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CARTACEO: Intervista a Giovanni R.

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Intervista a Giovanni R.
Giovanni R. nasce a Sebenico nel 1918. Il padre è marinaio a Spalato, la madrfe è casalinga. Dopo pochi giorni dalla nascita viene portato al Spalato, città in cui Giovanni cresce e vive fino all'adoloscenza. Ancora minorenne decide di arruolarsi come volontario e parte per l'Abissinia. Dopo l'esperienza dell'Abissinia prova sulla propria pelle un'altra guerra, e cioè il secondo conflitto mondiale. E' l8 settembre del 1943 quando i tedeschi lo sorprendono insieme ad altri commilitoni in Grecia. Viene catturato e tradotto all'interno dei Balcani fino a che non si imbatte in una formazione partigiana all'interno della Serbia. Decide di arruolarsi e di combattere con loro. Alla fine della guerra ritorna a Spalato dove si iscrive in una cooperativa e lavora come decoratore. Il padre però spinge per partire verso l'Italia e così, nel 1948 l'intera famiglia lascia Spalato. Arrivati in Italia si trasferiscono prima nel campo profughi di Padova e da qui in quello di Mantova e infine, nel 1951, alle Casermette di Borgo San Paolo a Torino. Nella capoluogo piemontese Giovanni è assunto alla Fiat Lingotto e riesce ad ottenere un alloggio nel Villaggio di Santa Caterina, dove vive tutt'oggi. E' stato intervistato il 17 novembre 2008. Intervista e trascrive Enrico Miletto.
1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati personali: dove e quando è nato.

R.:"Quando sono nato e dove? Io sono nato il 24 del 6 [giugno] 1918. E sono nato... Siccome il mio papà - noi eravamo sotto l'Austria-Ungheria - e il mio papà faceva a Sebenico il marinaio, e quando la mia mamma ha dovuto avere dei bambini, come me, andava a Sebenico. E, combinazione, io nascevo a Sebenico, ma io stavo un paio di giorni e poi andavo a Spalato, perché Spalato è la mia città. E mia mamma, combinazione, andava a trovare il papà a Sebenico che era marinaio austriaco. E quella volta i nostri giovani a fare il soldato erano sotto l'Austria- Ungheria."

2) Suo padre era marinaio, e sua mamma invece che lavoro faceva?

R.:"Mio papà era marinaio, e mia mamma invece era casalinga. E lei è nata in un paese che si chiama Braza in italiano, e Braz in croato. E' un'isola. E' venuta da giovane a Spalato, ha conosciuto una contessa ed è andata a lavorare come donna di servizio, e non so come mio papà poi [l'ha conosciuta]. Mia mamma aveva delle terre in questo paese, doveva fare la contadina, e allora si è incontrata con mio papà."

3) Lei riesce a descrivermi com'era Spalato?

R.:"Spalato era una città, prima di tutto molto antica, perché lì è nato l'imperatore Diocleziano. Anzi no, lui non è nato a SpalAto, lui è nato a Salona. Salona è un paese vicino a Spalato, quattro o cinque chilometri, e dicono che Salona era famosa come Roma, perché io da bambino andavo, e ho visto delle antichità, dei sarcofaghi romani. E noi bambini andavamo a guardare nei buchi dei sarcofaghi, che si vedeva ancora qualche ossa, così. E a Spalato l'imperatore Diocleziano ha costruito il palazzo Diocleziano e con l'andar dei secoli si è aggiunta casa per casa, ed è diventata Spalato e adesso è una delle più belle città di tutta la Dalmazia, ma non solo, anche più lontano. E' molto bella."

4) E da un punto di vista economico e sociale, che città era?

R.."La gente...Guardi, c'erano molti comunisti. Io ero giovane ed ero amico con tutti, comunisti e non comunisti. Io avevo degli amici che giocavano con me al football e che sono stati fucilati vicino a Spalato. Sono scappati quando la Germania ha dichiarato guerra alla Russia: molti sono scappati via, e li hanno presi prigionieri e li hanno fucilati tutti. E io a Spalato ero ben visto, perché consideravo questi ragazzi miei amici, non guardavo il partito che era. E infatti io giocavo nella squadra che si chiamava Spalato, ed eran tutti operai. Ma io andavo e giocavo a pallone, non mi interessava [la politica]. Spalato era per lo più pescatori e contadini, per lo più, finché ero io."

5) E di fabbriche ce n'erano?

R.:"Si, c'era la famosa fabbrica Betizza. Betizza - ha sentito parlare di Betizza - era spalatino e aveva una grande fabbrica di cemento. Erano molto conosciuti, famosi. La prima cosa quando si veniva a Spalato con la nave, si vedeva la fabbrica Betizza. E poi c'era dei - come si dice- delle piccole imprese che lavoravano per conto loro, muratori, decoratori, ma per lo più erano contadini."

6) Lei prima mi ha detto una cosa secondo me interessante, e cioè che a Spalato c'erano tanti comunisti. Perché?

R.:"Molti...Perché? Eh, perché...Non so dirle, però lo so che a Spalato c'erano molti comunisti. Ed eravamo pochi italiani."

7) Quindi a Spalato c'erano pochi italiani e molti croati?

R.:"Ah, c'erano pochi italiani. Noi eravamo pochi italiani ed avevamo una scuola elementare italiana, e anche la chiesa italiana. Là andavamo noi bambini - quelli che avevano la cittadinanza italiana - ma era solo la scuola elementare, e chi voleva continuare a studiare doveva andare a Zara. Per far le medie, e poi chi voleva fare l'università andava a Bologna o a Fano, un po' di qua e un po' di là. Oh, noi eravamo pochi! Eravamo forse una cinquantina di famiglie. E quando sono nato io, Spalato aveva solo 18.000 abitanti, era un paese. E dopo è diventata una città, ha aumentato la popolazione. E noi, questi italiani, eravamo pochi, avevamo i nostri ritrovi. La chiamavano, mi ricordo, L'operaia: lì c'era il biliardo, andavamo a giocare alle carte, si ballava alla festa e venivano solo italiani. E poi i simpatizzanti - diciamo come i miei amici - venivano anche loro, ma non erano italiani. Venivano lo stesso per ballare, per sentire la musica e così."

