è inculcato nel DNA loro, di nascondere questa povera città, che era una perla, è una perla. La diatriba esiste ancora ed esisterà sempre tra noi e loro, da tutte e due le parti. E io speravo che una generazione dopo, due generazioni dopo, sarebbe passata. Vede: all'università di zara ci sono duemila iscritti alle lezioni di italiano. Intervistati due ragazzi croati, gli chiedono come mai hanno scelto l'italiano. Nella loro ignoranza, hanno detto perché non esiste una letteratura croata, mentre la vostra è bellissima e la studiamo. Perché se vuoi vedere qualcosa di cultura, arte, non esiste la Croazia, non esisteva. Loro sono sempre stati popoli che miravano a una cosa sola: il mare. Solo quello."

42) Ora le chiedo una cosa. Secondo lei a Zara tra gli italiani che hanno deciso di rimanere, qualcuno lo ha fatto per politica, perchè credeva nella Jugoslavia?

R.:"Si, si, ma d'altra parte erano i veri comunisti anche sotto il fascismo, che tutti lo sapevano e nessuno gli ha mai fatto niente. Perché il colmo dei colmi è che il comunismo di Tito, il titoismo, ha ucciso gente non fascista, ma capitalista. Però c'era dei simpatizzanti alla sinistra, come si direbbe oggi, che sono rimasti là. Poi pentiti, che adesso vogliono venire via. Un po' come i nostri due-tremila di Monfalcone che sono andati là. Mille son spariti, e tanti li hanno picchiati anche, c'era allora e in qual momento andava per la maggiore. Per esempio adesso in Ungheria adesso sta salendo il partito comunista. Prima tutti ah no, i carri armati, l'Unione sovietica, e adesso c'è di nuovo il partito comunista. Va beh."
15/11/2005;


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Miletto Enrico 25/05/2009
Pischedda Carlo 04/11/2009
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Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019