8) E com'era il rapporto tra italiani e croati?

R.:"Eh, era un po' teso, come voglio dire...Ma non tutti i ragazzi croati erano magari contro. Io so che ad esempio a me da piccolo non mi chiamavano per nome, ma mi chiamavano puì, pugliese. "

9) E come mai pugliese?

R.:"Così, perché gli italiani li chiamavano pugliesi. Perché a Spalato una volta venivano dei barconi, e si installavano in fondo alla riva. E loro portavano da mangiare: aranci, limoni, riso e vendevano. E stavano lì, non andavano via: i ragazzi nascevano lì, e stavano lì. Infatti con me era in Abissinia uno che viveva in una barca, ed erano pugliesi questi, per quello che gli italiani [li chiamavano pugliesi]."

10) Quindi i rapporti tra italiani e croati mi ha detto che erano tesi?

R.:"Eh beh si, qualcheduno si, più ignorante, diciamo così. Solo che come le ho detto a me non mi chiamavano Giovanni, ma pui, pugliese."

11) Lei è nato nel '18, quindi ha vissuto in pieno il periodo fascista. Quali sono i suoi ricordi del fascismo a Spalato?

R.:"Ma, del fascismo mi ricordo perché c'erano dei ragazzi che erano simpatizzanti italiani, nostri italiani. Infatti io fino a quattordici-quindici anni ho giocato in questa squadra di operai..."

Figlio: Ma come si chiamava la ex Anarkik?

R.:"No, quello è lo zio. E' lo zio che giocava in una squadra che si chiamava Anarkik: lui andava in una scuola di operai ad insegnare il mestiere, ed hanno organizzato una squadra."

12) E la sua di squadra come si chiamava?

R.:"Ah, si chiamava Split, era tutta comunista. Io giocavo in attacco, mezzala, ma cambiavo anche, a seconda di chi mancava."

13) Che non è l'Hajduk...

R.:"L'Hajduk è una squadra più, come voglio dire...Non era comunista, e infatti ci vedano molto male. L'Hajduk era più signorile! Vede questa foto [ndr: mi indica una foto su un libro], c'è questo mio zio. E questo mio zio ha fatto con altri ragazzi una squadra, e hanno messo come nome Anarkik. E allora la polizia li ha chiamati più volte [e gli ha detto]: ma come Anarkik? [E loro rispondevano]: eh si, sono le iniziali dei nostri giocatori! Trovavano una scusa. E qua [su questa foto] sono tutti ragazzi, dei miei amici, che sono stati fucilati. Ecco la foto di mio zio. Lui ha fatto questa squadra Anarkik, e qui [su questo libro] parla di quando sono venuti a intervistarlo - quando c'era Tito - e lui raccontava le cose: cosa vuoi, noi eravamo di sinistra. E il giornalista gli dice: ma dicono che avevate una vera doccia. Ma che - dice mio zio - una latta avevamo, e ancora ci pisciavano dentro!"

Figlio: "Quando questa squadra, l'Anarkik, andava a giocare, c'erano anche tensioni politiche. E loro avevano la doccia, questo bidone, e gli hanno fatto la pipì dentro, ma non se ne sono neanche accorti!"

R.:"Mio zio era non solo presidente, ma era anche capitano della squadra, era tutto lui!"

14) Stavamo parlando del fascismo...

R.:"Ma, il fascismo non era proprio tanto, come voglio dire, perché nessuno diceva che era fascista. Però ogni d'uno, quando parlavamo tra di noi, si diceva che in Italia è meglio che qua, che i comunisti sono così e così. E difatti vede che io nel '34 sono andato volontario in Abissinia, perché noi quando volevamo qualche cosa, andavamo dal console italiano, non avevamo altri posti da andare. E là infatti ci siamo iscritti per andare in Abissinia, al console italiano: eravamo una ventina."

15) Posso chiederle come si comporta con i croati il fascismo?

R.:"Ma, il fascismo... Non si parlava del fascismo. Diciamo che...pugliesi! Pugliesi ci chiamavano, ma non è che ci dicevano fascisti o qualche cosa."

16) Si, ecco, però il fascismo non so, ad esempio vieta di parlare croato nei luoghi pubblici e mette in atto provvedimenti discriminatori verso la componente croata...

R.:"Ma, la lingua...Parlavamo sempre croato, anche nel nostro ritrovo italiano parlavamo croato, perché praticamente noi sapevamo anche poco parlare [italiano]. [Sapevamo parlare] quello che ci avevano imparato alla scuola, ma appena uscivi fuori parlavi croato. Coi ragazzi, con tutti non si parlava italiano, poco si parlava italiano."

Figlio: Questi, papà, erano quelli dell'Abissinia, i volontari [mostra una foto].

R.:"I volontari, tutti. Qua siamo tutti i volontari davanti al consolato italiano, ci siamo fotografati tutti. Questo indica [una persona] era uno che viveva nella barca. Questo lo chiamavano Balbo, e dopo due o tre mesi - non so come o cosa - si è sparato, da solo."

Figlio:"Si è suicidato. E quando sono tornati si sono fatti la foto: questo era tutto il gruppo di volontari di Spalato."

17) Posso chiederle come mai è andato in Abissinia?

R.:"Ah, sa cosa? Non è che io ero tanto fascista, diciamo. Ero italiano, ero orgoglioso di essere italiano, però fascista non ero. [Sono andato] un po' per avventura, un po' per così...E nessuno di noi era fascista, tutti avevano simpatia per l'Italia, e quando l'Italia è andata in guerra, siamo andati al consolato italiano e a me mi hanno fatto anche un poco di difficoltà: ma lei è giovane, non può andare. Ma io voglio andare, e infatti sono andato. Siamo andati prima a Napoli, in quei posti là, e ci siamo imbarcati su una nave che si chiamava Colombo. E lì siamo partiti per l'Abissinia e quando passavamo il Canale di Suez, c'era una signora con sette - otto persone che ci accompagnava per tutto il canale di Suez con la bandiera italiana e gridava Viva, Viva! Fino a che uscivamo fuori dal Canale di Suez. E dopo siamo sbarcati a Mogadiscio. E a Mogadiscio - Oceano indiano - non avevano un molo per attraccare: venivano coi barconi e ci scaricavano a poco a poco. E poi ci siamo accampati fuori di Mogadiscio, non so, sette chilometri e siamo riamasti lì."

18) Parliamo ora della guerra. Qual è il primo ricordo che le viene in mente?

R.:"Ah! Il soldato...cosa vuoi? Io sono andato in Africa coi tedeschi. Dalla Grecia - ci hanno portato in Grecia - e dalla Grecia ci hanno portati di nuovo in Africa. Siamo andati ad Ancona, non mi ricordo più niente! E lì mi hanno richiamato i tedeschi, perché sono venuti gli italiani e praticamente Spalato era stata annessa all'Italia, e allora siamo diventati italiani, e allora ci hanno chiamato sotto le armi come in Italia. Da Ancona sono andato in Grecia, e dalla Grecia siamo andati in Africa. E poi dall'Africa siamo andati fino a El -Alemein e dopo ci hanno ritirato a noi italiani, e ci hanno portati di nuovo in Grecia, e lì mi ha preso l'8 settembre. E l' 8 settembre c'erano i tedeschi, e ci hanno portati a Belgrado come prigionieri. Allora un giorno è venuto un ufficiale tedesco, e dice: a noi ci occorre degli autisti. E io ero nell'autocentro in Italia. Ci occorrono degli autisti, e se voi mettete di nuovo a posto l'officina com'era, vi garantisco che vi porto a Belgrado col camion, perché vedete quanti soldati muoiono per strada di fame e di stanchezza! Allora noi abbiamo lavorato per quindici giorni, abbiamo messo a posto l'officina com'era, e il quindicesimo giorno è arrivato l'ufficiale e ha detto: voi avete mantenuto la promessa, mantengo anche io, ecco il camion che vi porta fino a Belgrado, non andate a piedi."

Figlio: Ma perché l'officina dov'era?

R.:"Ma, dopo Patrasso, in Grecia. Comunque ci hanno portati a Belgrado. Un giorno, ci hanno fatto l'adunata e dice: italiani, chi è autista e vuole venire con noi non andrà in Germania a lavorare. Allora noi, una quindicina, abbiamo alzato le mani e ci hanno portati a un paese che si chiama Urosevaz, dove c'è l'Albania, come si chiama, in Kosovo, Kosovo. E lì ci hanno fatto giurare sotto la bandiera tedesca, noi abbiamo giurato e siamo diventati tedeschi, soldati tedeschi. Solo che eravamo vestiti mezzo e mezzo, e c'era anche mio fratello. E mio fratello, quando i civili italiani, si ritiravano dall'Albania e passavano da questo paese, si è messo in contatto con uno e un altro di Parma e son scappati via. Lui è scappato via perché dice: io c'ho un figlio di tre anni e non l'ho mai visto. Un giorno mentre io andavo con la colonna, guidavo, vedo un motociclista che ferma la colonna e mi dice in tedesco che dovevo andare con loro. E allora un ufficiale, un sottotenente tedesco, è venuto con me e mi ha portato a Pristina. E allora sono entrato nel comando della SS. Erano tutti soldati, io [avevo] solo fagotto e fucile: partisana! E io dico nicht partisana! Comunque siamo andati in ufficio, al piano, e ci hanno fatto aspettare fuori dalla porta me e questo ufficiale tedesco. Quando - dopo un quarto d'ora che eravamo lì - ci fanno entrare, c'era un capitano delle SS, che non ha neanche alzato la faccia per vedere chi ero, stava così. Più di tre o quattro minuti siamo stati lì, fermi. Dov'è tuo fratello [mi dice in tedesco]? Dico: non lo so, so che aveva un figlio che non aveva mai visto da tre anni. Dice lui, in tedesco: ma lui è soldato tedesco! Non è andato in licenza. Dico: no. E allora dico: mio fratello non è comunista, è fascista. E io gli dico come ero in Abissinia, che non dovevo andare ma sono andato volontario. E lì ho detto una bugia: anche lui era in Abissinia, ma non è vero. Comunque mi ha guardato un po' così e mi ha detto: suo fratello è un soldato tedesco, e se lo prendiamo gli spariamo, perché è un soldato tedesco. E cosa potevo rispondere io? Dico: mio fratello vuole bene ai soldati tedeschi. Ma questa è nostra legge, mi dice. E niente, mi ha detto: vai alla tua compagnia e fai il tuo dovere come hai fatto fino adesso, e so che questo ufficiale ha detto che ero un buon soldato. E niente, poi siamo stati lì a Kosovo, in questo paese che si chiamava Urosevaz, e dopo abbiamo dovuto ritirarci, e dopo siamo venuti a Kragujevac dove la Fiat aveva uno stabilimento, e ci siamo fermati in una famiglia. I tedeschi poi hanno detto che noi aspettiamo qua e che loro ritornavano a prenderci, ma sono andati via e non sono più venuti. E noi eravamo [da] tre o quattro giorni là, e andavamo in giro intorno alla casa, e qualcheduno dei vicini di questa casa ha detto: ci sono gli italiani. E sono venuti i partigiani, e adesso dovrei parlarti di questo..."

19) Tanto glielo chiederei comunque!

Figlio: Digli come sei entrato nei partigiani...

R.:"Eh...I partigiani erano partigiani slavi, e c'era un sergente, che lui non capiva il croato, io capivo e facevo come interprete. E un sottufficiale gli chiede a questo sergente se vuole combattere coi partigiani, e lui gli dice che non sta bene, che non può, e allora il capitano fa così a un soldato e dopo due minuti sento due spari, tan tan. Dopo domanda a me: vuoi combattere coi partigiani? E io dico: si, per forza, cosa dovevo fare? Mi ammazzavano."

Figlio: Come si chiamava quel sergente?

R.:"Ah, è difficile... Era un meridionale, è difficile dirti. Mi ricordo solo di uno che era di Milano, si chiamava Rancati, solo questo."

Figlio: Ma quel sergente che hanno ammazzato non ti ricordi il nome...

R.:"No, non mi ricordo il nome, no, no. Ma neanche quando era libero non mi garbava, perché lo consideravamo uno non tanto bravo coi soldati. E infatti io poi sono rimasto coi partigiani, e ho conosciuto un certo Basic, era capitano commissario politico, e mi ha preso in simpatia a me, perché lui era di Sebenico, e io son nato a Sebenico - come ho parlato prima di mia madre - e allora era tanto simpatizzante di questi vogatori che facevano canottaggio. Io c'ho un mio fratello che era campione olimpionico, e io, combinazione avevo una fotografia, che si vede che mancava un giorno uno, e mi sono messo io, perché andavo sempre a vogare. E gli ho mostrato, e gli ho detto: io vogavo. Uh! E mia ha preso in simpatia: dammi questa fotografia [mi disse], e io gli ho data, e in poco tempo sono diventato comandante di compagnia. E, come gli ho detto, ho fatto tutta la guerra. Ma noi combattevamo contro gli ustasa, che erano croati, fascisti croati e i cetnici, che erano monarchici, e avevano tutti i capelli lunghi, perché avevano giurato di non tagliare i capelli finché re Alessandro non torna. E allora, com'era? Tutti e due combattevano insieme coi tedeschi, però si combattevano uno con l'altro, perché i croati volevano essere indipendenti, e questi cetnici erano serbi, erano monarchici e non volevano che la Jugoslavia si disfa."

Figlio: Papà, eri osservatore, no?

R.:"Ah, si, ma quello prima di diventare comandante di compagnia. Mi han messo come osservatore, ad andare fino alle prime linee nostre, e oltre, e stare attento da dove spara la mitragliatrice e da dove spara il cannone. Io dicevo tanti metri a sinistra o a destra, e andavo quasi quasi fino ai tedeschi, era molto pericoloso! E niente, ho sempre fatto bene la cosa che poi sono stato preso in simpatia."

20) Ma lei quindi dove ha combattuto?

R.:"Ah, in Slavonia. Ho combattuto in Serbia, in Slavonia e in Kosovo."

21) In quella zona, tra i partigiani, c'erano solo croati o c'era anche qualche italiano?

R.."No, solo croati. Erano partigiani, ma erano bravi ragazzi. Li comandavano, magari, di fucilare uno, e loro se si rifiutava gli dicevano ti mettiamo anche a te sul muro, e certi rimanevano nascosti. Ragazzi presi dai paesi, di brutto, e portati tra i partigiani."

22) Posso chiederle com'erano i rapporti con la popolazione civile, come eravate visti voi partigiani?

R.:"Ah, no...Per dire la verità, forse, per paura ci facevano vedere che ci volevano bene, ma per paura. Sai che qualche volta se vedevano uno con le mani lisce e pulite gli sparavano, perché dice che non hai lavorato mai, e gli sparavano. Io un giorno abbiamo preso - loro lo chiamavano - camorra, erano dei carri, e c'erano dei soldati che guidavano questi carri. E io e un altro mio amico ci siamo seduti su un carro, domandavano se c'avevano sigarette, e allora questo qua diceva: io vorrei andare coi partigiani. E' passato un ufficiale superiore, partigiano, e dico - l'ho chiamato compagno, e poi il nome di grado - : questo ragazzo vuole venire coi partigiani. Eh no, dice, adesso no [è troppo tardi]. E cosa gli hanno fatto non lo so. E poi un paese di dove era la moglie di un nostro parente, a Umago, e avevano occupato questo paese e portavano dei soldati ustasa a fucilazione. E allora un ufficiale dice: ci occorre un ufficiale che ha da fare coi cannoni, un artigliere. E mi dice: presto, vai a vedere se c'è qualche ufficiale. E allora - loro andavano già alla fucilazione - io corro, corro, per salvare, e vado vicino al comandate e dico guardi, mi hanno mandato tal dei tale a vedere se c'è qualche ufficiale artigliere. E allora il comandate dice: chi è artigliere? Era un giovane, che andava alla fucilazione, e dice: io sono dell'artiglieria. Vieni con me, vieni con me, e lui ha preso paura. E io gli ho detto: stai attento come rispondi, e infatti questo ragazzo è rimasto vivo, era artigliere."

23) Quando finisce di fare il partigiano e ritorna a Spalato?

R.:"Ah, ben, allora io mi trovavo a Bled in Slovenia, dove c'è il lago di Bled, che in mezzo c'è una isola con una chiesa. E infatti lì sono tutti molto cristiani, ogni strada all'incrocio c'ha una croce con Gesù. E allora questo qua i comandanti partigiani lo hanno saputo e ci hanno portato, ci hanno detto: andiamo in chiesa, e abbiamo lasciato le armi fuori e siamo andati in chiesa. Ma loro lo hanno fatto per loro interesse, perché loro, andare in chiesa...Ci hanno mandato in chiesa perché là erano tutti cattolici. Come sono arrivato a casa? Era così, che un giorno mi sono messo a rapporto con uno, e non solo io, ma molti si sono messi a rapporto con questo. Ognuno per i suoi affari. E quando è venuto con me mi dice: lei cosa desidera? Eh, io vorrei smobilitarmi. E mi dice: perché? Perché c'ho il padre che non sta bene e vorrei aiutarlo. E lui dice: come ufficiale dell'Armata Rossa puoi aiutarlo meglio di tutti. Comunque - gli dico - io non sono portato da fare il soldato. E allora lui mi dice: bene, vada nel suo reparto e riceverà il posto. E infatti io dopo sette - to giorni vedo che mi chiamano, che devo andare presto in ufficio di fureria. E allora vedo che mi dicono: lei ha fatto la domanda di smobilitamento? Bene, da questo momento lei è libero. Mi dia tutte le armi, e lei da questo momento è libero, può andare. Che mese era? Era...La guerra era finita già da più mesi. Poi siamo arrivati lì...E niente, dice, lei è libero. E poi sono ritornato a Spalato, e allora mio papà come sono venuto a Spalato mi dice: io voglio andare in Italia. E io dico: ma dove vuoi andare? Non conosciamo nessuno, qui abbiamo lavoro! A mio papà gli hanno fatto un processo come italiano, e allora si è impaurito. E quando gli hanno fatto il processo, tutti si sono alzati - ma tutti - [per dire] che lui era una brava persona, che non c'è persona più brava di lui. Solo uno che era contro [per motivi di] lavoro, perché mio papà aveva un'impresa, piccola, faceva case. E c'era uno, e allora tutti hanno votato per lui, solo uno no. E infatti non gli hanno fatto niente, e gli hanno dato anche [un lavoro] come capo squadra in un'impresa croata, jugoslava."

24) Perché lo avevano processato suo papà?

R.:"Ma perché qualcheduno lo ha denunciato come italiano, no? Difatti quando hanno visto che tutti si sono alzati a favore suo gli hanno dato addirittura [un posto] come capo squadra in una cooperativa, no? Però lui non voleva andare a Spalato, aveva sempre paura. Solo un giorno...Mio padre lavorava in un panifico militare, e il sergente di questo panificio gli dava tutti i giorni due pagnotte. E di fronte [c'] era due ebrei - che una signora e un signore, una brava persona li ha ospitati - e mio papà tutti i giorni a questi ebrei dava una pagnotta e una [la dava] a noi. E quando sono venuti i partigiani, questi due ebrei [hanno detto rivolti a mio padre]: quello è fascista! Allora un giorno i kurir - che si chiamavano kuriri - ed erano ufficiali superiori comunisti, proprio di cuore comunisti, e allora sono venuti, hanno suonato hanno impaurito e gli dicono: ma chi siete venuti a prendere? Ma, signora, mia, siamo venuti a ringraziare perché noi quando eravamo in prigione lei ci aiutava. E allora quella là ha detto: questi sono fascisti! E questi dicono: state zitti, perché se no vi metteremo noi in galera a voi. Ecco perché io qualche volta gli ebrei, io non li posso vedere: ma come, lui gli dava, cavava alla mia sorella e alla mia mamma pane per darlo a questi due ebrei, e loro appena venuti i partigiani gli dice che sono fascisti!"

25) Suo papà voleva andare in Italia, ma da Spalato è andata via tanta gente?

R.:"Lui voleva andare in Italia... Si, da Spalato sono andati via quasi tutti. Eravamo pochi [italiani], ma penso che sono andati via quasi tutti. Ma erano pochi, eh!"

26) Lei mi ha detto che suo padre aveva paura...

R.:"Si."

27) Ecco, ma vorrei chiederle una cosa, e cioè se a Spalato sono successi dei fatti come quello dei Luxardo a Zara, e cioè che gli italiani sono stati presi e uccisi...

R.:"Si, hanno ammazzato certi italiani quando sono venuti, mi pare anche amici di mio papà. Una ventina [ne hanno ammazzati]: questo qua, questo qua, questo qua son sicuro [mi mostra sempre la stessa foto dei volontari partiti per l'Abissinia], lo hanno fucilato, [C. Antonio], so che lo hanno fucilato. E c'erano una ventina di questi che non sono arrivati in tempo di andare via in Italia, li hanno presi e [li hanno ammazzati]. Perché quando c'era questi italiani, certiduni, volontari, andavano di notte, in giro, per vedere se c'era qualcheduno che faceva qualcosa contro gli italiani. E allora quando sono venuti i partigiani, li hanno presi e li hanno fatto fare la fossa e li hanno fucilati tutti. Una quindicina o venti, non lo so."

28) Ma perché li hanno ammazzati, perché li accusavano di essere fascisti?

R.:"Si, perché li consideravano fascisti."

29) Suo papà perché è andato via da Spalato?

R.:"Mio papà è andato via per paura."

30) E siete andati via tutti insieme?

R.:"Si, tutta la famiglia insieme. Solo mio fratello no, perché mio fratello quando è scappato via dai tedeschi è andato in Italia, e lui non era venuto a casa, era già in Italia al campo [profughi] di Mantova."

Figlio: Come sei andato via da Spalato?

R.:"Ah, niente, [su] una nave. E' venuta una nave, si chiamava, mi pare, Morosini. E non so, se c'eravamo solo noi [la] nostra famiglia, o se c'era ancora qualchedun'altra famiglia. Era il 1946, 1947 o 1948, non mi ricordo."

31) Quindi lei è stato un po' a Spalato...

R.:"Si, sono entrato in una cooperativa, facevo il mio mestiere: prima lo facevo per conto mio, ma dopo non si poteva più lavorare per conto proprio, hanno fatto le cooperative."

32) E lei che lavoro faceva?

R.:"Io facevo il decoratore."

33) Quindi lei è stato un po' a Spalato...

R.:"Son rimasto, si..."

34) E allora le chiedo una cosa, e cioè com'era la Jugoslavia? Cioè com'è stato il passaggio dall'Italia alla Jugoslavia?

R.:"Ah, mancava tutto! Mancava tutto, non c'era [niente]. [C'era], loro la chiamavano deche. Pigliavano col buono, andavi a prendere da mangiare la roba [con la tessera], non potevi comprarla. A Spalato dico a mia mamma: mamma, dammi roba civile. E lei: non ce l'ho, figlio mio. Hanno bombardato una nave, ed era piano di soldati italiani che correvano per strada nudi, e la gente gli dava [roba]. La mia mamma gli ha dato tutta la roba mia e di mio fratello, e allora io dico a mia mamma: come faccio? Ho tolto i gradi - il triangolo qua - e andavo in divisa. E siccome quando sono venuti i partigiani facevano capo case e capo via, una capo via dice a mia mamma: perché suo figlio va in divisa? E lei dice: signora mia, non so cosa dargli. E allora lei - la capo via - le ha dato un buono, un buono di andare a comprare la stoffa per fare un vestito. E difatti io questo vestito ce l'ho ancora in cantina in un cassone."

35) Quindi mi sembra di capire che mancasse tutto, che non ci fosse niente...

R.:"Tutto mancava, tutto mancava, tutto. Se non ti davano il permesso di comprare qualche cosa non potevi comprare. Mangiare c'erano le deche, loro le chiamavano deche, e col buono te andavi a prendere tanto, cioè loro decidevano quanto. Quanti eravate in famiglia [prendevi] tanto pane e altre robe, tutte tessere. Ma poco, poco, mancava. [C']era fame, eh!"

36) Quindi lei da Spalato va via nel 1948?

R.:"Eh, non mi ricordo, dev'essere nel '48. Infatti io sono venuto..."

37) Ecco, mi racconta il viaggio?

R.:"Eh si, ci hanno portato a Padova e poi ci hanno portati a Mantova".

38) Quindi è partito da Spalato...

R.:"Si, siamo sbarcati, mi pare...Non a Trieste, perché loro volevano prendere Trieste come Jugoslavia...Siamo sbarcati e dopo ci hanno portato a Padova qualche giorno, in un campo, provvisorio. Dopo qualche giorno che eravamo là ci hanno portati a Mantova."

Figlio: A Mantova eravate là con altri profughi?

R.:"Si, in campo profughi, ma provvisorio, di passaggio."

Figlio: Ma eravate solo voi di Spalato?

R.:"Solo noi eravamo."

39) Voi siete riusciti a portarvi dietro qualcosa?

R.:"Si, ma roba personale che avevo. Non potevamo portare, non potevi portare più di tanto, solo le cose personali."

40) E loro controllavano?

R.:"Eh si, ti controllavano per vedere cosa c'hai, ma noi niente, perché non avevamo proprio niente che loro potevano dire questo non puoi. Avevamo qualche camicia, tutta roba vecchia."

41) Quindi da Spalato lei arriva a Padova, giusto?

R.:"A Padova arrivo, e stiamo lì pochi giorni, e poi ci han detto di andare, [cioè] ci hanno portato a Mantova."

42) Posso chiederle come funzionava, cioè eravate voi che decidevate di spostarvi?

R.:"No, no, loro ci mandavano in questi campi che erano delle caserme."

43) Lei se lo ricorda il campo di Padova?

R..:"Di Padova, no, c'era molto poco: avevamo i castelli per dormire [i letti a castello], e niente...Mi pare che sono uscito un paio di volte dal campo a comprare un giornale o cose così, ma dopo pochi giorni ci hanno portato a Mantova."

44) E il campo di Mantova cos'era, una caserma?

R.:"Era una caserma, ma anche a Mantova era una caserma."

45) Poi da Padova siete andati a Mantova.

R.:"Si, mi pare in treno, non mi ricordo, son tanti anni! So che una volta a Mantova ci guardavano male, ci chiamavano fascisti. E un giorno quella volta, chi era comunista nel '48?"

46) Togliatti...

R.:"Ecco si, Togliatti, e tutte le strade erano tappezzate [di scritte] viva Tito, viva il comunismo, viva Stalin. E un giorno ci hanno detto che entreranno in campo e che ammazzeranno tutti noi. E allora noi siamo andati in curia, e ci hanno dato delle armi: eravamo tutta la notte sugli spalti coi fucili pronti a sparare se vengono. E niente, siamo rimasti a Mantova un paio d'anni, mi pare. Te [rivolto al figlio] sei nato a Mantova, e siamo venuti [a Torino] nel '51."

Figlio: Fino al '51 sono rimasti a Mantova...

47) Ecco, restiamo un attimo a Mantova. Lei riesce a descrivermelo il campo? Com'era?

R.:"Mah, erano dei box - li chiamavano box- : uno, due, tre. Poi dentro c'era il bar, era una caserma, degli ambienti un po' grandi. E allora non poteva prendere una famiglia un ambiente, dovevamo con le tende dividerci: c'era una famiglia qua e una là, però divisi dalle tende."

Figlio: E tu abitavi con il papà e la mamma e la zia Dora?

R.:"No, io abitavo con te e con la mamma."

Figlio: Ma non alle Casermette, a Mantova!

R.:"Ah! Con la mamma. Ero con la mamma e con il papà. E lì mio padre era una persona rispettabile, e vederlo andare con la gavetta a prendere da mangiare era triste. E là poi ho conosciuto la mamma e poi siamo stati insieme."

48) Quindi sua moglie l'ha conosciuta a Mantova?

R.:"Si."

49) Ed era profuga anche lei?

R.:"Era di Fiume. Perché mia moglie era ad Arezzo, e come studentessa lì non c'era la scuola ad Arezzo, e quindi li hanno portati a Mantova dove c'erano altre scuole. E lì ha finito il liceo classico, e poi era all'università, ma dopo è nato il figlio e [ non ha finito]."

50) Parlando sempre di Mantova, lei prima mi ha detto che suo padre andava a prendere da mangiare. Quindi lo cucinavate voi oppure no?

R.:"No, ci davano da mangiare: dovevamo andare in fila con la gavetta, e lì ci davano un mestolo e poi uno doveva andare nel suo tugurio e mangiava. E io mi ricordo, che sono andato a Superga a lavorare per una minestra e 100 o 200 Lire al giorno. Lavoravamo le strade e pulivamo i boschi, ma questo ero già a Torino. E lì [a Mantova] ho fatto qualche lavoretto."

51) Ecco, mi dica che lavori ha fatto a Mantova...

R.:"Sono andato in un negozio di decoratori, e mi hanno preso per qualche giorno, finchè ho fatto un lavoro. E lì non ero ancora con la mamma [sua moglie], e portavo a casa, finchè comprare qualche cosa. E non avevamo niente: solo quando poi mio papà ha preso dei danni. Ma ha preso neanche la millesima parte di quello che doveva prendere, gli han dato poche centinaia di mila lire, e lui ha lasciato un palazzo in costruzione grande, che era di un milione. E papà sapeva che anche se non era in grado, lo abbiamo sempre considerato come capo della famiglia. E infatti mio papà si è ammalato di crepacuore, perché vedere una persona che aveva sempre il cappello a salutare la gente, vederlo con la gavetta andare [a prendere da mangiare]...E allora un giorno vado in infermeria - perché c'era l'infermeria in campo - e gli dico: papà, hai paura di morire? No, dice, figlio mio prego iddio di morire perché non voglio vivere più. E difatti è morto, e io e mio fratello lo abbiamo accudito da morto in un magazzino, tre o quattro giorni finché non lo hanno seppellito. Ma è morto a Torino lui, a Torino."

52) Le faccio ancora poche domande, poi abbiamo finito. Posso chiederle come vi ha accolto la gente in Italia?

R.:"Non tanto bene, non tanto bene. Ci consideravano...Perché tutti quella volta, siccome il comunismo ha vinto, tutti volevano essere comunisti: c'era qualcheduno...C'era un conte, il conte [A.], non di Mantova, ma [di] un paese di là di Mantova, e veniva a prendere noi giovani perché i suoi contadini facevano sciopero, e allora ci portava in questo paese che non mi ricordo più il nome. Il conte [A.] ci portava e noi andavamo a fare solo erba per le bestie, perché se no le bestie morivano. E ci voleva bene. Era un fascista! E noi gli raccontavamo le nostre avventure,, così, e qualche volta andavamo anche nel suo ufficio a Mantova - non in paese, ma a Mantova - a domandargli qualche soldo, e lui ci dava, 10.000 o 20.000 Lire. E ci voleva tanto bene. E un giorno era sciopero, e due ragazzi Piero D. e un altro che è andato in Australia, giocavano in cortile, correvano uno dietro l'altro. E questo Piero, per aprire le porte, ha sbattuto si è tagliato, perché era tutto un pezzo di vetro. E allora questo conte dice: dobbiamo portarli in un altro paese dal dottore, e quella volta era sciopero, e allora i contadini, tutti, ci chiudevano la strada e non potevamo passare. E lui - questo conte [A.] - ci aveva dato delle armi, e loro volevano fermarci, c'erano in centinaia davanti, e lui guidava, dice: se vogliono andare sotto che vadano sotto. Siamo andati da un dottore gli ha tolto [il vetro], e dopo sette o otto anni ancora gli hanno trovato un pezzo di vetro!"

53) Quindi non vi trattavano bene...

R.:"No, no, non ci volevano bene perché c'eran persone che ci volevano bene, ma per lo più eran tutti comunisti."

54) E invece a Torino come vi siete trovati?

R.:"Mah, Torino, non so come dirle...Si, alle Casermette sono andato, però quando andavo in città, nessuno sapeva che ero profugo."

55) Posso chiederle come mai è venuto a Torino da Mantova?

R.:"Ah, perché hanno chiesto chi vuole andare, perché a Torino c'è le fabbriche e c'è il lavoro, e allora io d'accordo con la mamma dico: vogliamo andare e ho detto di si e siamo andati. Ma da Mantova siamo andati in molti [a Torino]."

56) E in che anno è arrivato?

R.:"Nel '51. Mio figlio avevea due o tre mesi. Perché io mi ricordo un fatto: c'era suocera e da qua [dal Villaggio di Santa Caterina] si vedeva Superga..."

57) Lei quindi viene a Torino per il lavoro...

R.:"Eh, si, e si è trovato subito lavoro".

58) Ecco, mi racconti...

R.:"Come le ho detto, andavo per una minestre e per 200 Lire al giorno e quello che ci occorreva le davo alla moglie. E ci davano anche da mangiare..."

59) Alle Casermette...

R.:"Si, alle Casermette: ci davano da mangiare e si andava anche con la gavetta."

60) E le davano anche un sussidio?

R.:"Eh, ci davano, mi pare, 150 Lire...Un poco di più al capofamiglia, però a testa 150 Lire. E io mi ricordo che davo alla moglie tutto, perché aveva tanto amore verso di te [riferendosi al figlio]: ti comprava delle cose che era quasi impossibile".

61) Lei prima mi ha detto che a Torino è stato difficile trovare lavoro, perché?

R.:"Mah, era difficile trovar lavoro perché molti, dovevi dire che sei profugo, e quando sentivano che eri profugo non ti prendevano. E io ho fatto un lavoro, però finito il lavoro dice che non c'era altro, mi ha pagato e bom."

Figlio: E dopo?

R.:"Dopo abbiamo fatto le domande alla Fiat, e io mi ricordo che la Fiat mi ha chiamato di lavorare, e dopo un mese che ho lavorato alla Fiat, è venuto il geometra che ci aveva portato a Superga per la minestra [a chiedermi] se volevo lavorare al Comune. Allora io dico moglie: guarda, io vorrei andare [a lavorare] al Comune. E la moglie mi risponde: guarda Giovanni, che qua sei al sicuro, e lì non sai come andrà a finire. E allora non sono andato, perché la non voleva; qui avevo già il lavoro alla Fiat. Io ho lavorato alla Fiat una quindicina di anni: lavoravo alla Fiat come verniciatore, al Lingotto."

62) Senta nella sua assunzione ha inciso anche la figura di Don Macario, come per molti altri profughi?

R.:"No, don Giuseppe ha aiutato mia moglie di andare alla Posta, perché una ha rifiutato e allora siccome loro... Siccome lui i partigiani, come me, non mi vedeva tanto di buon occhio perché...Allora una ha rifiutato e allora lui ha fatto andare mia moglie alla Posta, e lei ha lavorato come impiegata qualche anno e poi è diventata direttrice."

63) Quando arriva qui nel Villaggio?

R.:"Qua, forse nel'53 o nel '54, non mi ricordo, ma questi alloggi eran già fatti."

64) Riesce a descrivermi com'era il quartiere?

R.:"Ah, il quartiere era perfetto! Da noi in quel periodo, quando siamo venuti noi, si poteva liberamente lasciare aperte le porte, non hai paura che ti portano via niente. Oggi la mia moglie, ha dovuto mettere l'allarme, oggi non si può [più]. "

65) Ma qui c'erano altre case o intorno non c'era niente?

R.:"Poche, perché come ti ho detto, noi vedevamo la chiesa di Superga, non [c']erano questi palazzi. Eh, neanche le Vallette c'erano, le hanno fatte dopo."

Figlio: Ti ricordi com'era qua la strada?

R.:"Mah, la strada, si, mi ricordo...Non c'erano queste strade qua, quando dovevo andare in città, io dovevo andare al capolinea del 13 a Lucento, giù, a prendere il tram. Dovevo fare tutta quella strada lì, anche per andare a lavorare. Dovevo andare a piedi, e dovevo passare anche nelle boscaglie - come ti voglio dire - non c'era strade. E lì al capolinea del 13 prendevo il tram - il 13 - che mi portava fino a Porta Susa, e a Porta Susa l'1 mi portava fino al Lingotto."

66) Posso chiederle come passava il suo tempo libero?

R.:"Ah...Io...Qui hanno fatto un circolo, il Rastrel Verde, e andavo. Poi andavamo in bar, si faceva la partitella di carte, anche con i soldi, si, si. Ma la mia moglie mi dava - io portavo tutta la mia paga alla mia moglie - 2.000 Lire, e quello mi serviva per le sigarette, per il tram per andare a lavorare e io non le ho mai chiesto una lira! Io con quelle 2.000 Lire giocavo, ma non le ho mai chiesto io in più qualche cosa, tutto quello che io guadagnavo [lo davo a lei]. E poi oltre quello, io facevo qualche lavoro, davo il bianco e guadagnavo qualche cosa. E così andavamo abbastanza bene, non mancava il mangiare, e dopo lei è andata a lavorare alle Poste."

67) Senta, le faccio l'ultima domanda: lei ha nostalgia di Spalato?

R.:"Si, ce l'ho, ce l'ho molto, perché Spalato. Spalato è diventata una città famosa, non in Dalmazia, ma in Europa, è una bellissima città. Si, ho molta nostalgia. Io, adesso son diventato vecchio, ma ci penso. Perché sa cosa? Penso che potrei trovare qualcheduno, ma poi penso che non è possibile trovare qualcheduno di quelli che io conoscevo, perché io c'ho novantuno anni, e penso che non troverei. So che un ragazzo di fama mondiale, un certo M. è morto due mesi fa, poi avevo un amico che abitavamo insieme ed è morto anche lui. Tutti sono morti quelli che io conoscevo! Può darsi che ci sia ancora qualcheduno vivo, ma è molto difficile. Ma a Mantova la gente ci vedeva non tanto bene..."

68) E a Torino meglio?

R.:"Mah, anche a Torino, quando io ero alla Fiat, c'erano quelli che erano comunisti che ci rimproveravano di essere fascisti. Perché io, quando facevano sciopero e io non facevo sciopero, so che venivano [e ti dicevano]: lascia il lavoro, lascia il lavoro! E io no, io lavoravo. Alla Fiat [quando] facevano sciopero, c'erano gruppi di operai che andavano in giro a dire non lavorare più, non lavorare più, chiudi la macchina! E io non li ascoltavo, io lavoravo."
17/11/2008;


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Miletto Enrico 07/07/2009
Pischedda Carlo 07/07/2009
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Ultimo aggiornamento: mercoledì 30/1/2019